Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

 

Un colorante inedito

Post n°173 pubblicato il 18 Aprile 2012 da paoloalbert

Se all'esame ti chiedessero: -"parlami della chimica del carbonio..." sicuramente non sapresti dove iniziare, perchè nella risposta ci sta tutto, e ancora di più.
Essendo questo l'oceanico argomento del sedicesimo Carnevale della Chimica ospitato sul sito Scientificando di Annarita, mi son detto che nel tutto ci sta anche la sintesi del mio ultimo colorante, che con la chimica del carbonio ha a che fare, non c'è dubbio.
Era un po' di tempo che volevo sporcare un po' di vetreria facendo un colorante azoico, ma mi serviva una sostanza inedita (naturalmente sapendo che non c'è assolutamente nulla di chimicamente inedito che sia fattibile in un home-lab!).
Ma con questa parola intendevo preparare una sostanza che non fosse già commercialmente usata genericamente per tingere, nè ora nè in passato.
In breve, qualcosa che non si trovasse nella bibliografia dei coloranti.
Poi, guardando per caso la sintesi del Giallo Alizarina GG ho trovato una possibile variante...

Regista, raduna gli attori per la sceneggiata di oggi!

Preparazione dell'
Acido
3-(4-nitrofenilazo)-5-nitro-2-idrossibenzoico

Partecipano alla commediola (in ordine di apparizione):

- p-nitroanilina NH2-C6H4-NO2
- acido cloridrico HCl
- acido 5-nitrosalicilico NO2-C6H3(OH)-COOH
- sodio carbonato Na2CO3
- sodio nitrito NaNO2
- ghiaccio q.b.
- vetreria opportuna

E questo è il cartellone dello spettacolo:


Colorante 1

 

 

Colorante 2Porre in una beuta da 100 ml 5 g di p-nitroanilina e riscaldando cautamente mescolando aggiungere goccia a goccia HCl conc. fino a solubilizzazione completa.
Si forma in tal modo il cloridrato dell'ammina, che per raffreddamento cristallizza.
Versare in 100 ml di ghiaccio tritato e aggiungere a piccole porzioni 5 g di sodio nitrito, mescolando ogni volta e badando che la temperatura non salga oltre i 5-8°.
Mescolare e poi lasciare in riposo qualche tempo finchè la diazotazione sia completa e la soluzione sia il più possibile limpida.
Si forma così il cloruro di p-nitrodiazobenzene.


Colorante 3Nel frattempo in un becker da 250 ml sciogliere 15 g di Na2CO3 in 200 ml di acqua e aggiungere 5 g di acido 5-nitrosalicilico mescolando fino a salificazione e soluzione completa.
Serve molta acqua poichè il sale è poco solubile a freddo; raffreddare in ghiaccio e mescolando far gocciolare in questa la prima soluzione, magari filtrando come si vede in foto.


Colorante 4Si forma prima un intorbidamento e poi un precipitato rosso scuro; lasciar riposare un paio di ore fino a reazione completa e poi portare a pH neutro con la giusta quantità di HCl.
In tal modo si evitano perdite per solubilizzazione del sale sodico e si può recuperare più prodotto.
Filtrare su buchner, lavare con acqua fredda e lasciar seccare all'aria.


La copulazione avviene in orto rispetto al gruppo attivante (-OH) perchè la posizione p- è già occupata dal gruppo -NO2 e il legame con l'azoto si accorda anche con la situazione meta-orientante del medesimo gruppo nitro.
Il colorante si presenta come una polvere marrone scuro, quasi del tutto insolubile in acqua e solubile nei solventi organici.
La soluzione molto diluita è gialla in ambiente acido e color amaranto in ambiente alcalino.

Avendo eseguito la sintesi partendo da un quinto delle quantità indicate, le perdite nei vari passaggi sono in proporzione molto elevate e quindi non ha molto significato mettere la resa percentuale rispetto al teorico.
Lo scopo era solo quello di "vedere" un azocomposto nuovo con due gruppi nitrici; me lo aspettavo giallo, mentre la tonalità riscontrata è invece molto più sul rosso.
La "prova al fuoco" conferma invece la presenza dei due gruppi -NO2 con una combustione ricca e vivace.
Il potere colorante, relativamente a questi composti e alla prima impressione che ho avuto, è che non sia eccelso.
Adesso, per l'importanza che possono avere questi dati, lo sappiamo...

Gli attori, dopo aver letteralmente dato tutto se stessi (!), si ritirano lasciando sul vetrino un pizzico di Acido 3-(4-nitrofenilazo)-5-nitro-2-idrossibenzoico, unica ma preziosa testimonianza del loro sacrificio.

 

Colorante 5


Ehi, di là c'è ancora il minerale di Montevecchio che non vede l'ora di svelarci il suo contenuto...
Calma, abbi pazienza un attimo, arrivo fra qualche giorno  e ti butto nell'acido!

 
 
 

Piombo, argento e zinco a Montevecchio

Post n°172 pubblicato il 13 Aprile 2012 da paoloalbert

Arrivare a due passi da una miniera senza vedere almeno un minerale utile di scavo è decisamente frustrante.
Fortunosamente, e grazie all'aiuto di una persona, ho potuto evitare questa spiacevole situazione riuscendo a trovare in un sito difficilmente accessibile un paio di rocce fortemente mineralizzate che mi daranno l'occasione di sporcare qualche provetta per dei semplici saggi analitici che coroneranno anche cromaticamente questa piacevole visita alla miniera.

Prima di passare alla parte pratico-ludica dell'esperienza, ripasso (per me soprattutto) alcune nozioni di metallurgia spicciola, che ricalcano le procedure per ottenere i metalli dai loro minerali e che fondamentalmente sono quelle delle tradizioni antiche (a parte lo zinco, che è un metallo di impiego molto "recente").

Spesso i visitatori di una miniera (almeno quelli non del tutto sprovveduti) si chiedono come si fa a estrarre il metallo dal minerale: ecco qualche cenno specificamente per i tre metalli piombo, argento e zinco partendo dai loro minerali PbS (galena) e ZnS (blenda).
 
COME SI OTTIENE IL PIOMBO DALLA GALENA
 
Questo metallo si prepara per via secca ad alta temperatura per arrostimento o per arrostimento/riduzione della galena (che è di gran lunga il principale minerale utile del Pb); un arrostimento parziale con aria porta alla produzione di ossido e solfato, secondo le reazioni:
 
2 PbS + 3 O2 --> 2 PbO + 2 SO2
PbS + 2 O2 --> PbSO4

 
questi reagiscono poi a temperatura più elevata (800-1000°) con l'eccesso di solfuro dando il metallo:
 
2 PbO + PbS --> 3 Pb + SO2
PbSO4 + PbS --> 2 Pb + 2 SO2
 
Nel processo di arrostimento/riduzione si fanno avvenire preliminarmente le prime due reazioni suindicate, aggiungendo poi alla massa carbone coke, silice SiO2 e calce CaO; la silice dà luogo alla reazione:
 
2 PbSO4 + 2 SiO2 --> 2 PbSiO3 + 2 SO2 + O2
 
e contemporaneamente:
 
2 C + O2 --> 2 CO
PbO + CO -->
Pb + CO2
PbSiO3 + CaO + CO --> Pb + CaSiO3 + CO2
 
Tutto avviene nello stesso forno, con notevole produzione di anidride solforosa SO2 che viene utilizzzata per altri scopi (acido solforico, ecc.) ed il piombo cola liquido alla base del forno.
Il metallo così ottenuto è impuro per altri elementi eventualmente associati e va raffinato con opportuni procedimenti, che non riporto in questo semplicissimo discorso.
 
