Ore 6.30.
Dopo un viaggio ai limiti dell'umano, trascorso sognando luoghi e persone intrisi di una surrealità quanto meno sconcertante, una musichetta sorniona stile lounge cinematografica italiana anni '70 fuoriesce dall'altoparlante situato sopra la mia testa.
Bestemmio silenziosamente.
Maledico in precisa sequenza: Armando Trovaioli, Piero Piccioni, Piero Umiliani, la bossa degli anni sessanta e, gia che ci sono, inveisco anche contro Ennio Morricone.
Fanculo ai film in bianco e nero, penso.
Maledetta la musica che, contro ogni sua volontà, viene sfruttata per "intrattenere", per tappare momenti d'esistenza ritenuti banali ed effimeri.
Maledetto colui che decide quale musica devo ascoltare, quando e perchè.
Frastornato, ho in mente Kundera e qualche sua lezione intrisa di prosa e saggistica.
Qual'è il valore musicale della 9^ di Beethoven filtrata da un altoparlante all'entrata di un McDonald's?
Penso, rimembrando nuovamente gli insegnamenti dello scrittore ceco: come può un' immortale opera musicale rimanere tale?
E, soprattutto, CHI ha deciso cosa dovevo ascoltare in quel preciso momento del mio esistere?
Quando la musica diventa melodia "tappabuchi", le emozioni scompaiono e le note diventano rumori insopportabili e indesiderati.
Continuerò a non credere che la musica sia solo qualcosa che entra ed esce dalle mie orecchie.
La banalità intrinseca della musica contemporanea è il dazio che si paga per l'utilizzo di quest'ultima ai fini dell'orpello. Dell'ornamento.
Ore 11.
Sono sul letto. Ho sonno, ma non riesco a dormire. Chiudo gli occhi e tento di riposare.
Ore 13.30.
Riapro gli occhi. Più rincoglionito di prima, tento di alzarmi. Ho male alla testa e un generale senso di debolezza mi pervade.
Ore 15.30.
Mangio avidamente una pietanza a base di lenticchie e peperoncini. Faccio come per accendere la televisione, quando ricevo una chiamata al cellulare. Rispondo. Notizie di merda dall'altro capo di telefono. Notizie che non vorresti ricevere. Mai.
Bestemmio. Due imprecazioni dette con il cuore, con l'anima, senza pensarci sopra.
Stordito, percorro cinquantaquattro chilometri all'interno di un abitacolo arrovellato dai raggi solari.
Ore 16.30.
Facce amiche. E poi nel silenzio: lacrime rabbiose. Lacrime sommesse. Lacrime. Come tali, portatrici di dolore. Di impotenza.
Anch'io mi sento impotente.
Come sempre, ravviso la mia inefficenza.
Ore 1.08
Ascolto la musica in solitudine.
Ascolto qualche sussurro provenire dalle casse.
Non mi riesce di scrivere null'altro.
Attendo che la musica sveli la mia debolezza ed estraggo il cd.
A Paolo. E a coloro che gli vogliono e gli hanno voluto bene.