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LE FORME DELLA BREVITà

Post n°62 pubblicato il 30 Ottobre 2014 da Pallavicini74
 
Foto di Pallavicini74

Le forme della brevità è il titolo di un testo presentato ieri in aula Pascoli, dipartimento di Italianistica dell'Università di Bologna. Edito da Franco Angeli, trattasi della miscellanea di pensieri e riflessioni arguite dai partecipanti a un seminario sulle forme brevi tenutosi al dipartimento d'Italianistica dell'Università di Pecs. A illustrare l'opera, oltre agli ospiti di casa (il prof. Anselmi, direttore del dipartimento bolognese, e il prof Bertoni), il prof. Tassoni, direttore del dipartimento ungherese, e la curatrice del volume, la prof.ssa Curcio. Dato al preambolo ciò che è del preambolo ( e senza riepilogare quanto è stato detto ieri, dagli illuminanti riferimenti del prof. Bertoni e della prof.ssa Lorenzini, seduta tra gli astanti), prendo l'abbrivio e difendo una posizione minoritaria. Dire di forme brevi sottintende dire dei generi letterari. C'è un canone e ci sono le ripetute infrazioni al canone. Pensare i generi come una generale tripartizione degli ambiti letterari è stato un tutt'uno con la distinzione riservata allo stile congruo alla materia da trattare. Detto altrimenti: il genere ha cooptato lo stile entro uno spazio fisico ben predefinito, salvo adeguarsi ai successi come agli insuccessi dei diversi generi nell'evoluzione temporale del gusto. Oggi diamo per pacifica la diversità tra poesia, romanzo e teatro; in realtà trattasi di una insufficienza nell'abnegazione ai testi. Tornando alle forme brevi: si è voluto porre l'accento sulla spazialità della forma breve - e dunque più poesia che romanzo, al più, racconto - senza andare veramente al fondo della brevita. Di più: si è fatta intendere (da parte della curatrice del volume) una certa consonanza tra la brevità e le volute del web, confondendo così brevità - costretta ad amoreggiare con una presunta "profondità", in alternativa alla leggerezza: bestemmia - con la rapidità e la profondità con l'intensità (come adeguatamente fatto notare dalla prof.ssa Lorenzini). Qualcuno si starà certamente perdendo in questo coacervo. Vediamo di trasformare la perdita in guadagno: se si pensa alle forme brevi come un sottogenere letterario, ponendo la specola sull'aspetto quantitativo e fisico-spaziale, non se ne esce: la forma breve apparirà al più una nicchia, magari di livello, pur sempre una nicchia. Non è questa la strada che voglio percorrere. La brevità non può ridursi a un concetto spaziale, quantitativo. La brevità è parte, momento di uno stile (e lo stile è - a mio avviso - prima di tutto, prima dello stesso genere letterario: ognuno scrive quello che è, a prescindere dal destinatario e dal mezzo espressivo). Non serve andarsi a riprendere l'Eco di Sei passeggiate nei boschi narrativi per acclimatarsi all'idea che barocchismi, ridondanze e brevità varie (aforismi, sentenze, apoftegmi) possono - devono - coesistere nello stesso capolavoro. Una reticenza nello spiegare, un levare nel dire, ecco in cosa consiste la forma della brevità: è una tensione ritmica, a volte da giocare, alternandola, con il protrarsi ridondante del discorso. Veni, vidi, vici è un altro modo per raccontare un trionfo e i suoi preparativi. La cucina dello scrittore si alimenta della capacità di alternare, ritmare attraverso i diversi momenti della retorica. Non una filiazione dal genere, dunque; una variazione stilistica, piuttosto. Non la musica (o il genere letterario), bensì lo stile avanti tutte le cose.

 
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