 
COME SI OTTIENE L'ARGENTO DAI MINERALI DI PIOMBO ARGENTIFERO
 
Se la galena è argentifera (come ovunque in Sardegna, con un tenore in questo metallo sui 50-300 g/quintale), diventa sfruttabile per l'estrazione anche di argento.
I classici due piccioni con una fava!
Si può separare l'argento dal piombo sfruttando il principio della ripartizione tra due solventi poco miscibili.
Si parte dal fatto che zinco e piombo sono tra loro poco solubili sotto i 400°, mentre sopra i 950° sono completamente intersolubili; però l'argento è assai più solubile nello zinco che nel piombo (in rapporto di circa 3000:1) cosicchè esso può essere estratto dal piombo tramite aggiunta di zinco formando la lega ternaria Pb-Zn-Ag.
Per parziale raffreddamento si formano croste superficiali di zinco/argento che possono essere facilmente separate.
Ma per tirarlo poi fuori dallo zinco? Facile: basta distillare.
Lo zinco volatilizza (ved. in seguito) e rimane un residuo di argento che viene separato dal poco piombo rimasto per coppellazione (in un forno particolare si ossida il piombo a PbO e rimane solo l'Ag metallo).
 
 
COME SI OTTIENE LO ZINCO DALLA BLENDA
 
Il minerale più importante per l'estrazione dello zinco è la blenda che, come tutti gli altri minerali di questo metallo, è associata a minerali di piombo; prima della lavorazione occorre quindi procedere a una separazione preliminare tra blenda e galena (per flottazione, ved. altrove...) per separare i due tipi di minerale.
La blenda così separata viene arrostita in particolari forni in modo da eliminare gran parte dello zolfo e trasformare il minerale in ossido, il quale viene poi ridotto a metallo con coke.
 
2 ZnS + 3 O2 --> 2 ZnO + 2 SO2
ZnO + C -->
Zn + CO
 
Lo zinco è un metallo facilmente volatile e quando raggiunge una temperatura superiore al suo punto di ebollizione (appena poco più di 900°) viene trascinato nei fumi e separato. 
Lo zinco prodotto con tutti i processi di riduzione con carbonio richiede poi una raffinazione finale per produrre zinco di migliore qualità.
Un processo largamente usato si basa su una vera e propria distillazione frazionata in colonne a riflusso, come si fa per i liquidi.
Una tipica unità consiste di due colonne per piombo seguite da una colonna per cadmio; le colonne per piombo servono per trattenere il piombo e le altre impurità altobollenti e la colonna per cadmio allontana il cadmio e le altre impurità basso bollenti.
Può poi seguire una ulteriore raffinazione elettrolitica.
E così abbiamo ottenuto anche lo zinco, oltre a sottprodotti utili come il cadmio e altri.
 
La prossima volta avremo un incontro ravvicinato con i minerali reperiti in discarica e vedremo di evidenziare qualche metallo ivi contenuto.

 
 
 

Fantasmi a Ingurtosu

Post n°171 pubblicato il 08 Aprile 2012 da paoloalbert

Dicevo l'altra volta che nel mio breve tour della Sardegna non avrei avuto quella mezza giornata a disposizione per cercare nella profumata macchia sarda la miniera di Zurufusu: infatti così è stato.
Sono riuscito tuttavia a percorrere quella bellissima stradina sterrata, tutta curve e buche, che conduce da Montevecchio a Ingurtosu e poi alle dune di Piscinas, totalmente immersa in questa vasta area mineraria del Sulcis.
L'esperienza è veramente suggestiva, vuoi per lo splendido ambiente geomorfologico vuoi per la singolarità del complicatissimo complesso di vecchie miniere disperse dovunque quasi ad ogni giro d'occhio.
Naturalmente dalla strada non si vedono i "buchi" (ora messi in sicurezza in una vastissima zona recintata) ma un gran numero di ruderi di antiche costruzioni, disperse come fantasmi nella valle, che ne testimoniano la presenza sotterranea.
Sono vecchie case di minatori, ora cadenti e sbudellate, semisepolte in un groviglio di lentischi, mirti e ginestre, che appaiono anche sulla cima di improbabili lontane colline: prova che perfino lassù c'era una galleria dal quale estrarre galena e blenda.
Lascio ad altri ben documentati siti (che ho già citato) la storia interessantissima di queste miniere di Sardegna, sfruttate dai tempi più antichi fino alla loro drammatica chiusura avvenuta appena una ventina di anni fa.
Sì, drammatica: hanno segnato la fine del lavoro per migliaia di minatori.
Sono passati appena un paio di decenni e percorro la strada del Rio Piscinas circondato dagli scheletri delle case, dei pozzi  e delle laverie; finalmente al mare, sul molo diroccato delle dune di Piscinas: perdo la cognizione del tempo, potrebbero essere passati non vent'anni ma cento!

Ma sono appena sulla strada, dove qualche macchina passa ancora; se faticosamente m'inerpicassi fin su quella collina lontana, dove vedo emergere un rudere, sarei veramente fuori dal tempo...


Ingurtosu 6

Ingurtosu, oggi

 

Ingurtosu 5

Resti di impianti e mineralizzazioni a blenda

 

Ingurtosu 4

Ruderi e discariche non mineralizzate

 

Ingurtosu 3

Ossidi di ferro nel Rio di Montevecchio

 

Ingurtosu 2

Fantasmi industriali lungo la strada Montevecchio-Ingurtosu

 

Ingurtosu 1

Alle dune di Piscinas: qui si imbarcava il minerale di piombo e zinco

 

 
 
 

Zurufusu

Post n°170 pubblicato il 30 Marzo 2012 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Mi tocca rinunciare!
Mi tocca rinunciare, non c'è niente da fare, il tempo è poco e le cose da fare sono troppe, quindi pazienza!
Peccato, perchè mi piacerebbe molto fare questa cosa semplicissima che fra poco dirò e che invece so che mi sarà negata dalla situazione contingente.
Del resto è pacifico che non si può fare tutto ciò che si vorrebbe (magari se ne potesse realizzare l'un per cento... che dico, l'un per mille!).

