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« La fine del piccioneL'enigma del sigillo imperiale »

La fine del piccione

Post n°421 pubblicato il 19 Giugno 2012 da pedro_luca

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La fine del piccione

Traccia n. 10

In quel tempo che pareva sospeso come se si fosse in attesa di chissà che, aveva coscienza di chi fosse e dove si trovasse, della sua camera, del divano su cui era sdraiato e della coperta in cui s’era avvolto, ma queste consapevolezze erano continuamente combattute da un senso di prostrazione a cui si aggiungeva un misterioso senso di immanenza misteriosa da presagio maligno. Avvertiva in quel silenzio la rarefazione del tempo, il vuoto che precede, che annuncia, lo scoppio. Non era ancora terrore ma stava scivolando inesorabilmente verso il baratro dello sgomento, della paura che lascia indifesi. Un sudore freddo lo assalì al pensiero della fine che fa il piccione. Un colpo forte, simile a quello che si ode quando si bussa alla porta riempì quel silenzio. Ivano sobbalzò, osservò la porta ma non ebbe il coraggio di chiedere chi fosse oltre. Con uno sforzo che gli parve sovrumano si alzò, sempre avvolto nella coperta, e si avvicinò con fare circospetto alla porta, giunto ad un metro da essa si fermò, e quasi senza accorgersene trovò la forza per domandare: “Chi è? Chi è là?” Da dietro a quella soglia non giunse risposta: “Zio? Sei tu zio?” Se dietro a quella porta c’era qualcuno, era uno che non aveva alcuna intenzione di rispondere. Anche Ivano non aveva molta voglia di insistere, così senza alcun motivo, diede due giri alla chiave che stava nella toppa della serratura. Strascicando i piedi perché sentiva dolere i muscoli delle gambe si rimise a sedere sul divano. Guardò la libreria e, non senza provare ulteriore spavento s’accorse di come non fosse nel punto in cui l’aveva spinta lui. Possibile? Per smuovere quel mobile aveva dovuto dar fondo a tutte le sue energie ed ora la ritrovava al punto di prima, quello in cui era sempre stata fin da quando aveva preso alloggio lì. Subito cercò con lo sguardo quella macchia sulla parete, infatti potè vedere bene quell’angolo, quello con il foro nel muro, quello dal pertugio da cui balenavano misteriosi riflessi e provenivano quegli strani rumori. Contemporaneamente alla inspiegabile comparsa della parete, liberata dallo scudo della libreria, dal muro riprese lo stridere del raschio accompagnato da colpi sempre più forti. Il ritmo aumentava di pari passo con il volume ed assumeva la cadenza affannosa dello spasmo. Quel rumore rimbombava per la stanza ritornando alla mente di Ivano come il riverbero di un’eco incessante. Aveva la testa che sembrava gli stesse scoppiando da un momento all’altro mentre il sangue aveva preso a pulsare nelle vene impetuosamente. Un colpo, o forse uno scoppio. Ivano non si rese conto di cosa fosse quel fragore, ma quello che vide apparire improvvisamente dalla parete superò ogni sua immaginazione. La mostruosità dell’essere che apparve improvviso come se fosse esploso nel mezzo della stanza fu così grande, che ancora ora nel parlarne vengono i brividi lungo la schiena dal terrore. La paura, per chi non l’ha mai provata, è senza fondo, possiede l’atrocità dell’incoscienza. Fatico a trovare le parole per descrivere ciò che si parò davanti ad Ivano quella notte. L’immagine spaventosa della malvagità demoniaca lo rapì prima che lui comprendesse cosa stesse succedendo. Quando, cinque giorni dopo, i vigili del fuoco, dopo aver abbattuto la porta su richiesta del padrone di casa, che avvertiva uno strano odore provenire da quella stanza, si trovarono davanti al corpo senza vita di Ivano, riverso sul divano ancora avvolto nella coperta, non compresero cosa fosse successo. Il medico, dopo un breve e frettoloso controllo dichiarò che probabilmente s’era trattato di un infarto, comunque per fugare ogni dubbio si procedette per una autopsia. Ai medici che eseguirono l’esame non fu difficile trovare la traccia di come il cuore del povero Ivano avesse ceduto di schianto, ma se avessero avuto modo di analizzare l’immagine che s’era stampata indelebilmente sulla cornea dei suoi occhi, forse, forse anche il loro cuore non avrebbe retto oltre

 

 
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