Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

Messaggi di Giugno 2012

Silice blù: la fine

Post n°186 pubblicato il 27 Giugno 2012 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Questo dovrebbe essere l'ultimo lavoro riguardo la saga della silice blù, e l'inizio del periodo annuale di rarefazione dei post su questo blog.
Ogni tanto metterò qualcosa, ma con meno frequenza, in accordo con la mia limitata disponibilità estiva di accesso a Internet.
Ho verificato che, volendo, se ne può fare un uso meno intensivo senza traumi da astinenza.
 
Allora, riprendiamo in mano per l'ultima volta il famigerato sacchetto di silice per gatti e scegliamo una bella manciatina di granelli blù; stavolta ne ho presi 6 grammi, che essendo molto leggeri fanno una mezza mortaiata da macinare finemente.
Per fortuna sono facilissimi e teneri da ridurre in polvere, niente a che vedere con la durezza che la parola silice evoca.
Questa prova consiste nel mettere in pratica il suggerimento di Paolo Gifh, che consigliava di tentare di sciogliere il colorante con un solvente opportuno, lasciando inalterata la silice.
Ho provato con vari solventi, polari e apolari e che non vado a citare: quello decisamente migliore si è dimostrato il banale esano.
(Lo considero un solvente stupido: non mi piacciono le sostanze poco o niente reattive!)
 
Contrariamente al solito, non ho documentato con foto nessuna fase del lavoro: per una volta credetemi sulla parola...
 
Dopo vigorosa agitazione della polvere col solvente, l'ho lasciato in contatto per molte ore, mescolando ogni tanto, per cercare di portar fuori dal reticolo cristallino la maggior quantità di colorante possibile.
La soluzione subito si colora di un bel blù promettente che però non scurisce più di tanto e in nessun modo si riesce a decolorare i granelli completamente, nemmeno con più estrazioni.
Forse con un soxleht si riuscirebbe a far di meglio, ma mi sono comunque accontentato di una bella capsulina di esano colorato.
Direi che ho estratto circa la metà del colorante contenuto nel campione e l'ho ritenuto sufficiente. 
 
Ho decantato la soluzione limpida ed evaporato tranquillamente al sole, ottenendo prima un liquido sempre più scuro fino ad un concentrato viola che si è risolto alla fine in pochi milligrammi di polverina scura.
Un saggio estemporaneo alla fiamma ed il comportamento alla combustione mi ha fornito l'iniziale sospetto che la sostanza fosse organica... totalmente organica intendo, senza metalli coordinati alla molecola.
Ma era un'idea sicuramente da verificare.
Ho arroventato allora la sostanza poco sotto il calor rosso, per trasformare l'eventuale metallo in ossido; il residuo (sempre meno!) si è risolto in una puntina di polvere scura; ho aggiunto qualche goccia di HCl e HNO3 per ossidare il tutto e trasformare il più possibile l'eventuale metallo in sale solubile, sul quale condurre le prove finali.
 
Sulla poca soluzione cloridrica ho iniziato per scaramanzia con la ricerca del ferro: alleluja, viene negativa!
Poi il rame... il nichel... il cobalto... tutte negative! (Sembra proprio anche il Co: che strano)
E quel residuo scuro? Ritengo fosse semplicemente carbonio: se avessi insistito con l'arroventamento sono sicuro che sarei rimasto con la capsulina vuota e pulita.

Non ci sono metalli in quella roba (o almeno io non li ho trovati).

Conclusione: l'ipotesi che a questo punto mi sento di fare è che il colorante sia del tutto organico (il colmo sarebbe se fosse veramente estratto di cavolo rosso, vero Teresa? :) :) )
Definire con esattezza COSA sia la sostanza con precisione è assolutamente impossibile con analisi di questo tipo, come facilmente si comprenderà.
Solo in Cina sanno esattamente cosa hanno aggiunto al precipitato siliceo...
 
Questa volta è veramente finita...
                    
B U O N E   V A C A N Z E   A   T U T T I !

 
 
 

Il Flogisto e il "peso negativo"

Post n°185 pubblicato il 21 Giugno 2012 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Sono convinto che la realtà superi sempre la fantasia.
Tuttavia vi è (almeno) un caso storico dove sembra che questa affermazione possa essere messa in dubbio: solo una fantasia galoppante poteva superare la concreta realtà del concetto di "peso" di un oggetto, nel senso ovvio che più si aggiunge massa più quell'oggetto peserà.
Lapalissiano! Mica tanto... c'è stato anche chi si è spinto ad asserire il contrario.
Ma partiamo dal principio.