Il fatto è che fra poco me ne andrò qualche giorno in Sardegna, e siccome io sono a volte un turista un po' anomalo (anomalo non solo come turista...) questa cosa che mi piacerebbe fare sarebbe percorrere quegli sperduti sentieri alla riscoperta di qualcuna di quelle centinaia di dimenticate miniere di cui quell'Isola è così doviziosamente ricca.
Credo che pochi (a parte i Sardi!) sappiano che le miniere in Sardegna sono veramente CENTINAIA, disseminate un po' dovunque; intendo naturalmente tutti gli scavi, grandi e piccoli, vecchi e vecchissimi.

Leggevo qualche giorno fa alcuni brani della bellissima relazione che Quintino Sella, senatore del Regno oltre che scienziato, economista e alpinista, fece alla Camera dei Deputati il 3 maggio 1871, sulla condizione delle miniere in Sardegna.
La relazione è veramente dotta e partecipe; non ho potuto far a meno di paragonare questo lavoro parlamentare di fine secolo XIX con certe analoghe relazioni attuali... (per non sconfinare nel blasfemo ometto ogni ulteriore commento).

Per chi avesse voglia di dare un'occhiata al testo, mineralogicamente e ambientalmente molto interessante, ecco il link al sito di Sardegnacultura.

Mi piace a questo punto fornire il link anche ad un bellissimo sito di appassionati ed "esploratori": "Miniere di Sardegna".

E' tutto da leggere e da scoprire, con un'infinità di notizie; oltre a significative interviste con vecchi minatori, si può comprendere la situazione problematica degli anni della progressiva chiusura... e naturalmente c'è l'elenco di amenissimi siti (geografici stavolta!) che costituirebbero il motivo di salutari passeggiate nella macchia sarda alla ricerca di minerali e archeologia industriale, anni luce lontano da noiosissimi e plasticosi villaggi turistici.

Porca miseria, ci passo ad un palmo e mi tocca rinunciare alla 467esima miniera citata da Quintino Sella!
Quella sconosciuta, sperduta e abbandonatissima di Zurufusu, nel territorio di Arbus, vicino al mare e alle dune della Costa Verde.
Era questa una miniera insolita, non solo coltivata per il "normale" piombo argentifero ma soprattutto per la barite, il solfato di bario BaSO4.
Razzolare un po' nelle antiche discariche alla ricerca di qualche pezzo di "spato pesante" mi sarebbe piaciuto assai.

Ma va bene lo stesso, avrò altre mille cose da vedere...

 
 
 

Il sonnifero della nonna

Post n°169 pubblicato il 19 Marzo 2012 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

La lettura casuale di un articolo del Journal of the Royal Society of Medecine ed il ritrovamento di un vecchissimo tubetto di un medicinale degli anni '50 (del quale riporto la foto) mi offrono l'occasione per qualche libera divagazione chimico-storica.
La sostanza contenuta nel tubetto era un famoso "sonnifero" (allora si chiamavano le cose per quello che erano...) che usava la buon'anima di mia nonna negli ultimi tempi della sua vita.

Neurinase


Il principio attivo per pillola, a parte qualche percentuale di "estratto di valeriana fresca", erano 50 mg di dietilmalonilurea o meglio di acido 5,5-dietilbarbiturico, il "Veronal", che si aggancia all'articolo sopra citato che leggevo.

Come spessissimo accade quando si parla di chimica classica, la storia si svolge nella patria indiscussa di questa scienza, la Germania.
Alla fine del 1863 Adolf von Baeyer, un altro dei grandi chimici tedeschi (poi premio Nobel nel 1905), condensando l'acido malonico con l'urea riuscì a produrre l'acido barbiturico (riquadro in alto), e siccome la data della scoperta fu probabilmente il 4 dicembre giorno di santa Barbara, la tradizione vuole che Baeyer abbia dato il nome alla nuova sostanza unendo Barbara ad acido urico (con il quale la molecola condivide parti comuni).

Molti anni più tardi, nel 1903, l'ex assistente di von Baeyer Emil Fischer (quanti esteri ho fatto in tuo onore Emil!), insieme con un amico fisiologo e farmacologo, il barone Josef von Mering, scoprirono che mentre l'acido barbiturico in sé non ha alcun effetto diretto sul sistema nervoso centrale, collegando all'atomo di carbonio intermedio dell'acido malonico due gruppi etile -CH2-CH3 ed effettuando la condensazione di Baeyer si otteneva un prodotto fortemente ipnotico, che fu chiamato "barbital".
Anche qui la tradizione vuole che von Mering fosse stato recentemente in Italia ed avesse visitato con piacere Verona; ritenne opportuno pertanto dedicare a questa bellissima città il composto appena scoperto e così il Barbital divenne in tal modo Veronal.

 

Veronal

 

L'era dei barbiturici era cominciata, e sarebbe proseguita con successo per circa mezzo secolo, fino alla loro sostituzione con le benzodiazepine e prodotti meno pericolosi.
I barbiturici erano prescritti per curare l'insonnia da eccitabilità nervosa, e furono salutati come farmaci notevolmente migliori rispetto ai bromuri o al cloralio usati fino a quel momento, per via dei minori effetti collaterali e del gusto meno sgradevole.
La sintesi consiste in una reazione di condensazione dell'urea con l'estere dietilico dell'acido dietilmalonico in presenza di etossido di sodio CH3-CH2-ONa:



Barbiturici

 


-R1
ed -R2 sono due gruppi etile -CH2-CH3 nel caso del Veronal, ma possono essere altri gruppi alchilici (o di altro tipo, a parte i metilici, che sono inattivi) ed essi sono fondamentali poichè originano al loro variare prodotti di condensazione dalle caratteristiche farmacologiche molto diverse, specialmente come durata di azione, che possono andare dai pochi minuti addirittura ai giorni.

I barbiturici sono farmaci che agiscono come sedativi del sistema nervoso, con effetti che vanno da una lieve sedazione all'anestesia generale.
Sono anche efficaci come ansiolitici, come ipnotici, e come anticonvulsivanti, ma hanno il grave inconveniente di produrre dipendenza.
Oggi nella pratica medica i barbiturici sono ancora utilizzati in anestesia, per l'epilessia o per la pratica del suicidio assistito.
Fino a metà e oltre del secolo scorso le notizie di cronaca che riportavano casi di suicidio o morte per overdose, accidentale o colposa, di barbiturici erano all'ordine del giorno: chi non ricorda, due casi per tutti, Elvis Presley o Marilyn Monroe?
Dalla fine degli anni '60 queste sostanze sono controllate e la loro diffusione è assai ridimensionata.

Molto meno conosciuto come chimico di Emil Fischer, Josef von Mering è più famoso come fisiologo; fondamentali sono i suoi studi sul diabete (insieme a Oskar Minkowski nel 1890 ha dimostrato che il pancreas è la sede della produzione di insulina) e fu lui che convinse Fischer, più dedito alla chimica che alla farmacologia, a sintetizzare il barbital, che divenne un cavallo di battaglia del colosso chimico farmaceutico Bayer.


