PINO CARIGLIA

TRA GLI ARRESTATI SOLO QUALCHE CENNO DI INSOFFERENZA

POTENZA - È proprietario di un «impero» industriale. Un re del «made in Basilicata». E forse proprio per questo gli avrebbero trovato posto nella stessa cella in cui, il 16 giugno del 2006, ha trascorso quindici giorni Vittorio Emanuele di Savoia. Da un re all’altro, insomma. Ma Franco Ferrara, imprenditore policorese, fulcro del «Totalgate », l’indagine del pm Henry John Woodcock su un presunto comitato d’affari accusato di aver pilotato gli appalti pubblici della Total in Basilicata, a differenza dell’erede di casa Savoia - che in cella si è lasciato andare a giudizi da bollino rosso nei confronti della Sardegna e delle donne - ha continuato a restare in silenzio. Non si è confidato con nessuno, se non con il suo avvocato. Resta tutto il giorno in silenzio, così come aveva fatto, avvalendosi della facoltà di non rispondere, davanti al gip Rocco Pavese nell’interrogatorio di garanzia. Ferrara - secondo indiscrezioni - si sarebbe «sciolto» soltanto parlando di sua moglie Marcella Camossi, anche lei iscritta nel registro degli indagati con l’accusa di essere la «tesoriera» di fondi che il marito destinava alle tangenti: «Vogliono distruggere la mia famiglia, ma non ci riusciranno», avrebbe gridato sbattendo i pugni contro la porta della cella. Il suo avvocato difensore fa sapere che chiederà l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, "poiché l’accusa è un teorema non sostenuto dal necessario quadro probatorio imprescindibile per ordinare una simile misura cautelare». Nella casa circondariale del capoluogo lucano restano in cella anche il sindaco di Gorgoglione Ignazio Tornetta e l'amministratore delegato della Total Lionel Levha. Mentre ai domiciliari in attesa del riesame, il consigliere provinciale Nicola Montesano. Comunque, nessuno dei sette arrestati nell’ambito dell’inchiesta, si sarebbe lasciato andare a scene di insofferenza.