Creato da: rosadelvento il 12/02/2005
Si dice che ognuno di noi emana un profumo e viene percepito solo da un’altra persona ... una soltanto. Cosa sei? Forse sei vento o solo un pensiero. Qualunque cosa tu sia, sei la parte migliore di me ...

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La Favola di Babbo Natale

Post n°754 pubblicato il 08 Ottobre 2019 da rosadelvento
 

La-Favola-di-Babbo-Natale

 

 

La Favola di Babbo Natale

(dal web)
- immagine creata da me -
In un paese lontano da questo e in un tempo diverso da oggi, in cima ad una nevosa montagna, viveva una famiglia di sei renne. La più grande era nonno Corno, il vecchio capobranco con la sua temeraria compagna Punta e poi c’erano la giovane famiglia di renne con il papà Zoccolo, la mamma Coda, e i figli Criniera e Ciuffo.
Erano un gruppo di renne inseparabili. Si aiutavano l’un l’altra e si muovevano sempre in branco per aiutarsi e difendersi a vicenda. Un giorno mentre stavano pascolando per raggiungere il fiume per dissetarsi incontrarono un anziano signore che vagava smarrito per il bosco. Era la prima volta che vedevano una creatura che camminava solo su due zampe e la cosa oltre che ad incuriosirli, li spaventava parecchio. Come per ogni cosa si consultarono e la mamma consigliò di non avvicinarsi a quella strana creatura perché non sapevano se avesse potuto far loro del male. Zoccolo non era d’accordo con sua moglie e le renne più giovani appoggiavano il giovane papà. Intervenne quindi il capobranco a placare gli animi dicendo: “Noi siamo delle creature fortunate perché non siano mai sole e possiamo contare l’uno su l’altro per qualsiasi cosa. Quella creatura è sola e forse ha solo bisogno di aiuto per trovare il suo branco, andrò io a vedere se posso essere d’aiuto. Voi rimanete qui al sicuro”
Fu così che Corno piano piano si avvicinò all’uomo. Era una creatura anziana, con una folta massa di peli bianchi sul muso, senza criniera ne peli sul corpo, ma coperto da qualcosa che sembrava servisse a tenerlo caldo di un colore acceso, lo stesso colore delle ciliegie. Si avvicinò così tanto da poter scorgere delle lacrime sul viso della creatura. Allora Corvo si avvicinò e con esitazione chiese: “Cosa sei creatura? Per quale motivo piangi?” E la creatura rispose: “Io sono un uomo, cara renna, e piango perché il mio unico desiderio è poter fare felici i bambini nel mondo ma sono solo e da solo non posso fare nulla”
Corno rimase stupito nell’accorgersi che comprendeva ogni parola che l’uomo diceva e che la cosa era reciproca nonostante fossero così diversi. Mentre l’uomo parlava fece un accenno al suo branco di non temere e di avvicinarsi allo strana creatura solitaria. L’uomo si presentò con il nome di Babbo e ognuna delle renne si presentò a sua volta. “Da dove vieni?” chiese il piccolo Ciuffo. E Babbo rispose: “La mia casa è molto lontana da qui, in un posto dove non ci sono gli alberi, ma solo cemento e fumo e dove i cuccioli di uomo sono infelici perché non sanno dove giocare!” Vedendo tanta tristezza negli occhi e nei racconti di Babbo, Corno ebbe un idea e disse: “Possiamo aiutarti noi a rendere felici i cuccioli della tua razza. Nel cuore del Bosco c’è una casetta minuscola con degli elfi che sanno costruire un sacco di cose, sono scorbutici, ma se racconti loro il tuo problema sono sicuro che ti aiuteranno”. Fu così che le renne scortarono Babbo fino alla capannetta di legno e, arrivato, bussò alla minuscola porta. Da quel piccolo nascondiglio ne uscirono due mini ometti con dei buffi vestiti e orecchie a punta alti circa come dei bimbi di appena un anno. Aggrottarono subito le ciglia quando videro quel grande omone alto e grosso, perché loro erano creature che amavano la solitudine e odiavano essere disturbati. Dispiaciuto dal loro benvenuto, Babbo si ammutolì e così il capobranco delle renne inizio a raccontare al suo posto quello che gli era stato spiegato. Nonostante fossero creature solitarie e diffidenti, la reazione al racconto fu di commozione e tristezza e si offrirono di aiutare quell’uomo così buono che voleva rendere il mondo migliore e più felice. Gli elfi allora fecero chiamare tutti i cugini, gli amici, i fratelli e le sorelle sparse per il mondo che magicamente iniziarono a comparire davanti alla capanna. A decine comparivano in mezzo al bosco, e poi a centinaia e a ognuno di loro veniva spiegato cosa andava fatto e tutti si erano resi disponibili a fare del bene. Chiamati tutti, si accorsero che non sarebbe mai bastata la casetta per farli entrare e allora con l’aiuto della magia di cui erano proprietari fecero volare le renne, salirono sui loro dorsi e galopparono per i cieli in cerca di un terreno abbastanza grande per poter costruire una capanna che potesse contenere tutti. Fu così che, tra pioggia, sole e neve arrivarono al polo nord con le sue immense distese di ghiaccio. Deciso il posto comparvero tutti nello stesso punto e con poche parole e tanta concentrazione, ecco che i ghiacci iniziarono a trasformarsi in un enorme casa calda e luminosa, piena di materiale per costruire quelle cose che avrebbero reso più felici i bimbi del mondo: i giocattoli. Si misero tutti all’opera con una precisione e un organizzazione militare e in pochissimo tempo costruirono milioni di giocattoli. In tutto questo Babbo rimase stupito dalla bontà e dalla generosità che le creature stavano dimostrando e ringraziò il buon Dio per avergli concesso di conoscere gli elfi e le renne. Finito di costruire, riempirono un grande sacco magico con tutti questi doni e lo diedero al grande uomo dalla barba bianca, e poi aggiunsero: “Se vuoi far felici tutti i bambini devi fare in modo che domani mattina al loro risveglio tutti abbiano ricevuto il loro dono, se no renderai infelice qualcuno.” Babbo basito disse: “Ma io sono solo un uomo, come potrei fare tanto tutto da solo?” Finita la frase diventò subito triste perché sapeva che non sarebbe stato in grado di far felici tutti. Il buon Dio assistendo a questa scena, e commosso dalla bontà che tutti avevano dimostrato nel voler vedere la felicità negli occhi del prossimo, diede dei poteri al dolce Babbo: lo munì di carrozza magica e ci attaccò le renne rendendole più veloci della luce e poi aggiunse all’uomo:
“Caro Babbo, in questa notte tanto Santa, ti faccio questo regalo con l’impegno che tu per dimostrare che la mia fiducia è stata ben riposta, ogni anno confezionerai doni con i tuoi amici e renderai felice ogni bimbo nel mondo”. Il Babbo, felice, accettò e dopo aver ringraziato tutti partì per la lunga notte alla consegna dei doni. Il mattino successivo ogni bimbo del mondo trovò un meraviglioso dono con cui giocare e furono tutti felici e tutti i bimbi ritrovarono la serenità e il sorriso. Quella notte così magica e così unica in cui tutto era nato era la notte di Natale. E fu così che in quella notte che il buon Dio definì Santa e magica, nacque quello che noi oggi conosciamo come Babbo Natale.