Nel 1919, Heinrich Hoerlein introdusse un altro barbiturico altrettanto famoso, il fenobarbital o Luminal (-R1 etile, -R2 fenile); la Società deteneva i diritti di altri brevetti, tant'è che quando gli Stati Uniti entrarono in guerra nel 1917 i prodotti erano considerati beni del nemico.
A superare questo ostacolo, il governo americano approvò il Trading Enemy Act, che permise alla Federal Trade Commission di concedere licenze alle aziende americane per la fabbricazione di prodotti tedeschi già brevettati.
Più tardi H. Shonle sintetizzò l'Amytal (-R1 etile, -R2 3-metilbutile), primo barbiturico ad essere utilizzato come anestetico endovenoso.

Con quel vecchio tubetto (vuoto!) di Neurinase di mezzo secolo fa fortunosamente ritrovato, partecipo al 15esimo Carnevale della Chimica, che si potrà leggere dal 23 marzo sul blog di Paolo Pascucci Questionedelladecisione, sulla chimica dei farmaci.

 

 
 
 

Intervallo

Post n°168 pubblicato il 11 Marzo 2012 da paoloalbert

 

Longhi Alchimisti

Pietro Longhi - Gli Alchimisti - Venezia, 1757

 
 
 

Giocando col sole

Post n°167 pubblicato il 05 Marzo 2012 da paoloalbert

Ogni tanto ci scappa una digressione dalla chimica, in genere verso l'elettronica, un altro dei miei passatempi.
Avendo a disposizione il bel modulo fotovoltaico da 50 Watt che si vede in foto (la dimensione ideale per giocarci e sperimentare), l'ho voluto corredare di un regolatore automatico di carica batteria.

 

Fotovoltaico

 

Questo apparecchietto è un'interfaccia tra il pannello solare, la batteria in tampone ed il carico utilizzatore e serve ad evitare le eccessive carica o scarica della batteria.

Quando il sole picchia e la batteria è sufficientemente carica, l'uscita del fotovoltaico viene cortocircuitata; quando il sole manca e la batteria è quasi scarica l'uscita verso l'utilizzatore viene interrotta, salvaguardando in questi modi la vita della batteria stessa.

Naturalmente apparecchietti di questo tipo si trovano in commercio (quasi sempre provenienti dal paese dei Mandarini) senza problemi e per soli una quarantina di euro.
Ma lo si può fare anche in casa con un po' di esperienza per un prezzo irrisorio e anche divertendosi.
E' quel che ho fatto, spendendo per la parte elettronica... circa cinque euro!

(Se ho speso IO 5 €, mi chiedo quanto costi ad una azienda cinese che ne fa 300 mila pezzi... Siamo a livello dei centesimi di euro!).

I componenti principali che si vedono sulla basetta millefori (non val la pena di fare un circuito stampato per un solo prototipo) sono due MOSFET di potenza IRFZ44N, due diodi schottky CQ522, un circuito integrato operazionale LM324 ed una manciata di componenti passivi.
Vi sono due ingressi ed un'uscita: un ingresso va al pannello fotovoltaico da 19 Volt, l'altro va alla batteria e l'uscita va al carico utilizzatore, ovvero qualsiasi cosa che funzioni a 12 Volt, per esempio un inverter che porti questa tensione ai 230 volt alternati per far andare qualsiasi cosa.

 

Regolatore



Veder girare un motorino GRATIS per tutto il giorno (mi serve per un certo utilizzo) e per tutti i giorni a venire fin che batterà il sole è una soddisfazione che mi ha sempre intrigato e che m'intriga sempre più man mano che il vero prezzo dell'energia viene (e verrà, eccome!) drammaticamente sempre più alla ribalta.

Il mio pannellino è solo un terzo di metro quadrato e fa un bel lavoro: pensiamo alle infinite aree su cui il sole splende in eterno ad 1 KW per metro quadro! senza servire nemmeno a  far crescere l'erba...

 
 
 

Un bel regaluccio

Post n°166 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da paoloalbert

Guardate cosa m'ha regalato la gentile signorina Flavia per il mio compleanno: un bel filetto di platino nuovo!
Con la sua bacchettina e il tappetto che s'innesta giusto nella provetta di protezione, come un pugnale nel fodero pronto a cavare il sangue colorato di qualche elemento della tavola periodica.
Ultimamente ero costretto (ho vergogna a dirlo!) a vedermi le fiamme con un orrendo e obbrobrioso filaccio di nichel-cromo che lascia il tempo che trova, sempre sporco, ossidato, corroso, inservibile per le perle al borace.
Accettabile solo nel primo quadrimestre del primo anno di chimica, e poi buono solo per farci le resistenze del ferro da stiro, non per interloquire con un glorioso e nobile bunsen!

Ormai chi mi conosce sa della mia "dedizione" (chiamiamola così...) alla chimica, specificamente quella sperimentale, e così mi son trovato questo pensierino gradito.
Vogliamo provarlo subito?
Via di corsa, solo con un fugace imbarazzo della scelta del primo candidato alla tortura del fuoco: ma non ho esitazioni... sarà il bromuro di stronzio!

Ho questo sale da talmente tanto tempo e senza averlo mai usato che mi sembra l'occasione perfetta per dare un attimo di celebrità anche a questa bella sostanza, usata nella farmacopea di mille anni fa.
Vai SrBr2, sacrificati e fatti onore sul vecchio bunsen!

 

Filo platino 1  Filo platino 2

Il filo nel suo "fodero" - Il filo pulito nella fiamma: nessuna colorazione

 

Filo platino 3  Filo platino 4

Il filo con una traccia di SrBr2: l'inconfondibile rosso dello stronzio

Alla fine una bel palleggio sterilizzatore tra fiamma e HCl ed il nobile metallo è bello pulito e lucente come nuovo, pronto, chissà quando, a ionizzare nuovamente qualche altro catione... pirocromogeno!

 
 
 

Il venditore di Montreal: come nasce una truffa... chimica!

Post n°165 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da paoloalbert

Sul sito di Rosalba (Crescere Creativamente) è ospitato il quattordicesimo Carnevale della Chimica, che ha come tema "La chimica delle nascite", da interpretarsi naturalmente in senso libero.
Prendendo spunto da un raccontino di Joe Schwacz, dirò di come può nascere una truffa chimica!
Sentite cosa dice il grande divulgatore della McGill University (protagonsti del racconto sono lo stesso professore ed un venditore di filtri per l'acqua di rubinetto, che tenta di convincerlo che l'acqua della rete idrica è piena di dannosissime "sostanze chimiche"):
 
...l'apparecchiatura che ne trasse faceva una certa impressione. Risultò che era una sorta di dispositivo elettrico comprendente un paio di asticelle metalliche che assomigliavano a elettrodi. Mi chiese poi dell'acqua presa dal mio rubinetto. La annusò e, evidentemente convinto che il liquido fosse abbastanza tossico, procedette a immergere in esso gli elettrodi. Poi esclamando: "E ora guardi!" collegò il dispositivo a una presa elettrica. In una trentina di secondi l'acqua cominciò a intorbidarsi ed entro un minuto aveva formato una repellente schiuma gialla. "Ha visto?" esclamò trionfalmente, lasciando intendere che grazie al passaggio di corrente elettrica egli aveva separato dalla soluzione quelle repellenti sostanze chimiche...
 
