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3.4.2. Resoconto riunione 03-06-2012 - Parte 2

Post n°20 pubblicato il 13 Febbraio 2014 da InsiemeSullaTerra
 

Cause della crisi

Sin dai primi anni ’90, prima molto lentamente, poi sempre più velocemente, si sono potuti osservare cambiamenti sostanziali rispetto all’equilibrio sociale al quale eravamo abituati in precedenza.

Ci sono stati molti cambiamenti a vari livelli.

Ma il cambiamento più grave in assoluto è l’aumento della povertà a livelli non più accettabili.

La povertà aumenta principalmente a causa della diminuzione o mancanza del salario, della pensione, e a causa dell’aumento delle tasse e imposte.

Riguardo al salario, questo dipende dalle aziende, e dalle possibilità che le leggi danno loro di ridurre i salari in base ai contratti a disposizione.

In generale si osserva come in quasi ogni settore le piccole aziende facciano sempre più difficoltà ad esistere, a favore delle grandi aziende nazionali ed estere che le sostituiscono.

Le politiche comunitarie e italiane favoriscono in ogni settore le grandi aziende a discapito delle piccole aziende, nonché la delocalizzazione invece che la protezione della produzione locale.

L’accentramento in poche grandi aziende e soprattutto la delocalizzzazione tolgono lavoro e riducono i salari a chi il lavoro resta.
Riguardo ai lavori forniti dallo Stato, possono occuparsene anche qui solo le grandi aziende, a causa dei vincoli legali ma soprattutto per i problemi finanziari che lo Stato crea alle aziende riguardo ai pagamenti.

Ma soprattutto, dato che le risorse dello Stato si stanno riducendo sempre più, grazie al debito che aumenta, ma anche e soprattutto alle politiche di privatizzazioni e liberalizzazioni sempre a favore delle grandi aziende, e della riduzione delle imposte ai più ricchi, che oltretutto diventano sempre più ricchi e sempre di meno, anche il lavoro proveniente dallo Stato sta diminuendo, peggiorando ulteriormente la situazione.

Riducendosi il lavoro di produzione, e quello per lo Stato, i consumi diminuiscono, e quindi anche il lavoro prettamente legato a produzione e vendita locali diminuisce.

Questo è il giro vizioso del lavoro, sul fronte dell’import/export, dei servizi, e dei mercati locali.

Lo Stato, per recuperare risorse, emette titoli. Dato però che il ciclo vizioso del lavoro peggiora sempre più, lo Stato si impoverisce sempre di più per le cause suddette, e gli interessi del debito pregresso lo fanno aumentare ancora di più, lo Stato è costretto ad emettere sempre più titoli.

E questo è il ciclo vizioso dei debito pubblico.

La situazione peggiora ancor più in quanto lo Stato trova sempre meno acquirenti per i suoi titoli, in quanto i suoi cicli viziosi fanno prevedere un collasso sempre più imminente.

E questo è il ciclo vizioso totale che ci sta portando al collasso.

Le politiche dell’attuale governo, con ulteriori aiuti  alle grandi imprese, ulteriori difficoltà alle piccole imprese, ulteriori tagli ai servizi, ed ulteriore emissione di titoli, non stanno facendo altro che peggiorare la situazione.


Soluzioni alla crisi

I nodi cruciali di questa situazione quindi sono due:

- Il lavoro che si riduce sempre più;

- Il debito pubblico che aumenta sempre più.

Gli unici che ci guadagnano da questo ciclo vizioso sono le grandi aziende, che delocalizzano, si sostituiscono alle piccole aziende, lavorano con lo Stato, e detengono buona parte dei titoli del debito pubblico.

Per grandi aziende intendo il complesso di finanziarie, banche, aziende di produzione e di commercializzazione che fanno tutte.capo ad una unica holding.

E a capo delle holding di queste catene di aziende ci sono semplicemente delle famiglie, poche famiglie, sempre le stesse, i cui nomi conosciamo bene, almeno di quelle italiane: Berlusconi, De Benedetti, Agnelli, Della Valle, Marcegaglia, Montezemolo, ecc…

E queste famiglie, e le loro corti, stanno diventando sempre più ricche, assorbendo la ricchezza italiana, che non è illimitata.

