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III

Post n°3 pubblicato il 04 Agosto 2006 da Larka4

III

 

Monica stava ancora dormendo. Si svegliò quando si accorse che qualcuno tentava di infilare delle chiavi nella porta del suo appartamento.

Si alzò dal letto e si recò ad aprire la porta, anticipando così Axel.

- Ehi…ciao – disse lei, sorridendogli e guardandolo con quegli occhi scuri illuminati.

- Ciao piccolina, ti ho portato la colazione!

Axel le diede un bacio sulla fronte e mise in tasca la copia di chiavi. Lei lo fece entrare e andarono entrambi a sedersi sul divano.

 

Monica e Axel si conoscevano da sempre. Il destino gli aveva uniti a causa della svolta che la vita delle loro madri aveva preso.

Charlot, prima di diventare un’alcolizzata, era una carissima amica della madre di Monica. Le due donne trascorrevano insieme una quantità di tempo così lunga da risultare indefinita. Facevano ogni cosa insieme, condividevano ogni emozione, intraprendevano qualsiasi attività che desideravano.

Si erano conosciute in un giardino durante un pomeriggio: Charlot, incinta del secondo figlio, stava cercando di far giocare Axel che aveva tre anni; Beatrice, la madre di Monica, tentava di far addormentare la figlia neonata. Le due donne sembravano non riuscir a raggiungere i loro obbiettivi materni. Sedute una accanto all’altra su una panchina, incominciarono a dialogare.

Da quel giorno sembrava che vivessero in simbiosi, eppure erano due donne completamente diverse nell’aspetto fisico. Ciò che le univa era il disprezzo per l’esistenza. Charlot era molto curata, elegante, esile, alta. Aveva due bellissimi occhi verdi (il più bel regalo che potesse fare a suo figlio) e capelli castani morbidi come la seta ma tanto ribelli da assumere movimenti ondulatori impossibili da regolare. Era debole caratterialmente. Mascherava tale debolezza criticando ogni forma che le si presentasse di fronte e ogni comportamento altrui. Si dimenticavano tutto, non riusciva ad assumersi nessuna responsabilità e il suo unico interesse era il puro divertimento. Lei amava ridere, vivere, giocare. Proprio durante i suoi giochi si accorse di essere incinta di Axel. Era molto giovane, economicamente precaria e non sapeva neanche dove fosse finito il padre di suo figlio.

La fortuna di Charlot fu l’incontro con un vecchio uomo milionario. Riuscì a sposarlo dopo pochi mesi dal loro primo incontro. Lui era divenuto padre non solo di Axel ma anche di Charlot. Sfortunatamente, la visione della bella famigliola non durò a lungo in quanto l’uomo se ne andò: si sa più si è avanti con l’età più la morte è alle porte. Nel testamento l’unico erede fu Axel, allora minorenne. Alla maggiore età, egli potè usufruire di tutto il denaro.

Charlot, pochi mesi dopo la morte del marito e dopo il più grande dolore che una madre potesse subire, cadde in una forte depressione e incominciò a bere. Incominciò a disprezzare la sua vita. Essa era un fallimento, non aveva più nulla cui attaccarsi. Non aveva lavoro in grado di intraprendere per più di tre mesi, non aveva marito, non aveva denaro da gestire in modo indipendente, non aveva neanche una vera amica o almeno credeva di avercela.

Beatrice, invece, era una donna apparentemente soddisfatta. Lei, reggeva il peso della sua vita in tutte le sue forme: lavoro, casa, famiglia…si vantava in continuazione delle sue riuscite imprese in tutti i settori. Sebbene dentro di sé fosse triste e la cogliessero in continuazione momenti di malinconia, davanti alle persone dimostrava di essere felice. Era una donna di media statura, un po’ carnosa, trascurata, capelli biondi ricci e occhi scuri. 

L’amicizia fra Beatrice e Charlot durò per tutta l’infanzia dei loro figli, forse non era realmente un rapporto profondo poiché nel momento del bisogno Beatrice abbandonò Charlot senza nessuno scrupolo. Beatrice cercava sempre una finalità o un motivo di esistenza nei rapporti che istaurava. In Charlot aveva trovato la possibilità di spendere soldi altrui per togliersi i suoi sfizi, aveva trovato la disponibilità di un autista senza stipendio. Quando morì il marito di Charlot, tutto questo venne a mancare e di conseguenza non esisteva più alcuna ragione di starle accanto.