Lo sviluppo dell'arte mineraria e metallurgica nei secoli XIV, XV e XVI aveva spinto gli studiosi a prestare particolare attenzione al fenomeno per cui un metallo sottoposto all'azione del fuoco in presenza di aria si trasformava in una "calce" (noi oggi la chiamiamo "ossido") oppure, viceversa, che una calce opportunamente trattata poteva ripristinare il metallo di partenza.
La somiglianza esteriore fra i prodotti di una normale combustione e quelli di una calcinazione faceva pensare ad una sorta di analogia tra i due fenomeni.
Si deve allo iatrochimico tedesco (seguace di Paracelso) Johann Beker e al suo allievo Georg Ernst Stahl (1660-1734) la prima spiegazione unitaria dei due fenomeni; lo fecero tirando in ballo una "sostanza" che sarebbe rimasta in favor di scienza per lunghi anni a venire, fino ed oltre alle inconfutabili esperienze del "rivoluzionario" Lavoisier (al collo del quale, a dire il vero, la parola rivoluzione non giovò certamente...).

La "sostanza" che Stahl introdusse artificialmente per spiegare i fenomeni di cui sopra derivava dalla "terra infiammabile" di Beker e la chiamò FLOGISTO, cioè "pricipio di infiammabilità", presente in quasi tutti i corpi naturali: animali, vegetali e minerali.
Ogni corpo che in qualche modo potesse dar luogo ad una sorta di combustione conteneva il flogisto, che veniva liberato dalla combustione stessa, secondo lo schema:

materia combustibile (in senso lato) --> materia deflogisticata + flogisto

Il flogisto si allontanava dall'ambiente di reazione e si disperdeva nell'aria, producendo i fenomeni termici associati alla combustione; l'aria dunque non partecipava alla reazione, ma aveva un ruolo puramente fisico di dispersione del flogisto.
Si capisce che sostanze facilmente combustibili e infiammabili fossero considerate ricchissime in flogisto, mentre poche altre (la sabbia, il sale, ...) ne erano prive.

E i metalli?
I metalli non bruciano, ma... calcinano! E allora anch'essi dovevano contenere il flogisto, secondo il seguente ragionamento:

metallo --> calce + flogisto

Ecco accomunati, grazie a questo nuovo amico, i due fenomeni apparentemente simili della combustione e della calcinazione!
E il flogisto, una volta liberato, dove andava a finire?
Per esso iniziava un vero e proprio ciclo, che lo portava ad essere prima assorbito dalle piante, da queste passava agli animali e da questi finalmente ritornava al regno minerale.
Il "principio di infiammabilità" poteva perciò tramettersi da una sostanza all'altra all'interno dei tre regni della natura.
Per esempio mescolando e arroventando una calce (un ossido) con carbone (ricchissimo in flogisto) si poteva ripristinare il metallo facendo assorbire alla calce l'eccesso di flogisto del carbone.

Col senno di poi noi diremmo: PbO + C --> Pb + CO
Stahl diceva: Calce di piombo + Carbone(flogisticato) --> Piombo(flogisticato) + Carbone(deflogisticato)

Suggestivo vero? Ma adesso viene il bello.

Essendo il flogisto considerato una "terra" (quella infiammabile di Beker!) doveva essere dotato di peso, e ciò creava non pochi problemi all'interno della teoria, poichè era noto che una "calce" pesava di più del metallo che l'aveva generata.

Ma un metallo che ne perde un pezzo (il flogisto) alla fine deve pesare DI MENO, non di più'! Come la mettiamo?
Semplice: questa anomalia, in nome della potenza esplicativa della teoria, veniva semplicemente trascurata, o ritenuta irrilevante, o si pensava che si sarebbe potuta spiegare in futuro.
Qualcuno, più ortodosso, pensò perfino ad una soluzione elegantissima, da vero principe del Foro: la calce pesa di più? Elementare Watson: è perchè il flogisto ha un peso "negativo"! Ergo, più ne togli e più pesa il rimanente!
Geniale il salvagente per la teoria, vero?


A parte la facile ironia, c'è però da dire che Lavoisier non era ancora arrivato ed il metodo quantitativo, fondamentale per i futuri sviluppi della chimica, non aveva in quel periodo quel significato che noi oggi diamo per scontato.
Semplicemente ci si faceva poco caso.
La teoria di Stahl ebbe grande successo in tutta l'Europa scientifica del settecento, con seguaci assolutamente illustri fino agli inizi del XIX secolo; ci vorrà la forza sperimentale di Antoine Laurent Lavoisier per sconvolgere completamente l'edificio storico e sperimentale della chimica, facendo alla fine crollare anche la suggestiva teoria del flogisto, da allora evaporato nel nulla, rendendoci tutti inesorabilmente e perennemente "deflogisticati".