 
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citazione 40

Post n°753 pubblicato il 08 Ottobre 2019 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-42

 

 

cuore-piccolo



Non pensare alle porte chiuse alle tue spalle,
ma a quelle che si spalancherebbero
davanti a te se ti abbandonassi ai sentimenti.

 


Alan Douar
(immagine creata da me)

 
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La leggenda dell'uva ....

Post n°752 pubblicato il 07 Ottobre 2019 da rosadelvento
 
Tag: autunno

La-leggenda-dell-uva



La leggenda dell'uva

(di Rosalba Corallo tratta da http://www.rosalbacorallo.it/la-leggenda-dell'uva.html) 
- immagine creata da me -
Moltissimi anni fa la vite non produceva grappoli d’uva. Era una pianta ornamentale, come tante altre. Al centro di un piccolo orto cresceva una bella vite, di rami e di foglie. Questa magnifica pianta riceveva in abbondanza la luce del sole e ne traeva un grande beneficio. I rami della vite si allungavano sempre di più sopra i seminati dell’orticello e li coprivano con la loro ombra. L’ ortolano si preoccupava: "Anche le piantine hanno bisogno di sole" diceva tra sé "è necessario che io poti la vite". In un giorno grigio e nuvoloso, l’ortolano tagliò con energia i rami più lunghi della bella pianta ornamentale e tolse le foglie più grandi dagli altri rami.
La vite pianse e ne soffrì. Quando scese la sera, un usignolo si posò delicatamente sopra un ramo della vite e cominciò a cantare per confortarla. Il canto era così dolce, che la pianta provò una sensazione di benessere. Le sue lacrime si impregnarono di dolcezza e rimasero lì, sui rami, come piccole perle. La notte lentamente si dileguò. All’apparire del giorno, il sole avvolse la vita con i suoi rami tenui e tiepidi. Allora, come per incanto, la pianta sentì scorrere in sé una linfa nuova. Le sue lacrime, belle come perle, cominciarono a trasformarsi in piccoli frutti: i primi chicchi d’uva. Un venticello scherzoso passò rapidamente tra i rami della vite e riunì i chicchi d’uva in grappoli, più o meno grandi. Il sole a poco a poco li maturò.

 
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La vendemmia ....

Post n°751 pubblicato il 07 Ottobre 2019 da rosadelvento
 
Tag: autunno

la-vendemmia

 

 

 La vendemmia

(di Fausta Cialente

https://www.poesie.reportonline.it/racconti-d-autunno/racconto-la-vita-e-la-castagna.html)

- immagine creata da me -

 

La festosa vendemmia chiudeva la nostra vacanza ed era l'ultima felicità della stagione.

Per settimane avevamo spiato il colore dei grappoli che si facevano lentamente più dorati o più scuri, sperando che maturassero in tempa, cioè prima della nostra partenza.

Benché ci fosse statto probito di toccare l'uva destinata alla pigiatura, di nascosto andavamo a tastare gli acini, a staccarne con delicatezza qualcuno per assaggiarli.

