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guseppe verdi-seconda parte

Post n°103 pubblicato il 29 Gennaio 2010 da peonia99

 

Verdi

L. De Vigni
Giuseppe Verdi ai tempi del Nabucco (1842)
Litografia realizzata da un disegno di G. Turchi
Busseto – Casa Barezzi, Amici di Verdi

Quando Verdi arrivò a Milano, verso la fine del 1832, per l’esame d’ingresso al Conservatorio di musica, la città era la capitale del Regno Lombardo – Veneto che faceva parte dell’Impero Austro-ungarico. La commissione esaminatrice approvò il suo esame di composizione ma non quello di piano, per la posizione scorretta della mano. Verdi inoltre superava di quattro anni l’età richiesta per entrare al conservatorio e per tali ragioni non venne accettato.
Era improbabile che Verdi potesse continuare contando soltanto sulla borsa di studio del Monte di Pietà; perciò intervenne Barezzi che pagò di tasca propria la permanenza del giovane nella città e le lezioni curate da Vincenzo Lavinia, maestro di clavicembalo nel teatro della Scala. Sotto i suoi insegnamenti il giovane apprese la tecnica del contrappunto ed iniziò assiduamente ad essere presente nello scenario milanese, ai tempi in cui avevano molto successo le opere di Mercadante e Donizetti.
Con queste solide basi, Verdi inizia a fare i suoi primi passi all’interno della sua professione: nell’aprile del 1834 dirige La creazione di Haydn nel teatro dei Filodrammatici, con il coro formato da alcuni membri dell’aristocrazia milanese. Grazie a loro entra in contatto con i circoli culturali della città, che ruotano attorno ad alcune figure femminili di spicco come le contesse Giulia Samoyloff, Giuseppina Appiani e Clarina Maffei, con idee anticonformiste ed antiaustriache.
Nel 1833 muore l’organista Provesi ed iniziano i complotti per la sua successione che provocheranno furibondi risentimenti. A Verdi si oppone Giovanni Ferrari, maestro di cappella di Gustalla, che nel 1834 gli soffia il posto vacante. Ma il 28 febbraio 1836 Verdi si guadagna il ruolo di maestro di musica di Busseto: da questo momento ritorna al suo paese nativo, abbandonando momentaneamente i suoi sogni di gloria, e il quattro di maggio si sposa con la fedele Margherita Barezzi.

Gli affetti della vita familiare saranno presto turbati dalla morte prematura di Virginia, la primogenita della giovane coppia. Questi anni a Busseto, dal 1836 al 1838, rallentano il processo d’inserimento di Verdi nel mondo della musica milanese, senza però interromperlo. Infatti, l’editore Canti di Milano pubblica le sue “ Sei Romanze per canto e piano”, mentre con il Notturno a tre voci “Guarda che Luna bianca” ottiene gli elogi calorosi della Gazzetta privilegiata di Milano. Infine la promessa della messa in scena della sua prima opera, “Oberto conte di San Bonifacio" al teatro dei Filodrammatici dà a Verdi un forte impulso per un salto di qualità; a febbraio del 1839 rinuncia al ruolo di maestro di musica andandosene da Busseto per trasferirsi definitivamente con sua moglie e suo figlio Icilio a Milano. L’inizio non è facile: a causa dell’indisposizione del tenore, la rappresentazione di Oberto, con una prima compagnia di canto che includeva la celebre soprano Giuseppina Strepponi, viene annullata.
La Strepponi raccomanda la partitura di Verdi all’impresario del teatro della Scala, Bartolomeo Merelli, che decide di correre il rischio di far sì che il giovane compositore debutti nel teatro più importante della città.
Quando l’opera viene messa in scena, il 17 novembre 1839, ottiene un grande successo, che in parte allevia il dolore dei coniugi Verdi per la morte di Icilio, avvenuta pochi giorni prima del debutto. Dati i buoni risultati Merelli offre a Verdi un contratto per tre nuove opere. La prima tratta un tema comico e si basa su un vecchio libretto scritto da Felice Romani nel 1818, “Un giorno da Sovrano” o “Stanislao falso re di Polonia”. Durante la lavorazione di quest’opera si abbatte una nuova tragedia familiare: muore, il 18 giugno 1840, Margherita Verdi. La nuova opera, che viene messa in scena alla Scala il 5 settembre 1840, non piace al pubblico e viene definita “un fiasco”. Verdi, sommerso dalle difficoltà, decide di abbandonare tutto e sollecita Merelli ad annullare il contratto. L’impresario, che continua ad avere fede nelle capacità di Verdi, accetta senza recidere completamente i rapporti con il giovane compositore.

Solamente tre mesi dopo l’insuccesso di “Un giorno da sovrano”, Verdi si confronta con un nuovo libretto, il “Nabucco” di Temistocle Solera, che stimola la sua ispirazione. Lo stesso Verdi dirà che questo testo cambierà il suo destino: ”Era un libretto voluminoso, dai grandi caratteri, lo avvolgo e, dopo il saluto di Merelli, mi incammino verso casa[...]. Con un gesto quasi violento lancio il manoscritto sul tavolo e mi pongo, ben impettito, davanti ad esso. Nel cadere sul tavolo si aprì. Senza sapere come, il mio sguardo cade sopra una pagina e mi salta alla vista questo verso: ‘Va pensiero sull’ali dorate’. Leggo i versi seguenti che mi suscitano una grande impressione. Infatti erano come una parafrasi della Bibbia la cui lettura sempre mi deliziava. Ne leggo un pezzo, ne leggo due, mi fermo con il proposito di non scrivere nulla. Mi obbligo a chiudere il libretto e me ne vado a letto. Era inutile! Il "Nabucco" viaggiava per la mia testa! ...Il sonno non arrivava. Mi alzo e leggo il libretto, non una volta, non due ma tre volte; cosicché la mattina seguente già sapevo a memoria tutto il libretto di Solera”.
Alla fine del 1841 l’opera era finita e il 9 marzo del 1942 veniva messa in scena alla Scala, con Giuseppina Strepponi nel ruolo di Abigaille. Il successo fu tale che Verdi diventò l’autore preferito del pubblico e dei circoli aristocratici. Il giovane di provincia si trasforma, in questo modo, in uno dei protagonisti della vita mondana milanese. Tutti lo ammirano e la buona società se lo contende.

 
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