Non ci sono sette misteriose, non c’è nulla di nascosto. Tutto alla luce del sole. Poche famiglie governano tutto il mondo con questo sistema, sicuramente semplificato, ma sostanzialmente questo.

Poco tempo fa ricercatori svizzeri su commissione di Repubblica hanno risalito la catena delle multinazionali, ed hanno definito circa 145 holding che controllano il 45% del mercato globale, che non è quindi libero, come  i cari liberisti ci hanno invece sempre detto.

Secondo dati ISTAT e banca d’Italia il 10% più ricco degli italiani detiene il 45% della ricchezza italiana, e il 20% più ricco degli italiani detiene l’80% della ricchezza italiana.

Le stesse proporzioni più o meno riguardano la popolazione mondiale rispetto alla ricchezza mondiale.

E questa percentuale aumenta anno dopo anno.

Ecco quindi dove, in un modo o in un altro, sta andando a finire la ricchezza dello Stato italiano e quella di tutte le altre famiglie.

Per tutti gli altri paesi il funzionamento è fondamentalmente lo stesso, con differenze relative.

Ma tutti gli stati stanno entrando in questo ciclo vizioso, che non è un ciclo contagioso, come ci vogliono far credere, ma è il destino obbligato di tutti gli stati che stanno seguendo le attuali politiche cosiddette liberali, o liberiste.

Tutte le politiche fatte sicuramente dall’inizio degli anni ’90, ma ritengo da molto prima, dai governanti dei paesi occidentali, erano volte a favorire queste famiglie.

Quello che è già accaduto in precedenza quando si è arrivati al collasso del sistema è stata una guerra.

Non so immaginare cosa potrebbe essere in questa epoca.

Una volta compreso il sistema, trovare le soluzioni dovrebbe essere relativamente semplice.

Gli stati sono al momento ricattati dai detentori dei debiti.

Il debito pubblico è composto dall’insieme di tutti i titoli emessi dallo stato e i relativi interessi.

Il singolo titolo di stato è sostanzialmente un prestito che lo stato chiede a chi acquista quel titolo.
Lo stato lo restituirà dopo un determinato periodo di tempo, con l’aggiunta di una quota di interessi stabilita.

Ma analizziamo ora il motivo per cui uno Stato emette dei titoli.

Ogni fine anno lo Stato forma il bilancio di chiusura. Ovvero, semplificando, come accade in una società privata, sommando entrate ed uscite verifica se è in utile o in perdita.

Se è in utile bene, avrà risorse in più il prossimo anno per costruire un nuovo ospedale o fare le olimpiadi.

Se invece è in perdita deve trovare le risorse per coprire quella perdita.

E lo Stato quindi emette titoli per ottenere le risorse per coprire quella perdita.

Ma la Costituzione dice un’altra cosa riguardo alle spese pubbliche.

Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Se quindi lo Stato ha necessità di pareggiare il bilancio, non deve chiedere soldi in prestito, ma prenderli di diritto dalle tasche dei suoi cittadini.

In base alle loro capacità contributive.

E secondo criteri di progressività.

Questo vuol dire che più si è ricchi e maggiore è la percentuale di imposte che si dovrebbe pagare, in modo tale da soddisfare le esigenze dello Stato..

Se gli scaglioni previsti l’anno precedente non erano adeguati, devono essere adeguati in modo da rispettare la Costituzione, ovvero, permettere la dignità al meno abbiente, e aumentare le imposte ai più abbienti quanto basta per ottenere il necessario.

Sempre secondo dati ISTAT e banca d’Italia, il debito cresce ogni anno di 40 miliardi. In base ai dati reddituali rapportati a quelli patrimoniali, l’aumento delle imposte del 15% al 20% più ricco degli italiani, di quelli con posizione reddituale certa, esclusi gli evasori quindi, si otterrebbero circa 60 miliardi.

40 per invertire la tendenza e cominciare a ridurlo, il debito.