I cugini, che erano circa della nostra età, ci accompagnavano nelle scorribande vietate e questo ci tranquillizzava perché se ci avessero scoperti ci avrebbero sgridati o puniti tutti insieme.

Quelli della vendemmia erano poi giorni veramente gioiosi. Dall'alba al tramonto andavamo su e giù per la vigna.

Senza più temere proibizioni, lavoravamo sotto lo sguardo dei nostri genitori e degli zii. Naturalmente quello che più ci divertiva e per cui avevamo lavorato 

çon tanto entusiasmo era la pigiatura.

Ci veniva dato il permesso di entrare nei tini.

Avevamo atteso scalzi con le gambe e i piedi grondanti  lavati sotto la fontana, ed era una gioia incredibile sentire finalmente sotto i nostri piedi il tepore dell'uva ancora intera, gli acini che ci entavano tra le dita. Dopo un pò che calpestavamo l'uva con le vesti o i calzoncini tirati su e tenuti da strette corde, avevamo gli schizzi rossi fino a metà cosce.

 
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Nei vigneti ....

Post n°750 pubblicato il 07 Ottobre 2019 da rosadelvento
 
Tag: autunno

Nei-vigneti

 

 Nei vigneti ....

(dal web - racconto di Telesio Montesello)

- immagine creata da me -

 

Nei vigneti, là in alto, sul fianco della collina i contadini compiono la lieta fatica della vendemmia.

Staccano dai tralci i pesanti grappoli d'uva, con gli acini tondi e succosi, e li depongono nelle grosse ceste.

Quando le bigonce sono piene, le trasportano nella tinaia.

Intanto il sole splende nel cielo azzurro e il vento porta lontano i pampini ingialliti e le canzoni gioconde.

Verso sera, tutta la vigna è spoglia; solo qualche racimolo occhieggia qua e là.

L'uva, portata a casa, viene buttata dentro al tino e pigiata.

Allora il mosto fermenta e, in pochi giorni, diventa vino: il buon vino, che dà energia a chi lo beve con misura.

 
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Benvenuto Autunno

Post n°749 pubblicato il 07 Ottobre 2019 da rosadelvento
 
Tag: autunno

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citazione 39

Post n°748 pubblicato il 07 Ottobre 2019 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-41

 

 cuore-piccolo



L'amicizia e l'amore assomigliano molto all'eco.....

danno per quello che ricevono!!!

 

 
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citazione 38

Post n°747 pubblicato il 07 Ottobre 2019 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-40

 

 

 cuore-piccolo



"Esistono molte cose nella vita che catturano lo sguardo, ma solo poche catturano il tuo cuore…segui quelle."

 

(Anonimo)

 

 

 
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Angeli

Post n°746 pubblicato il 07 Ottobre 2019 da rosadelvento
 

pattyf56-angel-015

 

 

Stanotte ho fatto un sogno....un battito d'ali improvviso....solo questo.....
e poi silenzio, solo silenzio....non sono sola.....
c'è buio intorno a me.....
ma sento la tua presenza.....
...pace....serenità....accendo la luce.....
un battito d'ali....eri qui!
Non era un sogno.....
 

 

 
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Tre fiammiferi accesi ----

Post n°745 pubblicato il 06 Ottobre 2019 da rosadelvento
 
Tag: poesie

frasi-e-citazioni-39

 

 

cuore-piccolo



Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte

il primo per vederti tutto il viso

il secondo per vederti gli occhi

l'ultimo per vedere la tua bocca

e tutto il buio per ricordarmi di queste cose

mentre ti stringo tra le mie braccia

(Jacques Prevert)

 
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citazione 37

Post n°744 pubblicato il 21 Marzo 2019 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-38



cuore-piccolo

 

E’ stato uno di quei giorni di marzo quando il sole splende caldo e il vento soffia freddo: quando è estate nella luce, e inverno nell’ombra.


(Charles Dickens)

benvenuta-primavera

 
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NON C'È POSTO NELLA LOCANDA

Post n°743 pubblicato il 21 Marzo 2019 da rosadelvento
 

noj-c-posto-nella-locanda

 

 

NON C'È POSTO NELLA LOCANDA

(tratto dal sito Testi e storie di Natale
http://www.letturegiovani.it/s…/testi_e_storie_di_natale.htm)

immagine creata da me

 

Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media. Era già stato bocciato due volte. Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni. Sempre servizievole, volenteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambini più piccoli.
L'avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia. A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la signorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella del locandiere, perché comportava poche battute e il fisico di Guido avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria.
«Andate via!»
La sera della rappresentazione c'era un folto pubblico di genitori e parenti. Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente di Guido Purlini.
E venne il momento dell'entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria. Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto. Guido il locandiere era là, in attesa.
«Che cosa volete?» chiese Guido, aprendo bruscamente la porta.
«Cerchiamo un alloggio».
«Cercatelo altrove. La locanda è al completo». La recitazione di Guido era forse un po' statica, ma il suo tono era molto deciso.
«Signore, abbiamo chiesto ovunque invano. Viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti».
«Non c'è posto per voi in questa locanda», replicò Guido con faccia burbera.
«La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare. Sono certo che riuscirete a trovarle un angolino. Non ne può più».
A questo punto, per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria. Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d'imbarazzo tra il pubblico.
«No! Andate via!» sussurrò il suggeritore da dietro le quinte.
«No!» ripeté Guido automaticamente. «Andate via!».
Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei. Invece di richiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia. Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime.

