Creato da: piccola_sarta_cinese il 17/08/2005
la notte di luna non accendere la torcia, se l'accendi la luna si addolorerà.

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Post N° 137

Post n°137 pubblicato il 17 Gennaio 2006 da piccola_sarta_cinese

Per strada mi imbatto in questo ragazzo. Mi saluta, ricambio il saluto, dice che vuole parlarmi. Tesoro, oggi non si può, è mercoledì, dovresti saperlo che nei giorni lavorativi certe cose non sono permesse.
Lui dice che non è interessato a me dal quel punto di vista. Dice di essere un “reporter”, chiede di potermi fare qualche domanda e, magari, scattare qualche foto.
Vattene sei un gringo.
No, sono cileno ed ho il permesso di stare qui.
Sì? E chi te lo ha dato questo permesso?
Tieni, guarda. E mi porge un foglio sgualcito. Lo apro, leggo, è un permesso firmato dal comandante Ramìrez in persona. Beh, almeno so che non mente.
Sentiamo, dici che non vuoi scoparmi, allora che cosa vuoi di preciso da me?
Voglio conoscere la tua storia, sapere chi sei, da dove vieni, perché fai questo mestiere.
Perché anch’io devo mangiare. Comunque lasciami in pace, devo andare, abbiamo già parlato troppo.
Va bene, ma se ti viene voglia di parlare puoi trovarmi qua, in giro per il villaggio. Dormo da Rùben.
Non ha ancora finito di parlare che già me ne sono andata.
Pazzo di un cileno, che cosa vorrai mai sapere?
La mia è solo una storia di fame e miseria.
Arrivo all’ambulatorio del dottor Villalòn per la consueta visita del giovedì. Nella sala di attesa le solite facce. Mary, Luz, Teresa. Ci troviamo sempre qui il giovedì mattina e nell’attesa parliamo. Oggi però non ho voglia di parlare, le saluto e mi siedo in disparte. Ho ancora in testa le parole del cileno. Vuole conoscere la mia storia. Tesoro - così ho l’abitudine di chiamare gli uomini –  è una storia semplice. Sono nata ventotto anni fa in una capanna di contadini in riva al fiume Caguàn.
I miei genitori arrivarono qui negli anni sessanta, quando il governo spinse un certo numero di contadini senza terra a colonizzare questa regione. Tagliarono e bruciarono la foresta e cominciarono a coltivare mais, riso e yucca, ma i raccolti erano magri e le strade non permettevano di raggiungere i mercati abbastanza velocemente.  Nel frattempo gli altri agricoltori cominciarono a coltivare la coca; c’era grande richiesta ed i compratori erano in molti, soprattutto dopo la chiusura di numerose piantagioni in Perù e Bolivia. Era l’unica via di salvezza; così mio padre lasciò perdere mais e yucca e si dedicò alla coca. Non erano grandi guadagni, ma almeno ci consentivano di sopravvivere.
Poi una domenica mattina alcuni abitanti del villaggio riportarono a casa il corpo di mio padre. Gli avevano sparato due colpi in pieno petto. Non abbiamo mai saputo chi gli abbia sparato e perché. Prima che le FARC imponessero la loro legge, andare in paese significava rischiare la vita.
Non c’era nessun tipo di controllo, potevano scoppiare liti furibonde per qualsiasi motivo: una parola di troppo, un’occhiata storta, una scommessa persa. Come ogni sabato sera mio padre doveva aver bevuto troppa aguardiente e, come lui, anche l’uomo che gli ha sparato. Mia madre era ammalata ed io non sapevo certo coltivare la coca. Ecco come ho cominciato a fare questo lavoro.
Una volta i bordelli erano aperti 24 ore su 24, dal lunedì alla domenica. Adesso puoi lavorare solo nel fine settimana e devi sottoporti ad un controllo medico ogni giovedì. Se superi il controllo il dottore ti dà il permesso di lavorare, altrimenti niente lavoro, e niente soldi. Il tuo nome è comunicato ai comandanti dei villaggi che possono venire a controllarti. Se vieni beccata a lavorare senza il permesso ti fai due mesi di lavori nel bel mezzo della foresta, a costruire strade o ponti. Adesso entrerò in quella stanza, il dottore mi visiterà, mi guarderà tra le cosce, controllerà le mie mani, le mie unghie, i miei occhi. Prenderà il blocco della carta e firmerà un permesso in cui è scritto che sono sana e posso lavorare. Esame superato. Anche questo sabato verranno da me contadini stanchi e soli. Io lascerò che il profumo di papaia della mia pelle doni loro un’ora di sollievo, poi  mi saluteranno e andranno ad ubriacarsi in qualche bettola. Perché nel fine settimana è concesso anche questo.
Ecco la mia storia cileno, te l’avevo detto che era semplice
. 

 
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Commenti al Post:
alexisdg10
alexisdg10 il 17/01/06 alle 11:11 via WEB
Molto bello. Un vero piacere! Un abbraccio per te
(Rispondi)
 
 
piccola_sarta_cinese
piccola_sarta_cinese il 17/01/06 alle 11:18 via WEB
Grazie, sono senza parole.
(Rispondi)
 
esc11
esc11 il 17/01/06 alle 16:18 via WEB
bel racconto sartina, dico sul serio! bello davvero! kisssss
(Rispondi)
 
 
piccola_sarta_cinese
piccola_sarta_cinese il 17/01/06 alle 23:10 via WEB
Grazie eschino, grazie come sempre.
(Rispondi)
 
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