Tuttavia i due bimbi trascorsero moltissimo tempo insieme. Il loro rapporto era particolare, sembrava caratterizzato da una sorta di telepatia. Riuscivano a comprendersi con il solo sguardo, riuscivano a prevedere il desiderio dell’altro senza dialogare. Talvolta tendevano ad isolarsi dagli altri bimbi per rimanere soli, magari in silenzio, senza giocare: lui dipingeva, lei sfogliava pagine di libri affascinata e ignara di ciò che ci fosse scritto.

Il rapporto tra Axel e Monica era al di là di ogni fratellanza, di ogni amicizia, di ogni amore. Erano  sempre lì, in qualsiasi coincidenza la loro vita presentasse. Allo stesso punto di partenza e di fine: inseparabili, silenziosi, appassionati.

Monica era la prima cosa che aveva senso nella vita di Axel.

Il loro rapporto non aveva alcuna finalità. Stavano insieme perché lo volevano e basta. Nulla è più meraviglioso del desiderio, di qualsiasi natura esso sia, e della sua realizzazione.

 

Ci sono coloro che pretendono tutto o danno tutto per ricevere qualcosa in cambio. Ci sono coloro che ti guardano negli occhi e senza alcun rispetto mentono spudoratamente. Ci sono coloro che, per paura, rimangono legati al passato senza comprendere come il futuro possa essere migliore anche solo per il semplice fatto che è ignoto a tutti.

Fortunatamente, però, ci sono anche coloro che riescono a donare tanto affetto solo perché lo desiderano.

 

Appena Axel si sedette sul divano, notò il libro appoggiato sul tavolo antistante: Al di là del bene e del male di Nietzsche. Lo prese delicatamente e contemporaneamente fissava Monica mentre faceva colazione. Lei era assorta nei suoi pensieri, tuttavia sentiva gli occhi di Axel. Le piaceva esser osservata da lui, solo da lui. Gli sguardi, infatti, provocavano in lei un senso di inquietudine. Le ricordavano i rimproveri della madre, la severità da cui era fuggita. Lo sguardo di Axel era puro amore, conforto, affetto, rispetto.

Axel aprì il libro e ad alta voce lesse la prima frase che trovò: “Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene  e del male”. Richiuse il libro e non commentò, quell’aforisma sembrava cogliere la loro essenza.

- Senti un po’, non è che tutto quel leggere ti dà alla testa?!

Monica sorrise e continuò a bere il suo caffé senza rispondere.

- Casa tua è già piccolina e i libri occupano molto posto. Arriverai un giorno che non saprai più dove metterli!

Effettivamente in casa di Monica c’erano solo libri disposti qui e là senza alcun ordine. Erano troppi, di vari autori, di vari generi. Lei, inoltre, ne incominciava minimo tre contemporaneamente e quando li terminava provava piacere nel lasciarli in disordine. Era come se essi le parlassero, come se la facessero sempre sentire in compagnia. Ne lasciava qualcuno sul tavolo, qualcuno sul divano, sul comodino, sugli scaffali, nella libreria, sulla lavatrice…dappertutto.

Monica sorrise nuovamente ma questa volta gli rispose:

- Leggere apre la mente, e poi non ti preoccupare per lo spazio. Quando non saprò più dove mettere i libri lì porterò da te…tanto tu hai così tante camere libere che potresti regalarmene una!!

Axel, senza riflettere, sorrise e le rispose:

- Scherzi?!? Guarda che io a te regalerei la villa intera!! Basta chiedere!!

   A che ora devi essere al lavoro? Ti accompagno volentieri…

- No, oggi non vado! Ti sei dimenticato che giorno è?!?

Axel impallidì. Si ricordò cosa accadde tre anni fa. Si ricordò come per la prima volta avesse sentito il vuoto totale, di come per la prima volta nulla al mondo potesse consolarlo e di come neanche la sua arte fosse stata in grado di procurargli rifugio. Aveva tentato di rimuovere quel giorno, di farsi una nuova vita. Non c’era riuscito. Vedeva sempre le stesse immagine ogni volta che fissava un punto nel vuoto, sognava sempre le stesse immagini e si svegliava spaventato. Nessuno psicologo era riuscito a fargli superare quel trauma. Era naturale: aveva visto suo fratello morire davanti i suoi occhi. L’avevano assassinato. Un colpo di pistola. Non era un errore.