Il finale di Guido
Tutt'a un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre. «Non andar via, Giuseppe» gridò Guido. «Riporta qui Maria». E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: «Potete prendere la mia stanza».
Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva mandato a pallino la rappresentazione.
Ma per gli altri, per la maggior parte, fu la più natalizia di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto.  

 

 
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PERCHÉ ALLA GROTTA C'ERANO L'ASINO E IL BUE

Post n°742 pubblicato il 21 Marzo 2019 da rosadelvento
 

perch-alla-grotta

 

 

PERCHÉ ALLA GROTTA C'ERANO L'ASINO E IL BUE

(tratto dal sito Testi e storie di Natale
http://www.letturegiovani.it/s…/testi_e_storie_di_natale.htm)

immagine creata da me

 

Mentre Giuseppe e Maria erano in viaggio verso Betlemme, un angelo radunò tutti gli animali per scegliere i più adatti ad aiutare la Santa Famiglia nella stalla.
Per primo, naturalmente, si presentò il leone.
«Solo un re è degno di servire il Re del mondo», ruggì «io mi piazzerò all'entrata e sbranerò tutti quelli che tenteranno di avvicinarsi al Bambino!».
«Sei troppo violento» disse l'angelo.
Subito dopo si avvicinò la volpe.
Con aria furba e innocente, insinuò: «Io sono l'animale più adatto. Per il figlio di Dio ruberò tutte le mattine il miele migliore e il latte più profumato. Porterò a Maria e Giuseppe tutti i giorni un bel pollo!»
«Sei troppo disonesta», disse l'angelo.
Tronfio e splendente arrivò il pavone.
Sciorinò la sua magnifica ruota color dell'iride: «Io trasformerò quella povera stalla in una reggia più bella dei palazzo di Salomone!». «Sei troppo vanitoso» disse l'angelo.
Passarono, uno dopo l'altro, tanti animali ciascuno magnificando il suo dono.
Invano.
L'angelo non riusciva a trovarne uno che andasse bene. Vide però che l'asino e il bue continuavano a lavorare, con la testa bassa, nel campo di un contadino, nei pressi della grotta.
L'angelo li chiamò: «E voi non avete niente da offrire?».
«Niente», rispose l'asino e afflosciò mestamente le lunghe orecchie, «noi non abbiamo imparato niente oltre all'umiltà e alla pazienza. Tutto il resto significa solo un supplemento di bastonate!».
Ma il bue, timidamente, senza alzare gli occhi, disse: «Però potremmo di tanto in tanto cacciare le mosche con le nostre code».
L'angelo finalmente sorrise: «Voi siete quelli giusti!».

 

 
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Buon Natale

Post n°741 pubblicato il 24 Dicembre 2018 da rosadelvento
 
Tag: varie

pattyf56-natale-0117-x-blog

 

 

Il mio unico desiderio per questo
Natale è quello di poter abbracciare
per un solo istante chi, purtroppo, non
posso abbracciare più ......
(dal web e dal mio cuore)


BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO



(slide creata da me)

 

pattyf56-slide-017

 
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E' NATALE (di Dino Ticli)

Post n°740 pubblicato il 04 Ottobre 2018 da rosadelvento
 

pattyf56-E-Natale

 

 

E' NATALE
(di Dino Ticli - racconto pubblicato su un settimanale del 1999)

- immagine ed animazione creata da me -

 

