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a sud di nessun nord 1

Post n°14 pubblicato il 29 Maggio 2010 da handicapemental

Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello chei nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni. E cancellaronoper sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marinesin Iraq. Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà distupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflittoetnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria,nell’invasione, da Sud, per redimere l’Italia dal fascismo (ogni voltache viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa). Ignoravo che,in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure dirittodi saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma. Eche praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi inAlgeria, Pinochet in Cile. Non sapevo che in Parlamento, a Torino, undeputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi alSud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila». Un altro preferìtacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe inorridire». E Garibaldiparlò di «cose da cloaca».

                Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo esenza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantánamo. Lìqualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noicentinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E,se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, dibriganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado diparentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a normadilegge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.


              Iocredevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldatiborbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paeseinvaso. Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello delKosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavanosulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio inEuropa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvimorire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (nonsi sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovieticadi Stalin.
                  Ignoravo che il ministero degli Esteridell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia,Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali eannientarli lontano da occhi indiscreti.
                   Nésapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricchebanche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino leposate),per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoniprivati.
E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.
                Nonsapevo che, a Italia così unificata,imposero una tassa aggiuntiva aimeridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud,fatta senza nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione delRegno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta daInghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria(detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).
Nésapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momentodell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo,dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso). E non c’era la“burocrazia borbonica”, intesa quale caotica e inefficiente: lospecialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine,riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, inuna relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modelloche presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quellofranco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unitàin avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche ecorporative»(Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).
Ignoravoche lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperatimeridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gliarmatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali cheandavano a “far la stagione”, per qualche mese in Svizzera.
Nonpotevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chistentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera,rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como.
Avevo giàesperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al Nord, ma non che, allesoglie del 2000, col resto d’Italia percorso da treni ad alta velocità,il Mezzogiorno avesse quasi mille chilometri di ferrovia in meno cheprima della Seconda guerra mondiale (7.958 contro 8.871),quasi sempreancora a binario unico e con gran parte della rete non elettrificata.
Comepotevo immaginare che stessimo così male,nell’inferno dei Borbone, cheper obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi civollero orribili rappresaglie, stragi, una dozzina di anni dicombattimenti, leggi speciali, stati d’assedio, lager? E che, quandoriuscirono a farci smettere di preferire la morte al loro paradiso,scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)?

          Ignoravo che avrei dovuto studiare il francese, per apprendere diessere italiano: «Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait» annunciòCavour al Senato.«Le Roi notre auguste Souverain prend pour lui-même etpour ses successeurs le titre de Roi d’Italie.»
Credevo al GiosueCarducci delle Letture del Risorgimento italiano: «Né mai unità dinazione fu fatta per aspirazione di più grandi e pure intelligenze, nécon sacrifici di più nobili e sante anime, né con maggior liberoconsentimento di tutte le parti sane del popolo». Affermazioneriportata in apertura del libro (Il Risorgimento italiano) distribuitogratuitamente dai Centri di Lettura e Informazione a cura del ministerodella Pubblica Istruzione Direzione Generale per l’Educazione Popolare,dal 1964. Il curatore, Alberto M. Ghisalberti, avverte che, «a unsecolo di distanza (...), la revisione critica operata dagli storicipossa suggerire interpretazioni diversamente meditate (...) della piùcomplessa realtà del “libero consentimento” al quale si riferisce ilpoeta». Chi sa, capisce; chi non sa, continua a non capire.

          Scoprirò poi che Carducci, privatamente, scriveva: «A Lei pare unabella cosa questa Italia?»; tanto che, per lui, evitare di parlarne«può anche essere opera di carità». (Storia d’Italia, Einaudi).

            Io avevo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda di Garibaldi.
Nonsapevo nemmeno di essere meridionale, nel senso che non avevo maiattribuito alcun valore, positivo o negativo, al fatto di essere natopiù a Sud o più a Nord di un altro.
Mi ritenevo solo fortunato a essere nato italiano. E fra gl’italiani più fortunati, perché vivevo sul mare.
Amano a mano che scoprivo queste cose, ne parlavo. Io stupito; gliascoltatori increduli. Poi, io furioso; gli ascoltatori seccati:esagerazioni,invenzioni e, se vere, cose vecchie.
E mi accorsi chediventavo meridionale, perché, stupidamente, maturavo orgoglio per lageografia di cui, altrettanto stupidamente, Bossi e complici volevanoche mi vergognassi.
Loro che usano “italiano” come un insulto eabitano la parte della penisola che fu denominata “Italia”, quando Romariorganizzò l’impero (quella meridionale venne chiamata “Apulia”, dalnome della mia regione. Ma la prima “Italia”della storia fu un pezzo diCalabria sul Tirreno).
Si è scritto tanto sul Sud, ma non sembra siaservito a molto, perché «ogni battaglia contro pregiudiziuniversalmente condivisi è una battaglia persa» dice Nicholas Humphrey(Una storia della mente). «Perché non riprendi una delle tantepubblicazioni meridionaliste di venti, trent’anni fa, e la ristampitale e quale? Chi si accorgerebbe che del tempo è passato,inutilmente?» suggeriva ottant’anni fa a Piero Gobetti, Tommaso Fioreche poi, per fortuna, scrisse Un popolo di formiche. E oggi, uneconomista indomito, Gianfranco Viesti (Abolire il Mezzogiorno),allarga le braccia: «Parlare di Mezzogiorno significa parlare del giàdetto, e del già fallito».Perché tale stato di cose è utile alla partepiù forte del paese, anche se si presenta con due nomi diversi:“Questione meridionale”, ovvero dell’aspirazione del Sud a uscire dallasubalternità impostagli; e “Questione settentrionale”, di recenteconio, ovvero della volontà del Nord di mantenere la subalternità delSud e il redditizio vantaggio di potere conquistato con le armi e unalegislazione squilibrata. Dopo centocinquant’anni, questo sistemarischia di spezzare il paese. Si sa; e si finge di non saperlo, perchétroppi sono gl’interessi che se ne nutrono. Così, accade che la veritàvenga scritta, ma non sia letta; e se letta, non creduta; e se creduta,non presa in considerazione; e se presa inconsiderazione, non tanto dacambiare i comportamenti, da indurre adagire “di conseguenza”.