E gli altri 20 in parte allo stato sociale, ad esempio ora per emettere assegni sociali per i disoccupati, come Costituzione comanda, e in parte per ridurre ulteriormente il debito.

E se applicassimo una seria lotta all’evasione, saremmo tutti milionari!

Già solo questa soluzione potrebbe bastare per riattivare un ciclo virtuoso che oltre a ridurre il debito, indirettamente favorirebbe anche la ripresa del lavoro, e ridurrebbe la corruzione, perché qualsiasi tipo di sistema si possano inventare quei signori, la scure fiscale a fine anno riequilibrerebbe la distribuzione della ricchezza secondo canoni di giustizia sociale.

Riuscire a prendere una misura di questo tipo assicurerebbe gli investitori delle serie politiche dello Stato italiano, e tornerebbero ad acquistare titoli anche a tassi ridotti, così da velocizzare il processo di riduzione del debito fino ad esaurimento forse anche prima dei decenni che ci sono voluti per formarlo, perché ricordiamo che questa malsana abitudine è stata usata sin dalla fondazione dello Stato italiano.

Una tale imposizione fiscale obbligherebbe quei signori a tornare a rispettare lo Stato e i cittadini, e riporterebbe quindi lo Stato a livelli morali dignitosi.

Ma non basta. Deve essere riportato il lavoro in Italia.

E’ giusto che gli Stati, i loro cittadini, si riapproprino delle politiche economiche globali, e si inverta la tendenza che sta distruggendo il mondo.

In ogni paese, o almeno in Italia, le produzioni e i consumi devono essere, ove possibile, locali, proteggendo con apposite leggi, deterrenti, o dazi, i mercati locali da quelli esteri, e le piccole aziende dalle grandi aziende, limitando le importazioni alle merci non producibili localmente.

Le tasse vanno pagate in adeguata proporzione nei paesi dove le merci vengono prodotte e dove vengono vendute, ma mai in paesi terzi. Devono essere riviste le leggi sulla tenuta delle contabilità delle grandi aziende.

E infine, le politiche di tutti gli stati del mondo dovrebbero tendere a ridurre nel tempo le differenze di costo del lavoro e del denaro tra stati, al fine di evitare ulteriori possibilità di speculazione, e favorire la libera circolazione delle persone nel mondo, piuttosto che delle merci.

Tali soluzioni risolverebbero indirettamente molti altri problemi, come la fame nel terzo mondo, in parte l’inquinamento, e la produzione e smaltimento di rifiuti.


Metodi di applicazione delle soluzioni alla crisi

Si dividono in metodi per applicare le soluzioni nella realtà in modo graduale, e metodi per arrivare ad ottenere che il Parlamento ed il Governo applichino queste soluzioni.
Non ho avuto tempo di svilupparli. Lo farò nella prossima riunione.


RESOCONTI

Resoconto di Silvio Perroni

L’ambiente è diventato da subito informale, anche e soprattutto a causa mia, avendo da subito percepito l’importanza di un primo contatto libero ed informale al fine di creare un clima positivo di conoscenza reciproca.

Questo ha permesso di reciprocamente conoscersi e valutarsi, in qualche modo. Ha anche permesso ai rappresentanti delle organizzazioni presenti di conoscersi tra loro, cosa che ritengo alquanto importante.

Per contro, il non aver rispettato il protocollo previsto, anche per colpa degli stessi osservatori e dei partecipanti, visto che nessuno, a parte il sottoscritto, ha presentato il suo intervento in forma scritta e strutturata come richiesto, ha fatto sì che, oltre ad occupare la maggior parte del tempo in modo non massimamente fruttuoso, se non per l’appunto riguardo alla reciproca conoscenza, alla semplice divulgazione delle proposte di ognuno non ha fatto seguito una approfondita analisi in dettaglio, né un confronto con le altre, in modo strutturato, al fine di poterle fondere in un’unica proposta.

Cosa che sarà comunque fatta nella prossima riunione, che proseguirà il programma previsto, questa volta rispettando il protocollo previsto.