Roberto Landi avanzava con passo svelto lungo una viuzza acciottolata, piuttosto stretta e silenziosa. Aveva sollevato il bavero del cappotto e lo teneva stretto con la mano destra per ripararsi dal vento pungente e gelido che quella sera sembrava avesse scelto il suo stesso tragitto. Il cappello ben calcato fino agli occhi contribuiva a renderlo una figura anonima nella penombra. I lampioni, fissati ad un alto muro di pietre, emettevano una luce fioca e rossiccia ed erano così distanziati l’uno dall’altro che, quando ne aveva lasciato uno dietro alle spalle, poteva osservare la sua ombra accorciarsi sempre di più fino a vederla scomparire del tutto nelle zone di buio fitto.
- In che razza di posto mi ha mandato! - brontolò indispettito quando una raffica improvvisa e più forte delle altre gli fece volare via il cappello. Lo raccolse e lo calcò con più vigore piegando la testa in direzione del vento e trattenendolo con la mano sinistra.
- è inutile lamentarsi - si disse con amarezza. - Me la sono cercata io.
In effetti, quando il direttore aveva chiesto chi avrebbe voluto recarsi in quel paesino per scrivere l’ultimo articolo sulle tradizioni natalizie, tra lo stupore dei colleghi, si era offerto volontario. D’altra parte nessuno si era fatto avanti, comprensibilmente.
- Proprio tu, Landi? - aveva chiesto il direttore con un sorrisetto sulle labbra, ben conoscendo la sua avversione per quel genere di cose. Ed infatti, quando il suo capo, tempo prima, aveva proposto alla redazione l’idea di una serie di articoli da pubblicare nel periodo natalizio, era stato l’unico ad opporsi fermamente. Era convinto che non si potesse continuare a narcotizzare la gente con quel genere di cose. Il Natale era per lui solo una grande truffa ormai priva di significato tranne per i commercianti che si arricchivano approfittando dell’euforia incosciente che invadeva tutti ma non Roberto Landi, ovviamente.
- Proprio tu, Landi? - si era sentito ripetere con tono provocatorio, ma si era limitato a rispondere con un’alzata di spalle.
Nessuno avrebbe rinunciato volentieri ai festeggiamenti in famiglia, di certo non la vigilia di Natale. Ma lui? Il bello ed elegante Roberto Landi, ammirato dalle colleghe ed invidiato dai colleghi: cosa lo aspettava a casa?
- Casa - sbottò, chiudendosi ancor più nel bavero.
Anche lui si rendeva conto che una stanza d’albergo non poteva considerarsi una casa, anche se tante volte si era vantato della sua libertà con i colleghi. Entrare ed uscire senza dover rendere conto a nessuno, invitare amici ed amiche a piacimento, avere qualcuno che riordini senza dover nemmeno ringraziare. Bella vita davvero, ma quella era una sera speciale e non avrebbe trovato nessuno a tenergli compagnia e così meglio lavorare.
- Comunque sia, se il direttore si aspetta un articolo melenso come quelli scritti dai miei colleghi, avrà una bella sorpresa.
Sapeva già cosa avrebbe trovato nella chiesetta che lo aspettava in fondo a quella galleria del vento: uno dei mille insignificanti presepi tutti luci e stelline, magari uno di quelli con il giorno e la notte che si alternano cercando di ricreare la vita dove questa non c’è più, da duemila anni. O addirittura un presepio moderno dove al posto delle pecore ci sono le automobili, al posto delle case di argilla e mattoni, di legno e paglia, vi sono edifici in cemento e strade asfaltate.
- Niente stelle, però - ironizzò alzando gli occhi al cielo nuvoloso. - Lo smog e le luci di una città le rendono invisibili o così poco attraenti che è meglio guardare altrove.
Ma le sue considerazioni si interruppero bruscamente perché inciampò in un ciottolo sporgente che gli fece perdere l’equilibrio. Prima di alzarsi, si permise di imprecare a voce alta, tanto in quel deserto nessuno lo avrebbe udito. Si spolverò il cappotto e cercò invano il cappello che sembrava essersi dissolto.
- Al diavolo il cappello - concluse irritato rimettendosi in cammino.
Il vento ne approfittò per arruffargli i capelli ed infilarsi gelido tra il collo ed il bavero.
Fece gli ultimi metri corsa e spinse con forza una pesante porta di legno. Tirò un sospiro di sollievo, ma fu subito colpito dal forte odore di incenso, di cera e di umidità.
Sul fondo, appena illuminato, si intravedeva un altare sormontato da una pala di legno dipinta. Un Cristo benedicente, sebbene ormai inscurito dal fumo di mille candele, lo accolse con un sorriso immobile che elargiva da chissà quanto tempo.
Erano molti anni che non metteva piede in una chiesa e un inaspettato senso di disagio contribuì a renderlo ancora più inquieto. Si mosse allora lentamente sul pavimento di pietre irregolari per raggiungere una delle prime panche. Prima di sedersi, notò come lo scrupoloso lavoro di generazioni di infaticabili tarli e l’intenso uso, sebbene più deboli, avessero reso austeri quei poveri sedili. Per questo non lo ritenne un difetto anzi gli parve che tutto facesse parte di una scenografia che nemmeno il più abile degli architetti sarebbe stato in grado di creare.