            I meridionali si lamentano sempre e i carcerati si dicono tuttiinnocenti. Il paragone non è casuale; nel bel libro Sull’identitàmeridionale, Mario Alcaro scrive: «Si può dire che è la difesa di unimputato, di un cittadino del Sud che cerca una risposta alle tantecritiche e accuse che gli son piovute addosso». Il pregiudizio (pre,“prima”) è una condanna senza processo. Sospetto che la sua persistenzaeviti, a chi lo nutre, un’ammissione di colpa. «L’uomo è un animalemosso in modo determinante dalla colpa» rammenta Luigi Zoja in Storiadell’arroganza. «Un sentimento di colpa può essere spostato, noncancellato.» E il Nord aggressore incolpa l’aggredito delle conseguenzedell’aggressione: rimosso il rimorso, se mai c’è stato.

          Noi meridionali conosciamo bene tutto questo: non ci indigna nemmenopiù; ci stanca: «Senti che la gente ti capisce male, che devi parlarepiù forte, gridare» spiegava Cˇechov. «E le grida sono ripugnanti.Parli a voce sempre più bassa, forse tra poco tacerai del tutto.» Frale urla dell’altro, ormai privo del freno della vergogna che lo rendevacivile.
Oggi, nuovi fermenti animano una ricerca di verità storica,non solo meridionale, che viene dal basso, più che dalle auleuniversitarie o dalla politica, dalle istituzioni. Non è facile capiredove questo possa portare; se a un revanscismo uguale e opposto alrazzismo nordista di Lega e collaterali, o a una comune crescita diconsapevolezza e conoscenza: un nuovo meridionalismo non solomeridionale (e sarebbe un ritorno alle origini, perché nacque nordico,specie lombardo), per ridare un’anima decente a un’Italia che l’hasmarrita, nel fallimento della politica e la sua riduzione a furiapredatoria di egoismi personali e territoriali. Temo, per il pessimismodella ragione e perché i segni vanno in quella direzione, che il peggioprevalga, proprio “per” e non “nonostante” i suoi difetti (è la leggedi Greg e Galton, che ricordo in Elogio dell’imbecille). Ma, perl’ottimismo della volontà, spero nel contrario (nemmeno il peggio duraper sempre; e anche i peggiori muoiono).

             Il Nord, visto da Sud, è Caino: da lì vennero quelli che, dicendosifratelli, compirono al Sud, a scopo di rapina, il massacro piùimponente mai subito da queste regioni (e sì che di barbari ne sonopassati). I musei del Risorgimento, nota Mario Isnenghi, nella suaBreve storia dell’Italia unita a uso dei perplessi, sono quasi tutti alCentro o al Nord. Il Nord è dove ho lavorato anni e ho amici, ed è casamia; come il Sud, dove sono nato; o il Centro, dove abito. Gl’italianivanno al Nord in cerca di soldi; al Sud in cerca dell’anima.
            All’esterosmettono di essere meridionali o settentrionali e diventano soloitaliani (indistintamente, nel pregiudizio altrui, geni e farabutti).

            Il Sud, visto da Nord, è L’inferno, titolo del libro di Giorgio Boccache nel 2008 ha scritto sul «Venerdì» di «Repubblica», non so quantoprovocatoriamente: «Sì, è vero, sono un antimeridionale... Passo perrazzista, e forse lo sono». Nessuno vi trovò da ridire: è o no il Sud,nella geografia, anche morale, il luogo del male? Del male senzapossibilità di redenzione: ché questo è l’inferno, congrua immagine del«paradiso abitato da diavoli», secondo l’Alexandre Dumas che accompagnòGaribaldi (e a che prezzo!) alla conquista e al saccheggio. Caino, alcontrario, è un’espressione più saggia e attenta alla verità, perchéCaino non è perso per sempre, a differenza di chi precipitaall’inferno: gli viene offerta una possibilità di riscatto, in un’altraterra. Anche se non la coglie. Né pare vogliano farlo, oggi, tanti cheancora godono del vantaggio ereditato da chi venne a sterminarci.Quando scrivo “i ettentrionali”, “i piemontesi”, non intendogeneralizzare (come avviene quando si parla di “meridionali”).

             Alcuni dei più grandi meridionalisti erano del Nord; e gli ascari chein Parlamento votano (dal 1861) contro l’equità per le regioni che lihanno eletti, sono meridionali. Il Sud è stato privato delle sueistituzioni; fu privato delle sue industrie, della sua ricchezza, dellacapacità di reagire; della sua gente (con una emigrazione indotta oforzata senza pari in Europa); infine, con un’operazione di lobotomiaculturale, fu privato della consapevolezza di sé, della memoria.

continua............

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