Il principale motivo per cui non ho potuto sviluppare la riunione come desiderato è stato, in realtà, la mia renitenza nel voler obbligare gli osservatori a seguire il protocollo, che prevedeva, dopo le loro divulgazioni, la loro esclusione dalla successiva riunione vera e propria in quanto solo osservatori. E ritengo di aver avuto ragione nel non obbligarli. Qualsiasi esclusione è deleteria e ingiusta. Se pur è vero che la partecipazione ad una riunione come rappresentanti di altre organizzazioni, rispetto a singoli partecipanti, pone alcuni problemi, non è la loro esclusione totale dal confronto la soluzione corretta.

Il motivo principale dell’aver escluso gli osservatori dalla riunione vera e propria era il timore che la loro appartenenza ad altre organizzazioni li condizionasse nel non comprendere lo spirito con il quale è necessario avvicinarsi a questa iniziativa, cosa che infatti è avvenuta, nel riscontrare il loro essere restii nel proseguire la riunione come partecipanti, e quindi permetterne l’inizio vero e proprio.

Ma è stato proprio il permettere loro di porsi come d’abitudine, dando loro la possibilità di esprimersi anticipatamente, evitando di accettare le rigidità imposte dal “protocollo” di confronto, che ha impedito lo svolgersi della riunione così come previsto.

Stesso errore l’ho commesso permettendo anche ai partecipanti di intervenire a titolo divulgativo prima di cominciare la riunione vera e propria.

Il risultato è stato così quello di far ritenere che la riunione consistesse proprio in quegli interventi, che invece volevano essere solo di rispettiva presentazione, senza avere l’esperienza di reale confronto e crescita auspicata dalle regole di confronto previste.

Il presentare la propria organizzazione o i propri interventi tutti insieme, senza seguire la procedura prevista di definizione ed analisi, in sequenza, degli effetti, cause, soluzioni e metodi, può influenzare negativamente il corretto svolgersi dei ragionamenti, in quanto la validità del metodo consiste nell’evitare di sviluppare una fase avendo già in mente dove si vuole arrivare. E’ contrario alla logica del metodo “scientifico”.

Quindi, come conseguenze di quanto accaduto nella prima riunione, eliminerò dal programma “tipo” di svolgimento della riunione le fasi di breve divulgazione, sia degli osservatori che dei partecipanti. E permetterò inoltre agli osservatori di partecipare, senza alcuna condizione, oltre quelle previste dal regolamento di svolgimento. Che gli osservatori partecipano a nome personale o della loro organizzazione è relativo, in quanto il loro voto conterà sempre quanto il voto di ogni altro partecipante, ovvero “uno”.

Accolgo inoltre il consiglio di Mauro Maurizio Neri, se non ricordo male, o di Eligio Ceccanei, che obiettava che definire “Statuto”, se pur “iniziale”, le regole che riguardano una semplice riunione di cittadini che non hanno definito alcuna organizzazione, è improprio, e lo sostituisco quindi con la definizione “Regolamento iniziale”.

Ricevo l’obiezione di Mauro Maurizio Neri, riguardo alla definizione di “bene comune”. Se ho ben compreso, lui lo intende come “bene al di sopra dei singoli partecipanti alla comunità, identificabile con la struttura e/o con i beni dalla comunità condivisi”.

Ma non è questo il senso di bene comune che intendevo dare io a questa definizione.

Ogni struttura, istituzione, bene, materiale o meno, non può essere fine a sé stessa, ma deve sempre essere al servizio della comunità. Altrimenti si rischia, così come è già avvenuto in comunità, nazioni, od altre organizzazioni nelle quali si è erta l’organizzazione a bene superiore a quello dei singoli partecipanti, di creare, consapevolmente o meno, una specie di “dio”, al quale “sacrificare” parte o tutto del proprio bene.

Il fine ultimo di ogni comunità, nazione, organizzazione, è e deve essere sempre il massimo bene possibile, materiale e non, per ogni singolo partecipante, e nulla deve essere anteposto a questo.

