stefy feet

Un'altra responsabile...


Il racconto di ieri ha ispirato un amico che mi manda una foto perfettamente calzante ed il relativo racconto. Nella foto, una “responsabile”, che tra i possibili svolgimenti del tema sceglie quella della donna per tutte le occasioni, tipa che quando si trova davanti il ragazzo dei traslochi, un po’ robusto, sudaticcio e coi capelli raccolti a coda, chinato a impacchettare scatolini di fronte alla sua scrivania, finge di grattarsi la caviglia finchè la scarpa non le cade ed allora continua accarezzandosi con la pianta del piede. Finge ancora di stare attenta al pc, ma poi dalla caviglia passa al tallone e quindi si sfila a metà anche l’altra scarpa, in modo che l’alluce possa piegarsi e schiacciarsi sfregando la zona malleolare. E poi se ne esce con un “diavolo quanto fanno male queste scarpe strette” e aspetta una sua reazione, sperando che venga confermato il mito dello stallone nazionale che viene dalle classi lavorative fisicamente più impegnate. E così è, lui s’inchina, sfila la scarpa rimasta accorgendosi che non è per niente stretta, apprezza la freschezza del piede nudo e carezza con mani grossolane le estremità leggermente umide per il caldo. Inizia a baciare ma si ritrae sdegnosa i piedi, appoggiandoli sulle punte fino a far diventar bianchi gli alluci; quando lui la guarda interrogativo, con mossa da ballerina allunga le gambe sopra la scrivania dicendo “voglio vederti in faccia”, alzati e cerca di lenire i miei dolori. Lui, probabilmente incerto feticista ma provetto maschio, fa del suo meglio, cerca di riprodurre immagini viste da ragazzo, ci prova; e pian piano apprezza la morbidezza delle piante, rischia spesso il solletico e con labbra che scorrono lungo piante, dorsi e fianchi, tenta morsetti ai talloni, insinua la lingua tra le dita. Ancora incerto, capisce di andar bene dalle flessioni delle dita stesse che si contraggono istericamente accompagnate da mugolii sommessi della “responsabile”, quindi insiste accogliendo in un’unica voluttuosa boccata entrambi gli alluci, serrando le labbra e succhiandoli talemente forte da temere di strapparne le unghie. Poi, accorgendosi di un’irreale curvatura arricciata delle dita stesse, molla la presa temendo di aver fatto danni, ma lo spalancarsi delle gambe e l’appoggiarsi dei talloni alla scrivania accompagnati dall’urlo “vieni!” lo guidano verso sicura prospettiva…