Una luce, solo un po’ meno fioca di quella delle candele che ardevano ovunque, si accese presso un altare laterale. Ebbe un moto di fastidio, come se un rumore inopportuno e stonato avesse rotto l’incantesimo di un concerto.
- è il presepio - pensò. - Sarà meglio che mi sbrighi: non voglio rimanere oltre in questo posto. E devo anche cercare il parroco per l’intervista.
 Ma non lo fece. Si diresse invece verso quella luce, come se si fosse accesa per lui. Sapeva che sarebbe rimasto deluso nel vedere l’ennesima ricostruzione, piena di buona e sciocca fede, di un fatto storico in cui troppe persone riponevano le loro speranze.
 Era ormai all’altezza dell’altare laterale, quando le luci, dopo aver traballato per qualche istante si spensero del tutto.
- Scarse capacità tecnologiche - ironizzò avanzando ancora.
Un odore di muffa e di legno lo avvolse procurandogli dapprima un senso di fastidio; tuttavia gli risvegliò lontani ricordi e si trasformò rapidamente in qualcosa di dolce e piacevole: la casa di campagna dei nonni, la loro cantina piena di mobili polverosi e umidi tra i quali aveva passato ore giocando a nascondino con i suoi cugini.
- Non è un presepio moderno - commentò compiaciuto. - Questi oggetti devono essere vecchi almeno come le panche.
Ma la luce della chiesa era troppo fioca e poté distinguere solo le sagome nere dei personaggi. Erano piuttosto grandi e disposti nelle pose più strane.
- Forza, un po’ di luce - chiese in un bisbiglio, ma la luce non venne.
- Spero che vorrai scusarmi - disse poco dopo, ma senza nessuna ironia, al Cristo benedicente quando prese una delle candele che ardevano presso l’altare maggiore.
Tornò quindi rapidamente al presepio, proteggendo la piccola fiamma con una mano.
- Ed eccomi ancora qua - esclamò infine e liberò la fiamma.
Il personaggio più vicino fu illuminato di rosso e proiettò un’ombra che danzava al ritmo della fiammella. La statuetta era piuttosto grossa ed intagliata nel legno, come aveva immaginato. Era stata dipinta con cura e rappresentava un uomo di una certa età, con la faccia rugosa ed una folta barba bianca; reggeva una lanterna per illuminare la strada e gridava qualcosa di incomprensibile nonostante tenesse una mano attorno alla bocca per farsi sentire meglio.
- Non c’è nessuno ad ascoltarti e la tua luce non splende. Non affaticarti oltre e lascia che siano gli altri a preoccuparsi delle cose del mondo.
Più in là trovò una donna con un grande cesto sulla testa, all’interno del quale vi erano dei pani e dei pesci. Aveva uno sguardo serio e pensieroso che non lasciava trapelare nulla riguardo al luogo verso cui si stava dirigendo in tutta fretta.
- Cara, signora, probabilmente non sai nemmeno tu dove andare. Cammina, cammina e dopo tanti anni sei ancora qua, con i tuoi pani e i tuoi pesci alla ricerca di una meta. Forse il vecchio è tuo padre che non vedendoti tornare è uscito alla tua ricerca nel buio della notte.
Ebbe per un attimo la tentazione di spostare la statuetta della donna perché potesse finalmente ricongiungersi con il padre. Ma si vergognò di quel pensiero infantile.
Con la candela illuminò allora la strada seguita dalla donna che si inerpicava verso una collina, ma dovette immaginarla più che vederla. Una sorgente d’acqua, che la mano esperta di un pittore aveva saputo rendere viva e fresca, scorreva da una pietra ai piedi della collina e si gettava in una grande vasca. Un’altra donna era china presso la fonte e attingeva con un secchio. Una serie di pieghe sulla fronte e la smorfia sul volto non lasciavano dubbi sulla fatica a cui si stava sottoponendo.
- Non puoi fare altrimenti, lo so. Se avessi potuto scegliere, avresti sicuramente voluto nascere in una famiglia agiata dove altri avrebbero preso l’acqua per te. Ma così ha voluto la sorte ed ora ti tocca sollevare quel secchio che non riuscirai mai a riempire del tutto.
Più staccati, due uomini discutevano animatamente. L’argomento della disputa erano sicuramente due galline che uno dei due teneva per le zampe, mentre l’altro, forse un compratore, le indicava con la mano.
- Mi chiedi troppo per due galline. Sono magre e vecchie: ti darò la metà di quello che pretendi. D’altra parte nessuno te le comprerà e se non le dai a me le dovrai buttare. Il loro aspetto non inganna: devono essere morte da un secolo.
- Le ha uccise un cane, proprio stamattina. Erano due splendidi animali che producevano un mucchio di uova. Le ho sempre nutrite e accudite con cura e adesso tu vuoi che le regali.
- Calma, signori. Mettetevi finalmente d’accordo: ma sapete da quanto siete qui a contrattare? Sono sicuro che avete cose più importanti da fare, e a casa qualcuno vi attende...
- Sono diventato matto - disse a voce alta, interrompendo il flusso dei suoi pensieri, quando una goccia di cera bollente gli cadde dolorosamente sul dorso della mano.