La storiella di cui sopra è tratta dalla prefazione del libro "Il genio della bottiglia", che conferma, assieme alle altre sue opere, che l'Autore è persona di sottile ironia nelle sue simpaticissime dimostrazioni di quanto sia popolarmente incompresa e a volte fuorviata ad arte la nostra amata scienza chimica. 
 
Qualche anno fa ricordo di aver visto (senza andare in Canada!) su qualche nostrana quanto balorda televendita esattamente ripetuta l'esperienza di quell'incauto venditore di Montreal: la voglio riproporre per l'occasione.
Consiste in questo: immergere in un bicchiere d'acqua di rubinetto due elettrodi metallici pulitissimi, collegarli alla corrente di casa e aspettare qualche minuto.

Dopo un po' nel bicchiere nuoterà una sgradevole torbidità marrone, che, agli occhi... degli allocchi sarà la prova inconfutabile che l'acqua, inizialmente bella, limpida e pulita, in realtà nascondeva chissà quali porcherie, abilmente tenute nascoste da quel cattivone del proprio Comune.

-"Ecco allora, cara signora, che con questo favoloso filtro che le propongo a pochi (in realtà molti!) euro, lei potrà finalmente bere acqua sana e perfettamente pura anche dal suo rubinetto..."
 
Dove sta il trucco? Il trucchetto, che è una truffa bella e buona, sta proprio in quei pulitissimi elettrodi, che sono sì pulitissimi, ma di ferro...
Per dirla in due parole, il ferro, sottoposto ad elettrolisi in acqua si ossida all'anodo come ione ferrico, il quale nell'ambiente debolmente alcalino della soluzione precipita come ossido ferrico idrato, simile a fiocchetti di ruggine di aspetto sgradevolmente "sporco".
Per una spiegazione approfondita di tutto il fenomeno bisognerebbe tirare in ballo la debole salinità dell'acqua dovuta alla sua durezza, l'ossidazione del ferro agli elettrodi (che si scambiano perchè siamo in corrente alternata), la progressiva alcalinizzazione della soluzione, e così via, ma verrebbe un discorso noioso.

Notare che l'elettrolisi può avvenire senza problemi anche alla normale tensione di rete (230 volt) perchè la resistività dell'acqua potabile è grande e non c'è pericolo di sovracorrente (nel mio caso, illustrato sotto, la corrente era circa 500 mA); d'altra parte l'effetto Joule di riscaldamento è notevole e la soluzione arriva in pochi minuti alla temperatura di ebollizione.
Ma tutto ciò, cioè l'assenza di sospetti alimentatori e la velocità di reazione, facilitano non poco il disonesto venditore.
 
E la massaia, che di chimica giustamente non sa un tubo, vede sotto i suoi occhi apparentemente senza trucco e senza inganno un liquido prima limpido e poi diventare "sporco" senza che nessuno l'abbia apparentemente sporcato...
Anche gli elettrodi erano perfetti all'inizio, al di sopra di ogni sospetto! Ergo, dice incoraggiata dal venditore, se gli inquinanti non sono venuti da nessuna parte dovevano essere già nell'acqua, anche se erano "invisibili"! 
 
Ingegnoso vero? In quanti ci saranno cascati in giro per il mondo? Quanti avranno comprato quel "favoloso filtro"?
Inutile dire che le "repellenti sostanze chimiche" si sarebbero rivelate identiche se si fosse fatto il test anche dopo la sua applicazione, ma nessuno pensa a questa lapalissiana richiesta...
 
Per tener fede al titolo di questo blog e in onore e alla salute di tutti i creduloni di questo mondo, ecco realizzata qui sotto l'esperienza della quale parla Joe Schwacz.
 
Più che le parole convincono le immagini, avrà detto quel venditore di Montreal, e lo dico anch'io.
Guardate:

Schwarcz 1
Acqua di rubinetto con gli elettrodi di ferro prima dell'elettrolisi: tutto bello limpido e pulito!

 

Schwarcz 2
Passa la corrente e cominciano a svolgesi bollicine di gas e vapore

 

Schwarcz 3
L'acqua comincia a introbidarsi e si riscalda notevolmente per effetto Joule

 

Schwarcz 4
Poco dopo si è già formato dell'idrossido ferrico disperso nel liquido

 

Schwarcz 5
Togliendo la corrente il precipitato marroncino comincia a flocculare

 

Schwarcz 6
Gli elettrodi si sono ossidati e la "ruggine" è in fondo al becker

 


Schwarcz 7 
Prima di buttar via tutto facciamo una semplicissima prova per la ricerca del ferro:
 
Bastano qualche goccia di acido cloridrico e di tiocianato di ammonio... ed ecco che l'arrossamento nel becker dimostra che la "porcheria" altro non era che il ferro degli elettrodi passato in soluzione!
 
Cosa si potrebbe fare per evitare questi e simili raggiri alla Joe Schwacz?
Ci sarebbe un sistema infallibile e semplicissimo: programmare e incoraggiare un minimo di formazione scientifica a tutti i livelli.
Se solo lo 0,1% dell'astronomica quantità di boiate televisive fosse sostituito da altrettanta divulgazione scientifica il mondo cambierebbe (ho detto lo 0,1%, non il dieci...).

Ma mi rendo conto che esistono poche cose così assurde e irrealizzabili.

 
 
 

Dal profondo Sud

Post n°164 pubblicato il 20 Febbraio 2012 da paoloalbert

 

Pietrapertosa 1

 

Ed eccoci a Pietrapertosa, sotto la neve, dall'unico posto in cui ho potuto fotografare un frammento di paese; impossibile fare quello che s'avea da fare in questa località (calpestare un po' di Dolomiti Lucane), ma visto il periodo basta essere riusciti ad arrivare...
Tutto il resto del breve programma "Profondo Sud" s'è fatto invece eccome, in lungo, in largo e con ampia soddisfazione!
Ora (per un po'), a casa.

 
 
 

Profondo Sud

Post n°163 pubblicato il 15 Febbraio 2012 da paoloalbert

Visto il periodo favorevole (inverno...), il clima ideale (un freddo boia...), le precipitazioni scarse (mezza Italia sotto la neve...), le strade percorribili (con la motoslitta...), ce ne andiamo qualche giorno a fare i turisti in questa zona:

 

Basilicata


Una delle mete, se mai ci arriveremo (lo so che fra una settimana è facile...), è il paesello in figura: che paesello è?

