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DA PITAGORA A GODEL

Post n°16 pubblicato il 07 Novembre 2010 da handicapemental

matematica e conoscenza:
brevi cenni su un percorso di ricerca delle verità ultime

dal web

Pochissimo sappiamo di Pitagora e delle sue dottrine. Vissuto nel VI secolo a.c., si sa per certo che fondò a Crotone una comunità filosofica religiosa. Non abbiamo neppure un frammento di suoi scritti, pochissimi di suoi allievi o contemporanei. La quasi totalità dei testi che lo riguardano sono assai posteriori, riferibili a Platone ed Aristotele, quando non addirittura ai neopitagorici (I sec. a.c.- II sec. d.c.).

Difficile quindi farsi un’idea attendibile del suo sistema di pensiero: possiamo tuttavia ritenere con ragionevole approssimazione che egli fondasse una comunità iniziatica, di tipo aristocratico e assolutista, il “Sodalizio”, che instaurò un predominio politico teocratico, e provocò così una reazione che portò alla sua distruzione.
Alla base della cosmogonia pitagorica è la famosa affermazione “tutto è numero”.

La proposizione suona assurda ad orecchie moderne. Per comprenderne la portata è necessario immergerci nell’Ellade del VI sec. a.c. e nei suoi problemi. Uno di questi problemi, forse il principale, era : “che cosa è il mondo?”
Per rispondere a questa domanda, non più soddisfatta dalle cosmologie mitologiche sullo stile di Esiodo, si levò, uno dopo l’altro, una incredibile serie di ingegni.
Il primo fu Talete, che immaginò il mondo galleggiante sull’acqua, e l’acqua stessa come origine di tutte le cose.
Ma l’argomento non convinceva. Se l’oceano regge la terra, su cosa si regge l’oceano, si chiese il suo discepolo Anassimandro? La terra non si regge su nulla, propose, è semplicemente sospesa in equilibrio perfetto nell’απειρον, una entità infinita e indefinita, trascendente, da cui tutto ha origine.
Lo contestò Anassimene, suo allievo, secondo cui la terra si reggeva sull’aria (come un frisbee). Per lui, l’απειρον era troppo astratto non solo per reggere la terra, ma anche per spiegarla: era l’aria stessa - soffio vitale, spirito, πνευμα - a dare origine a tutte le cose, compresi gli dei.
E lo contraddisse anche un altro suo allievo, Pitagora, appunto. Da Anassimandro mediò l’idea di un principio astratto e metadivino (una specie di απειρον ) come origine del tutto: il numero. Ma spiegò anche che il mondo è composto di monadi. La monade (il numero ”1”) è indivisibile, è il punto dotato di esistenza fisica, è generatore di ogni grandezza (la serie infinita dei numeri, ma anche di tutte le cose che non sono
altro che punti aggregati in diverse strutture e quantità).
La τετρακτις simbolo iniziatico dei pitagorici,

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figura perfetta, sempre misurabile, uguale da qualunque lato la si guardi, è la somma dei primi quattro numeri, cioè dei quattro elementi, che diversamente combinati insieme costituiscono l’universo (la cui base è il numero 10 = 1 + 2 + 3 + 4).
La visione di Pitagora fu scavalcata per arditezza dal grande Eraclito, secondo cui tutto è fuoco, tutto è divenire, le cose sono un processo infinito, il famoso παντα ρει.

Contro Eraclito e i suoi predecessori si scagliò Parmenide: egli sostenne che ciò che è, è ; ciò che non è, non può essere ; quindi il nulla non esiste ; quindi il mondo è pieno ; quindi il movimento non esiste (è una illusione).
Lo scandalo sollevato da Parmenide fu rimediato da Democrito (V sec. a.c.), il creatore dell’atomismo, che potè affermare che esiste tanto il pieno (gli atomi) quanto il vuoto (lo spazio tra gli stessi) : e il movimento è dato dalle diverse combinazioni spaziali degli atomi.

Chiudiamo questo breve excursus e torniamo a Pitagora. E’ facile constatare quanto l’atomismo debba alla monade pitagorica; tramite l’atomismo, il pitagorismo è giunto fino a noi, dominando almeno fino all’800 la fisica.
Ma l’essenza del pitagorismo, l’identificazione della sostanza del mondo con l’aritmetica (ordine perfetto e misurabile), era destinato a crollare in tempi brevi, e proprio per mano dei pitagorici.
Infatti, la scuola si andava sviluppando su due binari paralleli: da un lato un rigido dogmatismo, basato sulla perfezione del sistema e sull’autorità del fondatore (pare che l’ipse dixit sia stato inventato dai pitagorici); dall’altro una intensa attività di ricerca e di studio volta a completare e scoprire la meravigliosa architettura matematica dell’universo. Fu così Filolao, il più illustre dei pitagorici della seconda generazione, a dimostrare, scoprendo i numeri irrazionali, che il numero 1 (la monade) non era indivisibile, né poteva essere considerato la misura e la base di tutte le cose. Il crollo del dogma fondamentale travolse il pitagorismo (e va ascritto a suo grande merito di essere stato in grado di produrre e riconoscere esso stesso la sua critica fondamentale). (Secondo un’altra tradizione, fu invece Ippaso, vivente Pitagora, a fare la scoperta. Fu messo a morte dal Maestro, incapace di accettare la nuova verità e il conseguente crollo della sua dottrina).