Qualsiasi struttura, istituzione, o bene prodotto, deve volgere a questo fine. Qualsiasi altro fine non è logicamente accettabile, in quanto assegna il massimo bene ad una struttura, istituzione, organizzazione, che non esiste nella realtà come entità vivente, e quindi sarebbe insensato.

L’ osservazione di Mauro Maurizio Neri quindi, a prescindere che io l’abbia interpretata correttamente o meno, ha evidenziato la necessità di esprimere più chiaramente cosa intendo per “bene comune” nelle premesse al regolamento iniziale.

La precedente definizione “Per “bene comune” si intende il massimo bene possibile, inteso in tutti i suoi aspetti, materiali e non, per tutti i partecipanti di una società.”, sarà sostituita quindi con “Per “bene comune” si intende la somma di ogni bene, inteso in tutti i suoi aspetti, materiali e non materiali, di ogni singolo partecipante alla comunità, in modo tale che il “bene” di uno qualsiasi dei partecipanti non sia ottenuto a scapito del “bene” di uno o più altri partecipanti alla comunità”.

Rendendomi conto che questa definizione può essere non completa, la ritengo tuttavia sufficiente come definizione di partenza.

Sempre riguardo alla partecipazione di rappresentanti di altre organizzazioni, ho cominciato a pormi il problema, anche rispetto alle frequenti richieste da parte degli stessi rappresentanti, di mettersi nell’ottica di pensare a qualcosa che cominci a riunire le organizzazioni.

Per il momento mi sono limitato a fare in modo che le altre organizzazioni non siano escluse dalla presente iniziativa, se pur vincolate al regolamento di partecipazione, consapevole del fatto che prima o poi questo sarà un problema da affrontare decisamente, se pur già le poche regole che vado ad aggiungere ritengo che possono essere funzionali ad un primo abbozzo di sistema di confronto fra organizzazioni.

Riflettendo sul problema, mi si è anche evidenziato il problema della delega del voto, sia come delega di singolo che come organizzazione. Lo spirito di questa iniziativa, non ammettendo alcuna pressione di tempo, se non in casi eccezionali di forza maggiore, né l’indispensabilità di chiunque come singolo individuo, e volendo evitare qualsiasi possibilità di maggior peso di un singolo partecipante rispetto ad altri singoli partecipanti, non può permettere che si possa esprimere un qualsiasi voto in vece di altri, singoli od organizzazioni che siano. Ogni singolo partecipante, rappresentante o meno di una organizzazione, ha sempre la possibilità di mettere in discussione qualsiasi punto del regolamento, sempre seguendone le regole, e qualsiasi documento prodotto, anche se già votato in precedenza. E questa anche è una regola che andrò a formalizzare.

Le regole che ho identificato al momento, da aggiungere, alle regole di votazione, sono le seguenti:

- chiunque accetta e rispetta il regolamento della riunione può votare sugli argomenti per i quali ha partecipato sempre alle rispettive discussioni;

- ogni partecipante può votare solo per sé stesso, anche se rappresentante di altre organizzazioni; non sono quindi ammessi voti in delega, né per delega di singoli, né per delega di organizzazioni;

- ogni singolo partecipante può richiedere di aprire una discussione e quindi votare su qualsiasi articolo del presente regolamento;

- le discussioni e votazioni sul regolamento hanno sempre la priorità su quelle di altro tipo.

Ho anche eliminato il precedente art. 1 della procedura di votazione: “La presente procedura è limitata alle esigenze di questa riunione.” in quanto ritenuto superfluo.

Ho ritenuto necessario aggiungere un articolo alle premesse del regolamento, tale che spiegasse il motivo per cui per l’approvazione di qualsiasi documento o decisione sia necessaria, nelle votazioni, l’unanimità, sempre e comunque.

