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La dittatura dello spread

Post n°7 pubblicato il 05 Marzo 2015 da aariete.78
 

Che fine ha fatto Alexis Tsipras?
Dopo roboanti dichiarazioni e bellicose intenzioni è dovuto scendere a patti con l'odiata "Troika".
Ecco perché il fronte "euroscettico" non può vincere; ecco perché ancora deve nascere (politicamente parlando) un leader in grado di abbattere la DITTATURA DELLO SPREAD!

Nell'estate del 2012 la Grecia si fermò ad un passo dal baratro.
I partiti tradizionali, corrotti e tra i maggiori responsabili di decenni di malgoverno, subirono una pesantissima sconfitta che, impedendo la formazione di una maggioranza parlamentare, portarono la nazione sull'orlo della bancarotta. Contemporaneamente vi fu la netta affermazione di una formazione di estrema sinistra, Syriza (con molti distinguo paragonabile al nostrano movimento 5 stelle), il cui programma rappresentava il moto di protesta popolare contro "l'austerità" imposta dall'Europa e dal Fondo Monetario Internazionale.
Il braccio di ferro tra i due schieramenti portò a nuove elezioni, di fatto trasformate in un referendum sulla permanenza del Paese nella moneta unica.
Da un lato Neodemocrazia e Pasok (l'equivalente dei nostrani Pdl e Pd) disposti ad un governo di unità nazionale (in Italia chiamato di larghe intese) pur di varare i tagli imposti dalla "Troika" e restare all'interno dell'Unione Europea; dall'altro Syriza pronta a riprendere la sovranità monetaria per non rispettare vincoli di bilancio ritenuti vessatori.
Proprio quando sembrava profilarsi una svolta storica dalle conseguenze inimmaginabili, cominciò a pesare sulla competizione politica "l'elettore" più importante. I continui crolli in borsa e le pressanti minacce di Bruxelles, riguardanti la cancellazione degli aiuti necessari per pagare stipendi pubblici e pensioni, fecero precipitare la nazione nel caos condizionando tutta la campagna elettorale.
Il crescente clima di tensione era misurato sinteticamente dallo "spread" dei titoli ellenici rispetto ai bund tedeschi, oramai fuori controllo.
Fu allora che i Greci cominciarono a capire una verità che era sfuggita all'inconcludente "capopopolo" di Syriza.
La difesa del settore pubblico e della politica assistenzialista avrebbe portato la nazione fuori dall'Europa in un momento in cui l'economia nazionale era talmente depressa da non poter rappresentare una garanzia di sostentamento per tutti i cittadini.
A tale argomentazione si aggiungeva l'incognita di ritornare alla Dracma in una Grecia prossima al fallimento anzi, a detta di molti esperti e non solo, già fallita.
Fu di tutta evidenza, dunque, che si rischiava di sostituire un presente difficile con un futuro drammatico.
Lo spauracchio di una traumatica svalutazione dei risparmi in assenza di una ripresa economica certa, spinse i Greci a votare l'alternativa "migliore" premiando i partiti responsabili dello sfascio finanziario della nazione.
Più correva lo "spread" più i voti confluivano verso la tradizionale e corrotta nomenclatura politica.
Questa triste storia, le cui inquietanti analogie con quella italiana certamente non saranno sfuggite, ha una sottile morale.
A causa del debito fuori controllo, chiunque governi in Europa (e non solo) deve fare i conti con i "ricatti" del mercato, una sorta di "grande elettore" senza il quale nulla è possibile. Posizioni "rivoluzionarie", sebbene fondate su ragionamenti e principi condivisibili, sono destinate all'insuccesso perché sostenute da un labile consenso elettorale reso ondivago dalle dinamiche della borsa.
Quando Grillo, tanto per citare un caso a noi vicino, impedisce la formazione di un governo o proclama un referendum sull'Euro, difettando di "realismo politico", commette l'errore di suscitare la diffidenza dei mercati che, a sua volta, terrorizza gli elettori.
Andrebbe compreso, invece, che maggiore è la portata del cambiamento proposto, maggiore deve essere la gradualità con cui realizzarlo. 
L'eventuale abbandono della moneta unica, per esempio, andrebbe pianificato nel lungo periodo avviando il risanamento delle finanze pubbliche ed il rilancio dell'economia nazionale. L'affrancamento dei popoli dall'Europa delle banche, delle lobbies e dei burocrati della BCE resterà un'utopia se, almeno nella fase iniziale dell'azione di governo, non si ricercherà anche il consenso dei "poteri forti".
In sostanza, la "dittatura dello spread", forte e subdola, si combatte con una sapiente politica che, a piccoli passi, consenta una progressiva emancipazione dei governi dall'ingerenza dei mercati senza suscitare troppo clamore. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono eclatanti quanto inutili "atti di disobbedienza" che, alla lunga, rafforzano quel sistema economico malato contro il quale doverosamente si protesta.

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