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Post n°481 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da perlarosadifiume

Enrico Prampolini - Manifesto pubblicitario 1921


Una lontana copertina di un settimanale popolare illustrato mostra un coraggioso astronauta, con la barba rossa al vento, che compie una ascensione in pallone: è uno di quegli avventurosi vessilliferi del pro­gresso che si incontrano nei primi decenni del secolo, e che somigliano ai primi deputati socialisti.

Si chiama Gino Gori: scrittore, critico, filo­sofo, autore di alcuni libri di teoria dell’arte e teatrale; ma anche fondatore di una bohémienne Bottega del Diavolo (1921), situata negli scan­tinati di un albergo di via Basilicata a Roma  l’Hotel Elite et des Etrangers, poi Majestic  decorata dal futurista Depero.

 

La Bottega del Diavolo era un cabaret composto di tre sale: Paradiso, in alto, Purgatorio, in mezzo, Inferno, sottoterra. Nel Paradiso si avevano mobili azzurri, in forma di gigli stilizzati. L’illuminazione era bianca, rossa, azzurra. La decorazione presentava voli e teorie d’angeli, razzi di stelle, nastri di cherubini.

 

I mobili del Purgatorio erano verdissimi. L’illuminazione bianca e verde. La decorazione floreale, grigia, verde-cupo, con cortei di anime verdi. L’Inferno era la sala più frequentata, con mobili neri, illuminazione rossa, e decorazione di battaglie di diavoli e dannati, turbini di fiamme e forche, catene di serpi infuocati e démoni, flora di fuoco.

 

L’arazzo Ballo di diavoli, eseguito nel 1923 traduce una composizione tolta da uno dei grandi pannelli murali del cabaret: diavoli rossi e neri danzano con enormi forche, appena scattati da un buco rotondo aperto su di un ripido lastrone. Al lato sinistro in un fascio di fiamme calano i dannati. In alto a destra architetture primitive con finestre e porte sbilenche dalle quali s’intravedono paesaggi in fiamme. Diavoletti bianchi con code seghettate diaboliche, cornute, e code serpentine, rosso-marrone. Nel cabaret della Bottega del Diavolo era la sede della Brigata degli In­diavolati, composta dal capo supremo Trilussa (Lucifero) e dal suo stato 3 Che han dato il destro a Godard per uno sketch divertente, avveniristico (ma non dovremmo dire futurista?), in cui un giovanotto, alle prese con la sua bella in abito metallico, per svestirla deve lavorare di chiave inglese, pinze e cacciavite. 4 Cfr. El Lisitzkij, op. cit., pag. 26. maggiore Gino Gori (Minosse), Toddi (Gran Notaro del fuoco), Guasta (Caronte), Luciano Folgore (Cerbero), Massimo Bontempelli (Barbaric­cia).

 

Narra Guasta’ che Gino Gori, gigantesco moschettiere rosso di bar­ba e di pizzo, oltre che poeta (m. 2,10), era il proprietario dell’albergo ed ospitava con generosa noncuranza del bilancio aziendale tutti gli amici giornalisti, scrittori e pittori di passaggio per Roma. Il sabato spalancava le porte del suo regno sotterraneo e vi accorrevano Maffio Maffei, Arturo Calza, Tullio Giordana, Girus, Cecè (ovvero Giulio Cesare) Viola, Enrico Prampolini, Marinetti… Tavoli, divani, sedie, tutto era intonato al luogo; perfino i nomi delle consumazioni del bar dove si poteva chiedere del fuoco liquido al posto del ponce.

 


Era un allegro Inferno dove si respirava un po’ l’atmosfera del non lontano « Teatro degli Indipendenti » di Bragaglia e non mancavano programmi di poesia e di sintesi teatrali improvvisate da Folgore, Toddi e Guasta. Folgore era spe­cialista in parodie, il conte Pietro Silvio Rivetta combinava trucchi, stre­gonerie e « sdoppiamenti », e tutti e tre idearono una complicata macchina parlante, il vatefonelettronico  « sorta di armadio, irta di pul­santi, leve e interruttori, sormontata da un’enorme tromba di grammo­fono. Invitato solennemente il pubblico a suggerire, una alla volta, 14 rime… Toddi girava una manovella, che faceva accendere una lampa­dina e trillare un campanello, e la macchina gracidava un perfetto sonetto P. Un specie di burlesca « macchina calcolatrice di poesia », adoperata per mettere in burla la (negativa, stavolta!) meccanicità della poesia tradi­zionale. E il mistero era molto semplice: nel ventre della macchina si celava Luciano Folgore, che all’istante componeva quattordici endeca­sillabi, sulla base delle rime proposte. Altre volte, lo spettacolo era più propriamente “teatrale”: nel 1923 En­rico Prampolini vi mise in scena una commedia di marionette di Folgore e Bontempelli.

Da: Kurage Art-laboratorio sperimentale di arte e design.

 
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