 

Pietrapertosa


(Lo dico al ritorno, con la fotografia aggiornata al periodo).

E gli alambicchi? Dimentichiamoli, per un pochino!

 
 
 

Laboratori quasi siberiani

Post n°162 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da paoloalbert

Oggi un grado sottozero nel mio lab, e un paio di notti fa meno quattordici fuori, là dove c'è il noce.
E chi ci pensa a fare sintesi in queste condizioni? Tiremm innanz... e il sole arriverà!

Solo mi arrabbio quando penso alla fatica che mi costa d'estate apparecchiare tutto quell'ambaradan di ciotoline col ghiaccio (che per quanto sia è sempre poco ed è subito fuso) per raffreddare qualche reazioncina da farsi rigorosamente "in ice bath"!

Dannate reazioni da condursi al freddo: vengono in mente sempre d'estate!
Sai come verrebbe bene l'acido antranilico in questi giorni?

Bah, è vero che non siamo mai contenti...

Nell'attesa delle primule godiamoci un insolito inno nazionale, che ci sta a fagiolo con questo clima: quello della Karelia.

 

 
 
 

Noci, nocini e polifenoli

Post n°161 pubblicato il 03 Febbraio 2012 da paoloalbert

Visto il mio vecchio noce commentato in atmosfera invernale, l'amico Marco mi invita, credo scherzosamente, a meditare sull'estrazione dello juglone dai malli delle noci.
Non è per niente una cattiva idea... ma ho già fatto questo lavoretto!
L'ho fatto in maniera poco chimica in verità, tant'è che il recipiente ultimo di reazione non è un pallone o una beuta ma una affusolata bottiglietta dove il prodotto, o meglio quello che ne resta, si trova più a suo agio.
Ecco qui sotto, fra i rami di un nocello giovane e ora spoglio che a suo tempo mi ha fornito i frutti, la sperimentale estrazione che ho fatto l'altr'anno.


Nocino


Ne era venuto un nocino da fine del mondo, messo in cantiere come si deve proprio il giorno di San Giovanni, perchè non si dica poi che non si è fatto tutto in regola.
Per un chimico le prove organolettiche sono ancor più di soddisfazione rispetto a un comune mortale; per esempio vengono assurdi pensieri come: 
-guarda che bel colore ambrato sempre più scuro che conferisce questo juglone (che è un naftochinone) al nocino che invecchia! 
-anche la catechina (un flavanolo) contribuisce all'aspetto, ma quanto? 
-che sia sovrastante il suo colore o il suo gusto astringente? 
-non par di sentire, all'assaggio attento, quella "legatura" tannica dell'acido gallico?
-ma che gusto questa deliziosa mix di polifenoli!
... e così via ragionando... discorsi da fuori di testa dirà qualcuno al quale la chimica sta leggermente indigesta.
Tornando in ambito chimico, ho visto girovagando in rete un bel lavoro sloveno proprio sull'estrazione dei polifenoli dallo Juglans regia, ovvero dal nostrano pregiato noce bianco. 
Il contenuto in juglone è abbastanza elevato (una quindicina di mg per grammo di noce verde), ma la separazione del medesimo da tutto l'estratto (il quale si può fare comodamente con i primi due alcoli), non è certo facilmente fattibile, o almeno non lo è con i miei mezzi.
L'estratto di noce verde, che in definitiva non è altro che un "nocino" non zuccherato e non aromatizzato, contiene una bella serie di polifenoli (in genere sotto forma di glicosidi), tutte sostanze fortemente antiossidanti.
Eccoli qui:

Juglone

Juglone
(relativamente tossico, 5-idrossinaftochinone 15 mg/g)


Catechina

Catechina (colorante, astringente, 0,15 mg/g)


Acido gallico

Acido gallico
(3,4,5-triidrossibenzoico, astringente, 0,7 mg/g)


Acido clorogenico

Acido clorogenico
(un estere dell'acido 3,4-diidrossicinnamico, 0,05 mg/g)


Acido protocatechico

Acido protocatechico
(3,4-diidrossibenzoico, 1 mg/g)

Quando bevete un vero nocino modenese, siete avvertiti voi allergici alla chimica!

 
 
 

Tempo di non sintesi...

Post n°160 pubblicato il 29 Gennaio 2012 da paoloalbert

Noce


A due passi dal mio lab c'è questo vecchio noce; d'estate è immerso in un tripudio di verde che lo mimetizza nel suo e nell'altrui colore.

L'inverno è invece la sua stagione: ecco come si pavoneggia, re nella natura dormiente.

Sono tempi adatti alla meditazione, magari sulle future sintesi che attendono la calda stagione.


 
 
 

Aspirina e DDT: cos'hanno in comune?

Post n°159 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da paoloalbert

Sembra una di quelle frasi al limite del paradosso, come quando si dice per ridere: -sai la differenza tra...?

Una risposta scontata potrebbe essere che le due molecole non hanno niente in comune, una essendo una farmaco e l'altra un veleno.
Come si può intuire, questa risposta è troppo semplicistica perchè c'è un denominatore comune fra di esse: sono entrambe fra quelle sostanze (tante ormai!) che hanno letteralmente cambiato il mondo.

Delle "molecole che hanno cambiato il mondo" si parla nel tredicesimo Carnevale della chimica, di cui il portale di divulgazione scientifica Gravità Zero raccoglie questo mese i lavori dei vari partecipanti alla prima edizione del 2012, continuando così questa bella iniziativa nonostante l'anno internazionale della chimica sia concluso.

Da parte mia, visto il carattere volutamente ed espressamente sperimentale di questo blog, qualche tempo fa avevo trattato due di queste molecole (quelle del titolo) in termini pratici, ovvero della loro sintesi in laboratorio.

L'aspirina® e il DDT


Come si può ben capire, riguardo queste due sostanze il web è pieno di notizie di ogni tipo e quindi non ne parlerò qui, rimandando senz'altro alla dovizia di altre e migliori trattazioni.

Per coloro che invece volessero provare a "sporcarsi le mani" e dare un'occhiata a come si possano proprio "fare" questi due composti, così diversi l'uno dall'altro, propongo una alternativa: possono venire con me in laboratorio.

Non sarà un sofisticato e pretenzioso laboratorio di ricerca, ma un semplice e modesto lab personale che si rifà, ogni volta con gioia e divertimento, a metodi e apparecchiature ormai quasi dimenticati e dimenticate.

La visita virtuale si fa con un paio di link interni al mio blog: questo per il Dicloro-difenil-tricloroetano e quest'altro per l'Acido acetilsalicilico.

(Per ritornare poi a questa pagina cliccare sull'immagine o sul nome del blog, in alto)

 
 
 

Il saggio di Tollens

Post n°158 pubblicato il 16 Gennaio 2012 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

L'isopropilbenzaldeide, preparata, o meglio estratta, l'altra volta si presta perfettamente per un semplice e importante saggio della chimica organica analitica classica.