 
 
 

Aggiornamento al post n. 180

Post n°184 pubblicato il 16 Giugno 2012 da paoloalbert

Il mistero del colorante blù del gel di silice continua... -"Come primaaa, più di primaaaa...", cantava una volta Tony Dallara!
La pulce nell'orecchio che mi ha suggerito il bravo Paolo Gifh ha dato i suoi frutti: per essere sicuri che il ferro derivasse veramente dal pigmento blù e non da qualche altra parte, mi ha indirettamente consigliato di fare una prova in bianco.
L'ho fatta e siamo d'accapo!

Ho appunto rifatto (e anche con maggior cura) la medesima procedura vista precedentemente di attacco del gel di silice con acido fluoridrico e ripresa del residuo secco con HCl, sulla cui soluzione fare poi il test per il ferro o altro eventuale.
Ho preso stavolta SOLO granellini incolori, senza quelli colorati: se il colorante è il catione ferro, in questo campione in teoria non dovrebbe esserci!
Qui sotto si vede la soluzione fluoridrica prima di essere concentrata e tirata a secco, e stavolta non è verde. Un piccolo buon segno!

 

Gel Si 8

 

Una volta arrivati a secco... ecco la prima sorpresa: un bel residuo inaspettato, color beige.

 

Gel Si 8


Aggiungo HCl sperando che NON diventi giallo e invece... giallo come un mandarino cinese!

 

Gel Si 9


Mannaggia, c'è ferro anche stavolta, quel colore lì ormai è un'ossessione e lo conosco bene.
...ho fatto le prove del ferro svogliatamente, sapendo già che sarebbero venute positivissime.

Conclusione: il ferro E' nel gel di silice, indipendentemente se sia colorato o meno.

Per sapere le cose con esattezza bisognerebbe fare una analisi quantitativa come si deve e vedere se nei granelli blù c'è PIU' ferro rispetto a quelli incolori.
Naturalmente un'analisi di questo tipo esula completamente dalle mie possibilità, e pertanto dichiaro ufficialmente "sospeso" (non archiviato!) il caso, in attesa di future informazioni che ci illuminino su questo piccolo giallo del gel di silice colorato.

(Prima di chiudere bottega e sistemare la vetreria mi sono levato un ultimissimo scrupolo: ho fatto la prova in bianco anche sull'acido fluoridrico, pur sapendo che era puro e del tutto esente da ferro... come effettivamente era!).

La saga continua...

 
 
 

Il problema del vaso poroso

Post n°183 pubblicato il 13 Giugno 2012 da paoloalbert

Quando si ha a che fare con l'elettrochimica prima o poi non si scappa: si ha il problema del "vaso poroso"!

E' un elemento indispensabile quando le soluzioni in gioco sono due (come spesso accade), le quali non devono mescolarsi ma deve essere consentito uno scambio ionico tra di esse.

L'esempio classico sono le pile Daniell, Bunsen o Leclanchè, dove i due metalli sono nella rispettiva semicella separati appunto da un introvabile "vaso poroso".

Anch'io non sapevo mai come risolvere questo problema... fino a ieri, quando sono riuscito inaspettatamente a farmi fare da un artigiano della ceramica il cilindretto che si vede in foto.
Ha un diametro di 35 mm ed è alto il doppio e naturalmente è cotto ad un migliaio di gradi ma senza lo smalto che lo renderebbe lucido e impermeabile.
Riempito d'acqua, dopo un po' lo si sente leggermente "sudare" all'esterno.

Finalmente potrò tentare un esperimento di elettrochimica al quale pensavo da tempo e qualcos'altro che mi verrà in mente.

 

Vaso poroso


Ecco un problema che sembrava del tutto irrisolubile e che si è invece felicemente concluso!

 

 
 
 

Colorimetro PA mode, release 2.0

Post n°182 pubblicato il 08 Giugno 2012 da paoloalbert

I lettori più affezionati di questo blog ricorderanno che nei post dal 96 al 99 si parlò di un "C O L O R I M E T R O" che avevo costruito quasi per gioco, in una delle mie alternanze ricorrenti tra hobby chimico ed hobby elettronico.
Non rifaccio qui tutto il discorso, ma rimando eventualmente a quelle pagine con questo link.

