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FRANCESCA GORI/VUOTO D'IMMAGINI
Vuoto d'immagini
Appoggiata al davanzale fumo l'ultima sigaretta della giornata
Giornata d'ufficio, stanchezza
piatti da preparare, figlia da aspettare, giochi pronti
la fresca aria di fine settembre a riavvolgere il tempo fiacco
una sera come tante cerco di pensare
c'è solo un melone
sulla tavola apparecchiata
ed è senza sapore
forse un errore di valutazione
E poi la guerra di Napoleone
la Russia a fare da sfondo alle serate pigre
una storia di famiglie, un romanzo necessario
a lacerarmi il petto
Con la certezza di chiudermi qua dentro
di scivolare nella settimana come una larva o come un cane
da corsa, a rincorrere le ore che fanno di me un esemplare
una perfetta donna da sposare
Ore battute in cerca di un errore
di una feritoia stretta, da infilarla a forza, la mia ombra allungata
e io, di sbieco, dietro un angolo
nascosta
Ecco, Francesca Gori è una giovane donna assai indaffarata. Lo si percepisce bene dai suoi versi narranti una quotidianità pregna di operazioni speciali quanto usuali (lavoro, famiglia, bambina). Eppure, ciò che colpisce in questi versi - al netto dalle scelte strettamente tecniche, qua e là opinabili, mai però capaci di rubare la scena all'intensità emozionale che ammanta ogni verso - è la forma di inquieta mansuetudine ad un destino che pare scritto. Non è così, verrebbe subito da pensare: un'anima che si percepisce in quei termini non potrà mai essere definitivamente senza scampo. Questo è il nucleo potente che lascia tracce nei pensieri del lettore, il grado di consapevole sacrificio cui sa sottoporsi l'esemplare di perfetta donna da sposare. L'ironia celata, nascosta lascia subitamente il campo all'odio profondo che lascia intendere il grottesco del ruolo, a volte il disprezzo del rispetto quieto del ruolo. Madame Bovary dei nostri giorni, allo stessa stregua perduta - rivitalizzata - dal romanzo della serata, onde ripristinare i fili emozionali, solo in parte attutiti dagli affanni quotidiani, la protagonista si dibatte nel perenne cortocircuito emozionale tra la docile discesa a patti con la realtà e la eroica, sublime figura della perseveranza inquieta della propria esistenza nei prolungamenti delle vite altrui. Chissà se Manzoni e Flaubert avrebbero trovato un punto d'approdo. Il vuoto d'immagini preconizzato dalla poesia è, mettiamola così, un vuoto abitato dalla continua ricerca di una via di mediazione tra gli "errori di valutazione" e gli scomodi panni settimanali di una "larva" che stenta a sbocciare nel corrispondere al proprio statuto esistenziale. Più che un vuoto, dunque, una eterna rimessa in discussione, un "nascondersi" per non progettare eccessive fughe in avanti. Almeno all'apparenza, almeno alla superficie. In fondo, alla vita, sovente, bastano le contraddizioni dei consessi della propria mente. Se tutto pare ordinariamente calmo e prestabilito all'esterno, le emozioni ribollono nel fondo cieco, stipano all'inverosimile il "vuoto".
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Inviato da: tecaldi
il 27/01/2016 alle 14:32
Inviato da: hatterinavampira
il 05/12/2014 alle 00:08
Inviato da: Pallavicini74
il 01/12/2014 alle 18:18
Inviato da: hatterinavampira
il 30/11/2014 alle 23:57
Inviato da: Pallavicini74
il 30/11/2014 alle 23:15