Si massaggiò con vigore e fece per spegnere la candela ridotta ormai a un mozzicone, ma la fiammella, in una delle sue ultime danze, illuminò per un istante un angolo che altrimenti difficilmente avrebbe potuto vedere. E in quell’angolo un’immagine comparve per sparire nuovamente nel buio del presepio.
- Chi sei? - chiese ad un bambino.
Era piccolo, molto più piccolo rispetto alle altre statuine, quasi sproporzionato, come se l’autore avesse voluto accentuare il senso di fragilità e di tenerezza che suscitava. Se ne stava rannicchiato dietro a un masso risultando quasi invisibile. Alte erbe lo nascondevano ancor di più. Lo sguardo era perso nel vuoto ed un lungo bastone da pastore giaceva ai suoi piedi. Anche i suoi abiti rendevano chiaro il suo mestiere. Ma non vi erano né pecore né capre vicino a lui. Roberto diresse la luce tutt’intorno, ma il gregge più vicino si trovava in un’altra zona del grande presepio ed era accudito da tre pastori che sembrava sapessero il fatto loro.
- Dove sono le tue bestie?
- Le ho perse.
- Come hai fatto a perderle? - chiese ancora Roberto preoccupato, ben sapendo quanto fosse grave per un pastore perdere i suoi animali.
- Un canto - rispose il pastorello. - Ho sentito un canto dolce e inaspettato. Anzi era un coro di voci così belle che mi sono fermato ad ascoltare. Sarei rimasto lì tutta la notte se non mi fossi accorto che le mie pecore erano scappate. Le ho cercate dappertutto, te lo giuro, ma inutilmente. Ed allora mi sono nascosto dietro questa pietra.
- Perché non chiami qualcuno dei tuoi ad aiutarti?
- Piuttosto che tornare a casa rimango qui per sempre.
- Se vuoi, posso darti io una mano.
- Faresti questo per me? Perché?
- Ho tutto il tempo che voglio e nessuno che mi aspetti...
- Non hai figli?
- No.
- Nemmeno una moglie?
“Ne ho tante”, avrebbe voluto replicare, ma tante significava nessuna e così gli rispose: - Non ne ho.
- Allora sei proprio solo...
Che impertinenza. Non era solo, Roberto Landi: aveva tanti amici e conosceva un sacco di persone. Il suo cellulare squillava in continuazione. Quando lo desiderava, trovava sempre qualcuno che gli tenesse compagnia, e se proprio gli andava male, c’era pur sempre un buon libro o un film.
- In questo momento ho te - gli rispose con un filo di voce. Poi mosse la candela verso la parte destra del presepio. Si era accorto infatti che, nonostante la loro immobilità, tutte le statuine erano rivolte verso quella direzione, attratte da un richiamo al quale non si poteva non rispondere.
- Lì c’è sicuramente la capanna.
In effetti, i personaggi divennero sempre più numerosi: trovò un falegname, un arrotino, un venditore di olive, una lavandaia con un cesto sulla testa, un uomo in groppa a un asino, una signora anziana tutta curva... - Eccola! - esclamò quando la candela gli mostrò una stalla con un bue e un asino all’interno.
In un angolo, vicino ad una mangiatoia vuota, le statuine di Maria e Giuseppe erano già in adorazione, come ormai facevano da chissà quanti anni.
- Cosa cerchi?
Aveva illuminato un personaggio vestito di azzurro che dall’alto della capanna osservava la gente arrivare. Le ali spiegate e i lunghi capelli biondi dichiaravano la sua natura.
- Un gregge disperso.
- Sei un pastore?
- No, ma ne conosco uno.
- Guarda di fianco alla stalla.
Quattro pecore gonfie di lana se ne stavano beatamente sdraiate ai bordi della capanna. Le illuminò, ma il loro sguardo sembrava dire: “Guai se osi toccarci! Qui siamo a casa nostra”.
Tornò dal bambino, Roberto Landi, e senza pensarci troppo lo sollevò dal suo nascondiglio e lo portò con delicatezza fino alla capanna. Lo sistemò tra le sue pecore e gli parve, con soddisfazione, che l’espressione triste fosse scomparsa dal suo volto. Il pastorello aveva ritrovato il suo gregge e Roberto Landi aveva riscoperto qualcosa che pensava di aver perso per sempre.
- Ha ragione lei, signore. Il posto di quella statuina è proprio quello, lì tra le sue pecore. Qualcuno sbadatamente deve averlo dimenticato altrove.
Quella voce inattesa lo fece girare di scatto, sorpreso.
- Devo averla spaventata. Mi scusi, ma pensavo che mi avesse sentito arrivare. Comunque, io sono il parroco.
Il giornalista si guardò ancora attorno, smarrito; la chiesa infatti non era più vuota, ma numerose persone erano già sedute sulle panche.
- Sono qui in attesa della messa di mezzanotte - gli spiegò il sacerdote avendo colto lo stupore nel suo sguardo.
Intanto le luci del presepio si erano accese e avevano restituito alle statuine la staticità e l’impassibilità per loro naturali.
- Lei è venuto per quell’articolo sul nostro vecchio presepio, vero? - chiese ancora imbarazzato il parroco non avendo ottenuto alcuna risposta.
Roberto Landi si sentì pervadere da un senso di sollievo. Spense la candela, si passò, con un gesto a lui abituale, una mano nei folti capelli e finalmente rispose sorridendo: - Non più, credo che stasera sia Natale anche per me.