- Lo so benissimo oggi che giorno è. Non c’era bisogno che tu me lo ricordassi!! E allora?!? Ricordo, ricordo e con questo cosa cambia?!? Nulla farà resuscitare Paolo, nulla punirà quell’assassino…non si può tornar indietro con il tempo! Dovresti fartene una ragione anche tu. Paolo non c’è più! E io sono stanco di vedere la sua immagine accanto a me ogni secondo, in ogni mio gesto. Voglio dimenticare e non ci riesco!- Axel non si accorse di come la sua espressione cambiò e di come il suo tono di voce si fosse trasformato in urla. Le sue parole furono accompagnate da un ininterrotto pianto.

Monica si alzò e andò ad abbracciarlo. Sembrava un bambino.

- Forse dovresti venire con me al cimitero. Lo so anch’io quanto è doloroso, so benissimo che certe cose non si superano mai! Però con il dolore puoi conviverci: devi alleviarlo. Accompagnami al cimitero! Starai meglio! Fidati!- gli disse dolcemente.

Seguì un lungo silenzio che fu interrotto dall’uscita del cane di Monica da sotto il tavolo.

 

Wolf era un trovatello. Forse non fu una coincidenza che quel cane fosse stato trovato il giorno del funerale di Paolo. Anzi per raccontarla correttamente era stato proprio il cane a scegliere Monica come padrone.

Wolf era un incrocio tra un Pastore Belga nero e un lupo, aveva un pelo semilungo grigio scuro e occhi di ghiaccio. Qualcuno l’aveva abbandonato nel parcheggio di un supermercato. Aveva qualche mese, forse due. Ogni passante tentasse di avvicinarsi a lui finiva per ritrovarsi un morso sul braccio. Non permetteva a nessuno di toccarlo e talvolta, a determinate persone, ringhiava senza che fosse provocato.

Il funerale di Paolo fu celebrato il 23 ottobre 2002. La cerimonia sembrava interminabile. Prima di tornare a casa, Monica dovette passare al supermercato per comprare qualche verdura per la convivente ammalata. Erano circa le sei del pomeriggio. Stava male, e non riusciva a vedere nulla davanti a sé poiché aveva gli occhi pieni di lacrime. Uscita dal supermercato, non si accorse di quel piccolo batuffolo che si muoveva dietro la sua ombra. Pensava a Paolo e ai momenti trascorsi con lui. Camminava lentamente e quel piccolo cane –lupo la seguiva con meticolosità e silenzio. Monica non si accorse neanche che il cane – lupo era riuscito a oltrepassare velocemente il portone del palazzo in cui abitava. Solamente davanti all’ascensore si accorse di lui. Non pronunciò una parola e come se fosse stato sempre suo, lo raccolse da terra e, tenendolo stretto fra le sue braccia, lo portò a casa. Da allora Wolf non si separò mai da Monica. La seguiva ovunque, obbediva solo ai suoi comandi, la consolava nei momenti di crisi, la difende di fronte ai pericoli, non si faceva accarezzare da nessun altro se non da lei.

 

Wolf andò a colpire con il muso il ginocchio di Monica. Voleva attenzione.

Monica baciò lievemente le labbra di Axel e lo accompagnò a sedersi sul divano.

- E tu cosa vuoi?!? Non lo conoscevi neanche Paolino!- quasi aspettasse una risposta, Monica, con gli occhi anche lei pieni di lacrime, si rivolse al suo bellissimo lupetto.

Accadde una cosa stranissima. Come se il dolore avesse penetrato il cuore di quel cane, Wolf si avvicinò ad Axel e alzò la mano di questi sulla sua testa: per la prima volta si fece accarezzare. Successivamente, si allontanò e andò ad aprire con la zampa un cassetto del comodino posto accanto al letto della camera da letto di Monica. Da esso prese con la bocca una maglietta estiva da uomo, color azzurro e la portò a Monica e Axel.

Quella maglietta: Monica la teneva con cura come un ricordo di Paolino. Nell’assurdità Wolf conosceva meglio di chiunque quel ragazzo che non aveva mai visto.

Monica e Axel si guardarono negli occhi perplessi.

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