Il punto più debole della prima versione dell'apparecchio era la celletta di misura; in questa viene inserito il campione da analizzare, sotto forma di una soluzione più o meno colorata.
Quella costruita a suo tempo era veramente troppo rudimentale e poco affidabile ed è servita solo come verifica del funzionamento di principio dello strumento, con poche possibilità di eseguire qualche misura degna di questo nome.

Ora ho ricostruito la celletta in maniera leggermente diversa, con più cura e con dimensioni adeguate a contenere esattamente una cuvetta da 10 mm per spettrofotometria (non quelle costosissime in quarzo, ovviamente!).

 

Celletta nuova

 

Le due "protuberanze" in tubetto di rame che si vedono nell'immagine contengono rispettivamente un diodo LED di illuminazione (a destra) ed un fototransistor di lettura (a sinistra).

La luce emessa dal LED (di una certa lunghezza d'onda) è costretta ad attraversare il campione posto nel mezzo ed il raggio luminoso uscente viene captato dal fotoTR, il quale produce un segnale che è mandato poi al resto del circuito.
E' intuitivo pensare che il raggio luminoso "uscente" sarà tanto più attenuato tanto maggiore sarà la concentrazione del liquido colorato attraversato; meno intuitivo è il fatto che l'attenuazione non è affatto uguale per tutte le lunghezze d'onda della luce (quindi per tutti i colori) ma ogni sostanza ha una curva di attenuazione specifica, che varia moltissimo in funzione di questa lunghezza d'onda.

Ecco per esempio qui sotto il grafico che rappresenta "l'assorbanza" del blù di metilene in funzione del colore incidente: mentre nel viola-blù l'assorbimento è minimo, nel rosso cupo esso aumenta di circa 70mila volte.

 

Assorbimento blù metilene


Ciò può essere sfruttato per misurare per esempio concentrazioni incognite di sostanze con il metodo spettrofotometrico (ved. altrove per chi vuole approfondire).
Ho testato il mio apparecchietto con alcuni cationi e anioni colorati ed anche proprio col blù di metilene, per il quale esso  sembra avere un particolare feeling... con i risultati che si vedono nel sottostante grafico.

 

Colorimetro metilene


In ascisse del grafico c'è la concentrazione in mg/l di sostanza ed in ordinate la lettura al milliamperometro, in una scala arbitraria da 0 a 50.
L'illuminazione, in accordo con quanto detto sopra, è stata fatta nel rosso a 630 nm.
Mi ha stupito l'estrema sensibilità verso questo (potentissimo) colorante, dato che possono essere misurate quantità dell'ordine di frazioni di mg per litro, che corrispondono per esempio a soluzioni molar-milionesime o molar-decimilionesime!
Questa è la massima sensibilità che ho finora verificato per lo strumento, se mi è concesso questo termine.

Naturalmente tutto questo è stato fatto per gioco (vogliamo essere più generosi? Diciamo allora per ricerca personale...) e non vi è nessuna velleità di misurazioni quantitative nè di impiego pratico di questo "colorimetro alla mia maniera".

Ma rimane molto forte e impagabile, questa sì, la soddisfazione di aver fatto (e imparato!) qualcosa abbinando la teoria con la pratica, la chimica con l'elettronica... mixando semplicemente un paio di hobbies. Cosa si vuole di più?

 
 
 

Intermezzo messicano

Post n°181 pubblicato il 03 Giugno 2012 da paoloalbert

Una immagine vale come mille parole... si dice, ed è vero.
Le immagini che propongo in questo intermezzo nascono dal fascino che su di me esercita la magia quasi alchimistica dell'estrazione degli elementi dalla terra.

 

Conicalcite 1

 

Il bel minerale verde che si vede (è un piccolo souvenir che mi sono regalato) deriva dall'alterazione ossidativa di minerali di rame e arsenico ed è un arseniato idrato di rame e calcio, di formula CuCa(AsO4)(OH).

Si chiama Conicalcite e non ha niente a che vedere con la calcite (carbonato di calcio) ma deve il nome all'allusione dal greco "chalkos" (rame) e "koni" (polvere).
Si presenta come spalmature granulose verdi brillanti su un fondo generalmente ferritico.
Il campione deriva dalla miniera Ojuela di Mapimi, in provincia di Durango, Messico.

Mi piace sempre collegare le cose alla loro origine... e allora con la magia di Street View piacevolmente girovago per le deserte vie di sperdute località nel cuore del Messico.
E' emozionante girare il Mondo anche in questo modo.
Per me lo è davvero, e lo faccio spessissimo; non in posti turistici ma quasi sempre in luoghi altrimenti inaccessibili.

 

 
 
 

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