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II

Post n°2 pubblicato il 04 Agosto 2006 da Larka4

II

 

21 ottobre 2005 - Milano

Dopo una lunga notte trascorsa a dipingere il corpo di una delle sue amanti, Rebecca, Axel si addormentò alle sei del mattino.

A quell’ora la città sembrava risvegliarsi. Le foglie gialle e secche lasciavano spogli gli alberi e si poggiavano sul grigiore del marciapiede. Un lieve vento le spostava disperdendole per le vie della città. Il sole lottava inutilmente per liberarsi dalle fittizie nuvole. Gli edicolanti alzavano le saracinesche e disponevano i quotidiani. Gli uccelli, come ogni mattina, cinguettavano fino a disturbare chiunque tentasse di guadagnare qualche minuto di sonno prima di alzarsi e prepararsi per una nuova giornata lavorativa.

Tuttavia Axel non si accorgeva di nulla. Aveva poggiato il capo su un piccolo cuscino quadrangolare e aveva disteso il corpo sul divano disposto vicino alla sua tela.

Egli aveva abbandonato Rebecca nel letto. Riteneva che fosse un atteggiamento scorretto ed irrispettoso dormirle accanto. Lui non dormiva vicino a nessuna amante. Talvolta questo suo comportamento veniva frainteso. Le donne, infatti, credevano che fosse ingiusto essere lasciate sole dopo una relazione sessuale, non comprendevano che forse quell’abbandono, in realtà, era un segno di rispetto. In quel momento, esse avrebbero dovuto comprendere che tutto è stato un puro divertimento e che sarebbe inutile farsi illusioni. Avrebbero dovuto capacitarsi a riconoscere che la solitudine è la migliore compagna dopo una relazione sessuale e che essa è meglio di qualsiasi amante ipocrita e bugiardo.

Axel, non si preoccupava dei pensieri altrui. Era convinto che fosse sufficiente avere l’auto-consapevolezza che quelle donne non erano un semplice oggetto sessuale ma pura fonte d’ispirazione. Esse non lo potevano condurre al raggiungimento della stabilità, della compiutezza.

Quelle donne davano un senso alla sua arte ma non dimostravano quale potesse essere la finalità di questa.

 

Alle sei e mezza Rebecca si svegliò. Uscì dalla camera da letto e si recò in salotto per dare un’occhiata fuggitiva alla tela in cui era stata rappresentata. Non riusciva a comprenderla, non le importava come fosse. L’arte era solo un pretesto. Lei desiderava Axel e non riusciva a realizzare come costui fosse totalmente indifferente nei suoi confronti.

Si vestì lentamente e tentando di non far rumore uscì dalla camera ed andò in cucina per prepararsi un tè caldo. Lasciò la teiera sul fuoco e ritornò in salotto per vedere Axel mentre dormiva.

Non voleva svegliarlo ma ciò fu inevitabile. Si avvicinò a lui e dolcemente con le dite gli accarezzò le labbra.

Lui si svegliò spaventato come se fosse stato un frastuono a interrompere il contenuto latente del suo sogno. Aprì gli occhi e con uno sguardo di disprezzo fissò Larka. Non doveva osare. Lui non tollerava quelle affettività da un’amante e tanto meno non tollerava che qualcuno potesse interrompere il suo profondo sonno. La spinse debolmente lontano da sé e si alzò senza dire una parola.

Andò in bagno e spogliatosi si fece una doccia. L’acqua scendeva sul suo corpo nudo. Il grande tatuaggio sul petto, un grosso drago color fucsia con denti e coda verdi, sembrava prendere vita ogni volta che sospirava, ogni volta che una goccia d’acqua gli attraversa il corpo. I suoi addominali scolpiti sembravano esser tratteggiati da un disegnatore.

Uscì dalla doccia e dopo essersi asciugato e infilato i boxer neri, gironzolando come uno straniero in terra ignota, raccolse i primi indumenti che trovò dispersi in casa e li indossò.

 

- Io esco, spero di non trovarti qui quando torno! – pronunciando quelle parole, Axel si diresse verso la porta e se ne andò.

Rebecca rimase lì. Sola. Meravigliata. Disgustata. Non riusciva a credere a quello che aveva sentito. Non riusciva a comprendere che potessero realmente esistere persone prive di sensibilità come Axel. Era ferita, delusa e dentro di lei il desiderio si era trasformato in repulsione ma soprattutto in disprezzo. Desiderava ribellarsi a quell’invito obbligato, desiderava alzargli le mani per rivendicare l’orgoglio di tutte le donne sfruttate come oggetto sessuale. Ma lui non le aveva dato il tempo. Era fuggito. A lei non rimaneva altro che andarsene.

Controllò che non si fosse dimenticata qualche cosa per la casa. Aveva fretta, voleva fuggire e ormai aveva deciso che non sarebbe mai più tornata in quell’abitazione. L’umiliazione era troppo grande. Non avrebbe permesso mai più a nessuno di trattarla in tal modo.

 

Axel salì in auto.

Era incredibile come quell’auto gli trasmettesse la sensazione di poter dominare il mondo,  l’emozione di poter vedere lo scorrere delle scene della propria vita in pochi secondi, la consapevolezza che nulla è per sempre perché tutto finisce e potrebbe terminare quando meno ce lo si aspetta. Probabilmente era logico che lui provasse tutto ciò, d'altronde la sua era un’auto che pochissimi potevano permettersi. Essa era una bellissima, nera Porsche 911 Carrera 4S. Un auto del valore di novantaseimila settecentoventotto euro, un’auto con un motore a tremila ottocentoventiquattro centimetri cubi di cilindrata, sei cilindri e in grado di compiere quattro mila seicento giri in un minuto.

Tuttavia i dati relativi al motore ad Axel non interessavano. Lui adorava quell’auto perché riteneva che il design di questa fosse l’unica cosa perfetta al mondo. Profili e linee precise, telaio aderente al terreno, sportiva, sedili confortevoli concentrazione dell’essenziale, equipaggiamento in pelle. Quell’auto, proprio come il dipinto di Monet, era in grado di cogliere l’essenza.

 

Accese il motore e partì. Non aveva nessuna meta, voleva solo fuggire ma ciò era impossibile. Controllò che ore fossero: sette e un quarto. Orario perfetto. Sarebbe andato da lei.

Si fermò davanti a un bar, scese dall’auto e entrò. Bevve un cappuccino scuro e si mangiò una brioche al cioccolato. Prima di pagare ordinò un caffé molto ristretto e una brioche vuota da portare via.

Risalì in macchina e ricominciò a guidare mentre la sua mente, senza alcuna censura, aveva dato l’avvio a un flusso incontrollabile di pensieri.      

 
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