milano 2006

domus 897 e una ragazza


domus 897 per scritti e progetti illustrati credo sia il più bel numero degli ultimi dieci anni. nove di preciso. prima non lo so perché lo seguo dal febbraio del 1997. la rivista si apre con un omaggio (la copertina e i suoi risvolti) allo scomparso allan fletcher con la dicitura ‘i segni sono tutto’ che potrebbe sembrare un tributo ambiguo alla cultura iconoclasta. segue un lungo racconto-editoriale di doninelli intitolato ‘l’alba del degrado’ (di cui ho letto metà perché mi è parso stilisticamente molto meno convincente del milanese parazzoli. entrambi parlano di milano. ma quest’ultimo è pur sempre uno scrittore – di non eccelso livello – mentre luca è un giornalista – nel senso che scrive da giornalista – e pertanto non lo ritengo degno di lettura. e al di là delle mie – fondate - idiosincrasie il testo non si capisce dove voglia andare a parare. non lo rileggerò). i progetti pubblicati sono principalmente il glass pavilion dei sanaa e il recupero dello zollverein kohlenwasche di oma. due capolavori antitetici. uno trasparente e cristallino, l’altro impenetrabile e cupo. segue uno scritto di augé ‘il potere dell’architetto’ dove non viene detto nulla di rilevante (augé quando parla di architettura vacilla sempre. ed è tristemente noto più agli architetti che agli antropologi – almeno in italia – per la sua celebre definizione di ‘non luoghi’ di cui già la letteratura parlava da parecchi anni – basta leggersi ‘la città di vetro’ di paul auster). prima però del gran finale con il solito baudrillard che straparla ancora usando la macchina per (o da) scrivere o la pellicola perché il suo mondo mentale non comprende la post-post-modernità di cui parla sempre (jean è un altro estraneo all’architettura preso a prestito dalla filosofia come già fu fatto con heidegger etc.), c’è uno splendido scritto di andrea branzi ‘la rivoluzione viscerale’ che diventerà il manifesto delle avanguardie artistiche del ventunesimo secolo. ‘la rivoluzione viscerale è questa: le viscere della città costituiscono oggi il nucleo centrale del suo funzionamento; la forma esterna è accessoria e poco significativa. questa è dunque la prima ‘interiorizzazione’ di cui parliamo. la seconda è un derivato della prima, ma riguarda altre questioni. in un simile contesto infatti l’architettura comincia finalmente ad avviarsi verso un livello di ‘astrazione’, cioè di superamento del proprio vecchio limite ‘figurativo’, per diventare anch’essa (come l’arte, la musica e la letteratura) un sistema, una semiosfera non da guardare ma da sperimentare, perché fatta di percezioni, emozioni, informazioni in continua trasformazione […]’. insomma non solo si è superato il costruttivismo rilanciato da koolhaas, ma lo si è fatto trasmigrare verso l’interiorità della sensorialità. l’architettura oltre le quattro dimensioni proustiane. oltre la triade vitruviana. oltre la metabolizzazione. l’architettura sta diventando un organismo autorigenerantesi. un organismo non più dipendente dal ‘meccanico’ come le novecentesche macchine (per abitare) ma un organismo che trasforma se stesso e le proprie vecchie cellule rigenerandone nuove dal di dentro. la città rimane com’è ma l’interno di ogni cellula…abitativa…o organismo…edilizio…o zona…si adegua ai nuovi abitanti che la popolano (che non sono persone ma esigenze). insomma l’interior design sarà il futuro? questo sembra dirci. in realtà gli ubiquitous (si scriverà così?) computer - una domotica all’ennesima potenza – gestiranno gli spazi, la percezione che abbiamo d’essi e scomparirà l’abitudine di cui parla proust. insomma pare che l’architettura sia destinata a diventare impalpabile. mentre gregotti nella sua epoca dell’incessante continua a studiarsi i fondamenti della disciplina a braccetto con baudrillard. molto toccante, sempre in domus, il composto omaggio all’eleganza di vico magistretti. oggi mentre pensavo al campanile di proust stavo cercando un cd con le ballate di chopin all’ipercoop. c’erano solo i notturni di pollini (un prezioso regalo di natale…). in compenso alla cassa avevo davanti due ragazze belle. soprattutto la prima che stava pagando. ogni tanto mi guardava. forse chiedendosi se avevo notato quel suo maglioncino nero a vi che si chiudeva sovrapposto tipo giacca monopetto. le stava veramente bene. soprattutto perché aveva un seno piccolissimo. era una ragazza splendida. giovane ma aveva l’espressione vissuta di un’attrice americana di cui ora mi sfugge il nome (ha fatto recentemente un film osceno ‘che parlava di una casa sul lago di un architetto famoso che aveva un figlio di cui la tipa si innamora e si scrivono lettere a distanza di mesi’ – è tutto vero purtroppo). non ero il suo tipo ma con me ci sarebbe stata comunque, non so perché. io comunque ho comprato una confezione di 6 lattine di coca light, un dentifricio e il secondo volume della recherche. vado a leggere (sono ovviamente ancora al primo volume..)