L’articolo aggiunto quindi è il seguente:

“L’uso del metodo scientifico, dimostrando con fatti le affermazioni a cui si giunge, renderebbe in teoria vana anche la necessità di votazioni. Ma la scienza stessa insegna che il continuo evolversi della ricerca, nella sempre maggiore acquisizione di informazioni sulla realtà, modifica, perfeziona, e a volte addirittura stravolge ciò che si ritiene vero. Oltretutto, non sempre è possibile acquisire informazioni certe, in particolare in campo politico, ed in particolare ad esempio quando si vuole applicare una soluzione piuttosto che un’altra. Si possono studiare casi simili, si può riflettere applicando il più possibile la logica deduttiva sulle conseguenze di determinate scelte, e si possono calcolare verosimili probabilità di riuscita di una soluzione piuttosto che un’altra. Ma anche se si fosse dimostrata certa, risolutiva, e ripetibile una determinata soluzione, è comunque necessaria una formalizzazione delle decisioni prese, con conseguente assunzione di responsabilità. E’ per questo che in questo regolamento si prevede comunque la necessità di votare i documenti prodotti e le decisioni prese. Ma le votazioni non saranno volte, come comunemente invece avviene, a far prevalere una “opinione” su di un’altra, perché questo è contrario al metodo scientifico, ed alla diffusione e condivisione di consapevolezza, nonché di comune spirito di intenti. Lì dove si presentino opinioni contrastanti, è dovere di ognuno dei partecipanti evidenziare le divergenze, confrontare le differenti informazioni di base sulle quali si basano, e definire quindi comunemente quale delle due sia la più accettabile, oppure, come spesso invece accade, produrre una terza opinione comune e verosimilmente più probabile. Lì dove esistano gradi di incertezza in entrambe le opinioni, resta sempre possibile decidere di comune accordo quale seguire per prima, salvo tornare sulla seconda una volta verificata la fallacità della prima. E’ per questi motivi che qualsiasi documento e decisione prodotti da riunioni svolte seguendo il presente regolamento, potrà essere approvato solo all’unanimità dei partecipanti.”

E’ purtroppo passato già un mese da quando la prima riunione è stata svolta. E già in questo mese la situazione è peggiorata ulteriormente, confermando ancor più la necessità di proseguire con questa iniziativa ed anche velocemente. La concomitanza delle elezioni politiche nel 2013 potrebbe diventare un obiettivo reale e raggiungibile. A patto però che ci si arrivi determinati e soprattutto preparati, in modo da attuare immediatamente, una volta eletti a maggioranza assoluta, le soluzioni previste.

Le soluzioni proposte dai partecipanti e dai rappresentanti delle organizzazioni che hanno partecipato sembrano valide, e potrebbero già essere sufficienti per stilare un primo programma realmente risolutivo.

Dobbiamo quindi cercare di dare la massima disponibilità a che si posa definire un programma, ed un metodo di sua attuazione, al più presto.

Se pure in una situazione di maggiore disponibilità di tempo sarebbe stato  auspicabile applicare il metodo “scientifico” a partire da zero, mi rendo conto che richiederebbe un notevole tempo iniziale sia per l’assimilazione del metodo stesso da parte dei partecipanti, sia per la definizione di effetti, cause, soluzioni, e metodi, alcuni dei quali possono ritenersi ormai già più che assodati e condivisibili.

Ho deciso quindi, per la prossima riunione, di definire già un primo documento che prevede effetti, cause, soluzioni e metodo di applicazione maggiormente dettagliati in base alle mie proposte fuse con gli interventi dei partecipanti, ovvero quelli di Marcello Marani e Christian Capone.

Non sarà in alcun modo vincolante, ma al contrario darà una prima traccia sulla quale discutere e potrà quindi essere integrato od anche stravolto, sempre però seguendo le procedure previste dal regolamento.

Le proposte delle organizzazioni presenti alla prima riunione verranno inglobate nel documento finale se proposte dai partecipanti alla prossima riunione, e sempre seguendo le procedure del regolamento.

In base quindi alle modifiche in precedenza indicate, correggo il precedente regolamento, differenziandolo in base alla data di “emissione”, ovvero quella odierna del 04 luglio 2012, pubblicandolo immediatamente dopo il presente resoconto, e subito dopo inviterò chiunque a partecipare alla prosecuzione di questa riunione.

 

 

 

 
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