Perdendo il pitagorismo, tuttavia, il mondo perdeva la sua ultima grande cosmogonia, dato che l’atomismo era già più una teoria scientifica che una completa spiegazione dell’universo. Ci sarebbero voluti oltre 200 anni, un salto dal VI al IV sec., per ritentare un’impresa così grandiosa, un tentativo di spiegazione assoluta. La propose Euclide, partendo proprio da dove avevano fallito i pitagorici, dai numeri irrazionali, ovvero dal problema della diagonale del quadrato.
Noi conosciamo Euclide come l’autore degli Elementi, il primo e più longevo manuale di geometria al mondo. Fino all’ottocento fu anche il secondo libro per tiratura e diffusione, dopo la Bibbia. Ma gli Elementi erano ben altro che un manuale: stabilendo pochi principi (“di per sé evidenti”, gli assiomi), permettevano di dedurre da questi, in modo del tutto logico, un disegno dell’universo in cui tutto era conoscibile e decidibile, in cui tutto obbediva a leggi determinate. Il grande progetto pitagorico di dare all’universo un principio perfetto (e quindi divino) era riproposto, sostituendo all’aritmetica la geometria. Il suo successo fu tale che quasi 2000 anni più tardi Galileo diceva che Dio parla col linguaggio della geometria.
Euclide aveva creato una vera e propria cosmogonia, che aveva in comune con l’altro grande best seller, la Bibbia, non solo una spiegazione assoluta dell’universo, ma anche una base dogmatica.
Cosa altro erano, infatti, se non dogmi, gli assiomi ?

Nell’ottocento, la scienza occidentale, erede dell’atomismo e della teoria assiomatica euclidea, aveva ormai una così alta opinione di sé che riteneva possibile conoscere e spiegare tutto.
Ma, come il VI sec. a.c. aveva fornito le idee su cui si era costruito un mondo, il XX sec. d.c., quasi all’improvviso, stava sfornando le idee che rimettevano tutto in gioco.

Il dubbio in realtà partiva da lontano. Già Platone e Aristotele avevano ben chiara la debolezza di una teoria basata sugli assiomi, che non essendo dimostrati lasciavano aperta la strada a visioni alternative. Perciò molti matematici avevano tentato di dare una dimostrazione della verità degli assiomi, o almeno della falsità delle geometrie non euclidee. In quest’opera si erano impegnati soprattutto pensatori di formazione
dogmatica, come il famoso gesuita settecentesco Saccheri.
La loro visione della realtà mal si conciliava con la possibilità che potessero esistere non una, ma due o più verità: non solo perché ciò contrastava con la loro Verità Unica (fossero dogmatici religiosi o ateo-positivisti); ma soprattutto perché, se le geometrie non euclidee non potevano definirsi false, si sarebbe avuta la libertà di scegliere (o addirittura di non scegliere) la propria strada.

Ma tutti i tentativi in tal senso erano stati inutili; al contrario Bolyai, Gauss e Lobatschevskij, nella prima metà del XIX sec., e indipendentemente l’uno dall’altro, dimostrarono che una matematica non fondata sul quinto postulato di Euclide era perfettamente coerente. Non era migliore o peggiore, era semplicemente diversa, e a quanto pareva altrettanto valida.

Così si andava delineando la rivoluzione del XX sec. d.c.: lo sviluppo della geometria non euclidea; la nuova visione dell’uomo di Freud; la relatività ristretta e generale di Einstein; la meccanica quantistica; quindi il principio di indeterminazione di Heisenberg; infine
i due teoremi di indecidibilità di Godel.
Nel 1931 Godel dimostrava matematicamente che esistono dei teoremi che non possono essere dimostrati, cioè dei problemi a cui non può essere data risposta certa (1° teorema); peggio ancora, dimostrava che la base della nostra conoscenza matematica, la teoria assiomatica, è indimostrabile: cioè può essere vera o falsa, ma noi non siamo in grado di saperlo, di deciderlo (2° teorema):

“non esiste un procedimento costruttivo
che dimostri la coerenza della teoria assiomatica”

Così crollava la grande speranza, di Pitagora prima, di Euclide poi, di trovare una base solida e sicura alla nostra conoscenza, fosse l’aritmetica o la geometria, una certezza sulla strada della ricerca della verità.
Il secondo teorema di Godel riecheggia quattro versi, che furono scritti 2500 anni fa da Senofane, forse il più grande tra tutti i grandi del VI sec. a.c.:


“nessuno conosce o mai conoscerà la verità
circa gli dei o ogni cosa di cui parlo; infatti perfino se a uno
capitasse di dire la verità completa, tuttavia non lo saprebbe;
l’apparenza è impressa su tutte le cose”





 
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