Il saggio in oggetto è merito di questo simpatico vecchietto dell'immagine a fianco, bellissima figura dello scienziato d'altri tempi: si tratta di Bernhard Tollens.

Di lui dirò solo che anch'egli fa parte di quella prolifica famiglia di chimici tedeschi dell'ottocento che costituiscono lo "zoccolo duro" della chimica di quel periodo e di conseguenza di quella poi a venire.
Dopo la laurea studò chimica presso il laboratorio di Wohler, dove pure lavoravano Rudolf Fittig e Friedrich Beilstein (il padre del famoso Handbuch der Organischer Chemie, più tardi divenuto il colossale Beilstein database, che raccoglie i dati praticamente di tutte le sostanze organiche conosciute).
Tollens fu anche collega di persone del calibro di Erlenmeyer (l'inventore della beuta!) e di Wurtz a Parigi; tornato negli anni '70 a Gottinga condusse importanti studi sugli zuccheri ed è proprio in questo periodo che mise a punto quel famoso reagente tutt'ora usato per la ricerca delle aldeidi.

Il reattivo di Tollens si prepara in questo modo (le quantità non sono critiche):

- aggiungere a 2 ml di una soluzione 0,1 M di AgNO3 1 ml di NaOH 1 M; si formerà un precipitato bruno di Ag2O.

- aggiungere ora goccia a goccia ammoniaca a media concentrazione, agitando ogni volta, finchè tutto il precipitato si scioglie perfettamente e la soluzione diventa limpida.
Non eccedere con l'ammoniaca.
La soluzione del complesso di argento che si ottiene é un debole ossidante.
Ag2O + 2NH3 + H2O ——> [Ag(NH3)2]+ + 2 OH-


Tollens 1


La procedura

Aggiungere ad alcune gocce di campione circa 1 ml di reattivo. Agitare e riscaldare delicatamente.
In presenza di aldeide, questa si ossida ad acido e riduce l'[Ag(NH3)2]+ ad argento metallico che si deposita in parte sulle pareti della provetta formando un caratteristico specchio argentato secondo la reazione:

R-CHO + 2 [Ag(NH3)2]+ + 2 OH- —--> R-COOH + 2 Ag + 4 NH3 + H2O

Ho eseguito la prova del saggio di Tollens sulla cuminaldeide usando un paio di ml di reattivo e una goccia di campione estratto.
Riscaldando leggermente si forma un precipitato bruno di Ag metallico, che con riscaldamento ulteriore si trasforma in uno specchio, irregolare ma assolutamente inconfondibile.

Tollens 2    Tollens 3

 

 

 

 

 

 

Basta pochissima aldeide per far avvenire la reazione; ho provato con una frazione di goccia e la formazione dello specchio è ancora visibilissimo.

 

Tollens 4

 

E' noto che il reattivo di Tollens va preparato al momento e non si può conservare perchè tende a formare, soprattutto in eccesso di ammoniaca e dopo reazioni intermedie, nitruro d'argento Ag3N.
Questo costituisce il famoso argento fulminante di Berthollet, sostanza esplosiva estremamente sensibile all'urto (da non confondere con un'altra sostanza dalle medesime caratteristiche ma di formula totalmente diversa, il fulminato d'argento Ag-O-N=C).

 
 
 

Estrazione della cuminaldeide

Post n°157 pubblicato il 10 Gennaio 2012 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Qualcuno ha nell'orto il cumino?
Non credo... Almeno nel mio di sicuro non c'è... che pure, quand'è stagione, è discretamente fornito. Ma ho tutta roba "normale", niente di esotico. 

Il cumino è una pianticella erbacea di origine orientale della famiglia delle ombrellifere (come l'anice, il finocchio, il prezzemolo, ecc.) con dei piccoli semi oblunghi simili a quelli delle altre piante della famiglia.

Solo due parole sull'uso di questa pianta: nella cucina indiana è uno degli ingredienti fondamentali del curry, mentre nella nostra gastronomia viene riservata perlopiù a preparazioni di "polveri" per insaporire le carni.
Avendo un po' di tempo a disposizione, ho provato l'estrazione del principio aromatico contenuto nei semi del cumino.

Questo principio aromatico è appunto un'aldeide aromatica (stavolta in senso chimico, non in senso culinario!), e precisamente la 4-isopropilbenzaldeide, detta più comunemente cuminaldeide.
Oggi è lei  la nostra protagonista:

 

Cuminaldeide


- Procurarsi un po' di semi di cumino non è difficile, basta una bella drogheria come quelle di una volta (come nel mio caso) oppure un negozio di spezie decentemente fornito.
Ne ho comprati 50 g, 35 destinati ad essere sacrificati sull'altare della... scienza (!), e 15 tenuti per migliori fini aromatizzanti e mangerecci.

Ecco come ho proceduto per strappare a gran fatica quel poco di molecola odorosa che i piccoli semini cercavano di trattenersi con tutte le loro forze.

Cuminaldeide 1- macinare i semi di cumino in un mortaio; sono resistenti, ma insistere quanto basta fino a renderli una farina discretamente sottile. Questa operazione permette anche di pregustare ampiamente il buon profumo della cuminaldeide che andremo ad estrarre.



Cuminaldeide 2- mettere i semi macinati assieme a 400 ml d'acqua in un pallone da 500 ml e predisporre per la distillazione con refrigerante Liebig e relativi accessori.
Portare a ebollizione, badando che non ci sia schiumeggiamento che risale il collo del pallone; la separazione dell'aldeide avviene per distillazione in corrente di vapore, che può essere condotta anche in questo modo più semplice senza ricorrere al secondo pallone come generatore di vapore.

Nel nostro caso il vapore che si genera durante l'ebollizione è sufficiente a trascinare il prodotto in seno all'acqua che distilla (che infatti apparirà leggermente lattescente).

- continuare la distillazione fino a raccogliere circa 300 ml di liquido, rabboccando ogni tanto dal foro del termometro per tenere il livello dell'acqua nel pallone abbastanza costante.

Cuminaldeide 3- porre il liquido distillato in un imbuto separatore ed estrarre con almeno 5/6 porzioni da 10 ml ciascuna di cloruro di metilene CH2Cl2, sbattendo bene e lasciando lentamente decantare.
Riunire tutte le porzioni del solvente in una beuta e anidrificare con l'opportuna quantità di CaCl2 o Na2SO4.
Separare dai sali ed evaporare tutto il solvente riscaldando il liquido a bagnomaria in una capsulina.
Rimane alla fine un residuo di cuminaldeide (p.e. 235°) sotto forma di un liquido oleoso limpido con lieve tonalità giallina, dal forte odore particolare, che richiama il cumene, del quale avevo già parlato.

Il profumo non è proprio descrivibile, se non dire che è delicato ma molto speziato; insomma, sa proprio di... cumino!
Purtroppo la resa è stata scandalosamente modesta, come si può vedere nel fondo della provettina, ma in ordine con l'esiguo contenuto di isopropilbenzaldeide del materiale di partenza.