 

 

 

 

 
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citazione 36

Post n°738 pubblicato il 07 Settembre 2018 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-37

 

 

(immagine creata da me)

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 cuore-piccolo



.....vedere quel petalo di rosa cadere...sentire la sofferenza della rosa per aver perso qualcosa che gli apparteneva...che forse qualcuno ha fatto in modo di spezzare....di staccarlo da essa....che strano vedere tanta sofferenza per un solo petalo...ma se poi penso che ci sarà un petalo...ed un altro petalo ed un altro ancora...prima o poi quella rosa rimarrà spoglia della sua vita....sarà triste...soffrirà per colpa di qualcuno che ha deciso per lei come vivere....strano che al giorno d'oggi qualcuno possa decidere per la vita di altri... 

 


(Anonimo)

 
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citazione 35

Post n°737 pubblicato il 05 Settembre 2018 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-36

 

 

cuore-piccolo



Avere un posto
nel cuore di qualcuno
significa non essere mai soli.
 


(Romano Battaglia)

 

(dal web - immagine creata da me - il copyright delle immagini base rimane dei rispettivi autori)

 

BUONA GIORNATA A TUTTI

 

 
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citazione 34

Post n°736 pubblicato il 04 Settembre 2018 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-35

 

 

cuore-piccolo



L'amicizia è un sentimento profondo, come l'amore, certo con sfaccettature diverse, completamente diverse, ma è un sentimento. E' un sentimento che lega due o più persone, quel feeling....diciamo speciale che dura nel tempo e non si perde, che hanno gli stessi pensieri, magari gli stessi principi e gli stessi valori nella vita. Non sto parlando di certo di quelle amicizie che vengono e vanno a loro piacimento....che alla fine non ti danno e non ti lasciano proprio niente....non di queste, ma di quelle amicizie, che pur essendo lontani, legano, alle volte capita di avere gli stessi pensieri, magari vengono espressi in maniere diverse, con linguaggi diversi....ma sono sempre gli stessi pensieri.

 

(pensieri miei)

 

 
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La leggenda del vischio

Post n°734 pubblicato il 01 Settembre 2018 da rosadelvento
 

pattyf56-il-vishio

 

 

LA LEGGENDA DEL VISCHIO
(di I. Drago - trovata nel web) - immagine creata da me -

 

Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno.
Gli affari, quel giorno, erano andati benissimo: comprando a dieci, vendendo a venti, moneta su moneta, aveva fatto un bel mucchietto di denari.
Si levò. Li volle contare. Erano monete passate chissà in quante mani, guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e quella fatica a lui non dicevano niente.
Il mercante non poteva dormire. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Preva che tutti si fossero passati la parola per partecipare a una festa.
Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: - Fratello, - gli gridarono - non vieni?
Fratello, a lui fratello? Ma che erano questi matti? Lui non aveva fratelli. Era un mercante; e per lui non c'erano che clienti: chi comprava e chi vendeva.
Ma dove andavano?
Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli.
Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma lui cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Comprava a dieci e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare.
No, lui non poteva essere fratello a quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita.
Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote; anche i poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco.
Entrò nella grotta insieme con gli altri; s'inginocchio insieme agli altri.
- Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli. Perdonami.
E proruppe in pianto.
Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò.
Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline.
Era nato il vischio.

 
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Le stelle d'oro

Post n°733 pubblicato il 01 Settembre 2018 da rosadelvento
 

Le-stelle-d-oro

 

 


LE STELLE D'ORO
(di J. e W. Grimm - trovata nel web)


Era rimasta sola al mondo. L'avevano messa sopra una strada dicendole: - Raccomandati al cielo, povera bimba!
E lei, la piccola orfana, s'era raccomandata al cielo! Aveva giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo aveva esclamato: - Stelle d'oro, aiutatemi voi!
E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli che erano meno infelici di lei. L'aiutavano tutti, è vero, ma era una povera vita, la sua: una vita randagia, senza affetti e senza conforti.
Un giorno incontrò un povero vecchio cadente; l'orfanella mangiava avidamente un pezzo di pane che una brava donna le aveva appena dato.
- Ho fame - sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito il pezzo di pane nelle mani della bimba; - ho tanta fame!
- Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.
- Ma, e tu?
- Ne cercherò dell'altro.
Il vecchio allora la benedisse: - Oh, se le stelle piovessero su te che hai un cuore così generoso!
Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città alla campagna vicina. trovò per via una fanciulla che batteva i denti dal freddo; non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.
- Hai freddo? - le domandò l'orfanella.
- Sì, - rispose l'altra - ma non ho neppure un vestito.
- Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo sento, mi rende un po' meno pigra.
- Tu sei una stella caduta da lassù; oh se potessi, vorrei... vorrei che tutte le altre stelle ti cadessero in grembo come pioggia d'oro.
E si divisero. L'orfanella abbandonata continuò la strada che la conduceva in campagna, presso una capanna dove pensava di riposare la notte, e l'altra corse via felice dell'abitino che la riparava così bene.
La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si accendevano una dopo l'altra come punti d'oro luminosi. L'orfanella le guardava e sorrideva al ricordo dell'augurio del vecchio e di quello uguale della bimba cui aveva regalato generosamente il suo vestito. Aveva freddo anche lei, ora; ma si consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana; già ne aveva riconosciuti i contorni.
- Ah sì! - pensava: - se le stelle piovessero oro su di me ne raccoglierei tanto tanto e farei poi tante case grandi grandi per ospitare i bambini abbandonati. Se le stelle di lassù piovessero oro, vorrei consolare tutti quelli che soffrono; sfamerei gli affamati, vestirei i nudi... Mi vestirei - disse guardandosi con un sorriso; - io mi vestirei perché, davvero, ho freddo.
i sentì nell'aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio armonioso di oro smosso. La bimba guardò in alto: subito cadde in ginocchio e tese la camicina. Le stelle si staccavano dal cielo, e , cambiate in monete d'oro, cadevano a migliaia attorno a quell'angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:
- Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no... tanti bei palazzi grandi per gli abbandonati e sarò il conforto di tutti quelli che soffrono!
Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva: - Benedetta! Benedetta!

 

 
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