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Lo scomparso d'Orta

Post n°639 pubblicato il 04 Ottobre 2015 da pedro_luca
 

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Lo scomparso d'Orta

Traccia n. 7

Quella fu una notte particolarmente tormentata per il maresciallo Gianfriglio, eppure s’era addormentato subito, appena poco dopo essersi sdraiato,  ma poi iniziò a rigirarsi in continuazione in un tormentato  dormiveglia con la mente che sembrava imbrigliata nella vicenda di quello sconosciuto annegato nel lago. L’immagine di quel corpo sbiancato non voleva andarsene dai suoi sogni, ritornava ad ondate assumendo le forme più strane, persino la sua. Tutto questo a causa del ritardo con cui era rientrato a casa, con conseguente cena  fuori orario, a cui s’erano aggiunti i formaggi, cibo a cui non aveva saputo resistere nonostante sapesse fin troppo bene come gli fossero particolarmente indigesti, in special modo se ingeriti poco prima di coricarsi. Fatto sta che al mattino si risvegliò ch’era messo quasi di traverso nel letto, con il cuscino schiacciato contro la testata del letto come se avesse ingaggiato con lui una feroce lotta per tutta la notte. Questo non era certamente un modo benaugurante di incominciare la giornata, ma comunque provò sollievo solo per il fatto che lasciava  quel giaciglio in cui s’era tormentato tanto da sudare, e che con il moto fisico si sarebbe ripreso più facilmente dal leggero stordimento in cui ancora versava. Poi l’acqua fredda avrebbe fatto il resto nel riportarlo in forma, perché ben sapeva che il lavoro urgeva, e il caso di quello sconosciuto non sarebbe svanito assieme ai suoi incubi, ma rimaneva ben reale e tutto ancora da decifrare. Certo è che fu per questo motivo, quello di riprendersi al meglio, che decise  di recarsi al lavoro a piedi, in modo da smaltire le scorie che quella notte insonne gli aveva lasciato addosso, e che un leggero cerchio alla testa certificava. L’orologio a pendolo dell’anticamera segnava le sette e trentacinque quanto il maresciallo, nell’uscire di casa, rispondeva con un gesto della mano al saluto della moglie. Il vento del giorno prima era cessato e l’aria s’era intiepidita, il lago si presentava nelle sue vesti migliori con lo specchio d’acqua liscio come una lastra argentea su cui rifletteva lo splendore dell’abbazia di San Giulio. L’umore non era dei migliori ma non aveva ancora percorso per intero i pochi gradini che conducevano all’entrata della caserma quando gli si fece incontro l’appuntato Martiglio. Aveva poco più di vent’anni, militare di leva aveva firmato la ferma per tre anni, proveniva dalle montagne della Valtellina, da un paesino di quattro case poco lontano da Sondalo, e del montanaro possedeva tutte le caratteristiche, fisico robusto, modi spicci, carnagione rosea e un faccia da bambinone cresciuto in fretta:
“Maresciallo, l’abbiamo trovato.”
Nella concitazione s’era persino dimenticato il saluto di pragmatica, da regolamento, da dare al suo comandante e, accortosene, cercò subito di porvi rimedio:
“Oh, buongiorno maresciallo.”
L’appuntato sprizzava soddisfazione da tutti i pori, era il prima caso di una certa importanza in cui veniva  coinvolto da quando s’era arruolato e il suo largo sorriso esprimeva un appagamento quasi fanciullesco:
“L’abbiamo trovato cosa. Cosa?”
Il maresciallo chiese con un tono che tradiva nervosismo.
“Quello annegato nel lago signor maresciallo. Stamane, subito dopo aver dato il cambio è arrivata la telefonata,  hanno denunciato la scomparsa di un  turista tedesco.”
Il maresciallo s’affrettò alla scrivania per la curiosità:
“Chi è?”
“Per ora c’è solo quella telefonata. E’ stata fatta dall’Hotel Bellavista di Omegna. Una guida turistica ha denunciato la scomparsa di un uomo dicendo che non è più rientrato in albergo e nella sua camera ci sono i bagagli ancora chiusi. Anche se si tratta dell’assenza di una sola notte dicono che quell’uomo mai si sarebbe allontanato dalla comitiva di propria volontà e che non conosce una sola parola di italiano.“
Il buonumore che quella notizia sembrava aver portato già se n’era andato e il cerchio alla testa non smetteva di farsi sentire:
“Ma come, quello manca da una sola notte, dico, una notte. Ma avranno almeno pranzato o cenato assieme. Vabbe', da’, chiami Ansielmi.”
Il sottoposto uscì dall’ufficio e Gianfriglio prese il telefono,  chiamò la procura di Borgomanero chiedendo di poter parlare con la dottoressa Forsuonno. Posò meccanicamente lo sguardo sull’orologio da polso e solo allora s’accorse d’aver allacciato il vecchio Wyler Vetta, quello che indossava per le occasioni importanti. Sul quadrante la lancetta corta era posizionata sulle otto e quella lunga indicava le sei. In quel momento gli sembrò che quella mattina le cose procedessero per conto loro più di quanto non lo facessero gli altri giorni. Quel gesto gli era naturale ormai, per ogni volta che si sentiva rispondere, da qualsiasi ufficio  contattato, di attendere che sarebbe stato richiamato, lui lanciava un’occhiata all’orologio da polso prima di posare la cornetta.
A conferma di quanto fosse  particolare quella giornata non dovette attendere che cinque minuti scarsi prima che squillasse il telefono, era la procura e all’apparecchio sentì da subito la voce della Consuonno:
“Mi aveva cercato maresciallo?”
Non s’era nemmeno presentata e non aveva nemmeno rivolto un canonico ‘buon giorno’, ma non si trattava di maleducazione o scortesia, in realtà,  nonostante fosse alle prime armi nella professione e al  suo primo caso, la curiosità aveva avuto il sopravvento sulle  precauzioni istituzionale e sul galateo. Il maresciallo, che era uso a trattamenti ben più scortesi non ci fece caso.
“Buongiorno dottoressa. Si, abbiamo ricevuto una denuncia di persona scomparsa. La guida turistica di una comitiva tedesca, alloggiata ora all’hotel Bellavista di Omegna, ha lamentato il mancato rientro in albergo di una persona. Da ieri pomeriggio non hanno più avuto notizie dal soggetto.”
“Lei pensa che potrebbe trattarsi del cadavere rinvenuto ieri nel lago?”

 

 
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