 

Cuminaldeide 4

 

Naturalmente il cumino contiene come al solito molte altre sostanze aromatiche oltre alla cuminaldeide, ma per la grande preponderanza che ha quest'ultima e per la procedura di estrazione, per i nostri scopi possiamo ritenere l'estratto come sufficientemente puro.
Se la resa fosse stata un po' più elevata avrei provato a caratterizzare trasformandola nel semicarbazone per trattamento con semicarbazide cloridrato.
Data la situazione è un'operazione che non farò; mi accontento di aver visto quest'aldeide e averne sentito il profumo.

Siete di quelli terrorizzati dalla parola "chimica"? Giammai "prodotti chimici" sulla vostra tavola?
Beh, se avete nell'orto il cumino (o se avete qualsiasi altra cosa...), non c'è niente da fare: siete anche voi produttori di ignobili sostanze chimiche!
Anzi, stavolta state gustando con soddisfazione, senza saperlo, niente di meno che della spregevole 4-ISOPROPILBENZALDEIDE!


Passato l'appetito? A me no... è aumentato!

 

 
 
 

Intervallo

Post n°156 pubblicato il 02 Gennaio 2012 da paoloalbert

Anche questo è uno dei periodici intervallini, un po' diverso dal solito.

Esisteva un tempo il Regno della STASI, una delle meno democratiche nazioni sulla faccia della Terra.

Aveva (come il solito...) la parola "democratico" nel nome, e tanto basterebbe a renderla sospetta e sicuramente non confacente all'aggettivo.

Ma aveva, quella Nazione, un inno nazionale meraviglioso, forse (per me) il più bello fra gli inni nazionali, capolavoro di Hanns Eisler; anche il testo (va ascoltato in tedesco!) è splendido.

Ecco Auferstanden aus Ruinen:

 

 
 
 

Chimica e letteratura gotica

Post n°155 pubblicato il 28 Dicembre 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Uno dei libri della mia piccola biblioteca ai quali sono più affezionato (sono affezionato a tanti, in realtà!) è questo che si vede qui sotto in fotografia:

 

Jekill Hyde


è l'edizione originale del 1946 dei Gialli Mondadori del capolavoro di Stevenson, "Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde", uno dei racconti più noti, e forse non letto come meriterebbe.
Questa bella edizione ha anche il pregio di essere tradotta (da Ida Lori) in maniera elegante e assai più aderente allo spirito vittoriano di tante altre moderne e artefatte traduzioni.

Anch'esso ha contribuito a quell'imprinting che ha mi inoculato fin da giovane il virus chimico nel DNA.

Il racconto è uno dei più grandi e importanti classici della letteratura gotica, e si sviluppa tutto sulla eterna conflittualità tra la due dimensioni insite indissolubilmente nella natura umana in un equilibrio instabile, ovvero la coesistenza del Bene col Male, o viceversa.
Questo dualismo Bene-Male è comune in tanti stupendi classici di questo tipo di letteratura ottocentesca tipicamente anglosassone, da Poe (I racconti del mistero e del terrore), a Shelley (Frankenstein), a Wilde (Il ritratto di Dorian Gray), a Doyle (alcuni racconti di Sherlock Holmes), ecc...

Lo sdoppiamento della personalità è descritta in modo magistrale da Stevenson, con tutti gli ingredienti per rendere il racconto estremamente avvincente, inserito profondamente all'interno di quella ben definita società vittoriana già di per sè avvincente, almeno per chi scrive, per la sua abissale differenza tra di essa e la nostra mediterranea imprevedibilità.

Ho letto questo romanzo non so quante volte, e ogni volta, soprattutto da giovane, affascinato oltre che dal momento letterario, anche dalla parte "pratica" degli esperimenti del dottor Jekyll, alle prese con miscelazioni di sostanze finalizzate alla produzione di quell'elisir capace non solo di sdoppiare la personalità dell'individuo, ma di farlo addirittura producendo materialmente due individui completamente e fisicamente diversi.

Mettendo i due personaggi in provetta (anche Stevenson mi perdonerà...), potremmo scrivere la reazione:

Jekyll <---> Hyde con la doppia freccia dell'equilibrio (un equilibrio molto precario!).

Con sacrilega noncuranza potremmo perfino calcolarne la costante di equilibrio:

K = [Hy]/[Jk]

come se non sapessimo che tale costante riguarda non solo la coppia letteraria Jk/Hy, ma tutti noi...

L'analisi del laboratorio chimico del Dottor Jekyll mi sembra interessante, anche se purtroppo (e per forza!) Stevenson non può scendere in particolari.
Sentite questa nel testo originale:

-...a blood-red liquor, which was highly pungent to the sense of smell and seemed to me to contain phosphorus and some volatile ether...-

Per speculazione mentale che faccio per ridere (è lecito, no?) mi chiedo come chimico sperimentale: quale immaginaria sintesi organica avrà mai realizzato Jekyll?

E' significativo che Stevenson ci metta un solo elemento certo, il fosforo, elemento che racchiude in se il Bene e il Male, la vita e la morte.
E alla fine scopriamo che la terribile pozione non era più efficace per "tornare indietro", da Hyde a Jekyll, dal Male al Bene, non a causa della scarsa purezza dei reagenti, ma proprio per la "mancanza" di certe impurezze, impossibili per loro natura da determinare...
Quali saranno stati quei reagenti? Quali quelle misteriose impurezze...?

Naturalmente la risposta a queste domande è più che scontata... ma si sa, la fantasia, ancor più se evocata e stimolata da un buon libro, non ha limite.

In un altro piccolo particolare Stevenson è chimicamente preciso: quando fa suicidare in un momento drammatico il disperato Jekyll, ormai irreversibilmente prigioniero nel corpo e nell'anima di Hyde:

-...the crushed phial in the hand and the strong smell of kernels that hung upon the air...-

Senza nominarlo esplicitamente, mette in mano all'infelice protagonista il veleno più gotico che ci sia quale giudice supremo del suo destino: l'acido prussico.

Innumerevoli sono i racconti gialli e noir nei quali si avvelenano i personaggi con l'HCN... (mi viene in mente un altro vecchissimo giallo, "Un uomo qualunque"); in questi casi, ma vogliamo scherzare! il veleno DEVE essere "acido prussico", non chiamiamolo acido cianidrico per favore!

Come dicevo all'inizio, importante fu anche questo libro riguardo la mia passione per la chimica sperimentale (non l'ho letto nel 1946, sia ben chiaro...), e concludo con una prosaica riflessione sulla natura umana così assolutamente misteriosa nei suoi sviluppi: ci sono milioni di persone che hanno letto questo libro e che non sono state colpite dal virus chimico... e così altrettante considerazioni le possiamo fare su altre infinite cose.

A lungo termine, tutto è così imprevedibile!

 
 
 

Natale duemilaundici

Post n°154 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da paoloalbert

 

Buon 2011

 
 
 

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