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« SE TRE MILIONI...BATISTI/MALAPARTE »

BATISTI/ RIPELLINO

Post n°84 pubblicato il 25 Febbraio 2015 da Pallavicini74
 
Foto di Pallavicini74

Ecco un altro squisito intervento di Batisti. Questa volta tocca subire una doppia delusione, e per Ripellino, e per Montale. Non si può però non prestare ascolto alle acuminate volute tratteggiate dal pensiero di un critico così accorto. (Perdonandogli, peraltro, la non accortezza rispetto alla visione del mondo tragironica di Ripellino e dell'ultimo Montale). Prestiamo orecchio.

 

So bene che per l'autore di questo blog, Angelo Maria Ripellino meriterebbe d'entrare in un canone ideale del '900 italiano; anche se condivido la predilezione per l'opera in versi dello slavista siciliano, io sarei su questo punto abbastanza più cauto. Bisogna poi sempre intendersi su che significa 'canone': sono pienamente d'accordo che un'opera come quella di Ripellino dovrebbe godere di maggior considerazione sulle antologie e, soprattutto, d'esser sempre più letta. Tuttavia, per dare un po' fastidio al padrone di casa, cercherò – nel celebrare questo autore, che io stesso amo da tempo – di spiegare perché non giungerei a metterlo sullo stesso piano dei cosiddetti maggiori.

 

C'è un gusto tutto peculiare nel rileggere i maggiori fra i (presunti) minori di un'epoca; fra i poeti, insomma, che un po' per scelta, un po' per limiti fisiologici, un po' per sfortunati incroci fra traiettorie biografiche e storia letteraria, non spiccano fra i nomi capitali dei loro tempi pur avendo prodotto opere di pregio. Così, tra i francesi del secondo '800 ho sempre amato d'un amore particolare Jules Laforgue, che senza avere la statura epocale di Baudelaire, di Mallarmé o di Rimbaud seppe essere anticipatore d'un gusto straordinariamente moderno (anzi, postmoderno per molti versi), innovatore metrico, maestro d'ironia, funambolo del verbo, cesellatore di poesie e apologhi che ne fanno un Leopardi in miniatura, cioè poeta a modo suo filosoficissimo, decadente e malincomico.

 

Tuttavia, si farebbe un torto ai minori (categoria puramente tassonomica, sarà ormai chiaro, per nulla assiologica) se si tentasse, per furor di ripescaggio, di far di loro dei maggiori. Come appunto Laforgue, geniale e godibile, non era tuttavia un Leopardi (che imitò, un po' fiaccamente, in certi suoi versi) né un Baudelaire (a cui dedicò acute pagine critiche), così il Ripellino poeta (un poeta, incidentalmente, vicino a Laforgue per tanti tratti) certo avrebbe meritato di riscuotere maggior successo di quello, magro, che in vita gli arrise; ma non avrebbe potuto reggere – siamo sinceri – la parte d'un Montale (cioè d'un poeta, nel bene e nel male, centrale nella cultura del suo secolo) neanche volendolo. Ma, probabilmente, non l'avrebbe voluto. Estraneo com'era alle mode culturali del suo tempo (e già questo è tendenzialmente un merito), fu un minore soprattutto per ragioni contingenti, per colpe non sue; oggi sta conoscendo una tardiva e meritatissima riscoperta.

 

(D'altronde, quando parlo della centralità di Montale penso a quello, grandissimo, delle prime raccolte; il 'secondo' Montale è per me – e anche qui so d'incorrere nel totale disaccordo del titolare di queste pagine – un minore-minore, anche paragonato ai 'grandi' minori di cui ho testé tratteggiato il tipo).

 

Ripellino, dicevamo… Abbiamo dunque imparato ad amare il suo estro giocoso spesso tinto di malinconia, la sua esuberanza soavemente barocca, e in particolare l'amore quasi carnale per la parola, che gli gli fa accumulare castelli di glosse preziose (scavando negli angoli più riposti del lessico letterario), di esotici forestierismi (attingendo alla sua cultura cosmopolita), di nomi evocatori (ricorrendo senza troppe riserve al potere evocativo del name-dropping). D'altronde in Ripellino non c'è, direi, un'estetica della parola disincarnata, ridotta a cabalistica combinazione di lettere, a simbolistico puro suono, a strutturalistica rete di relazioni e d'opposizioni; per questo grande sinesteta, la parola si trascina dietro non un astratto sistema di rimandi, ma i profumi e le suggestioni del suo concreto referente. Il lussureggiante lessico di Ripellino riversa generosamente, sulla bianca e stretta pagina, lunghe collane di mondi. Egli non c'imbandisce un gioco algido e cerebrale, bensì un festoso e sensuale banchetto.

 

Ed ecco che anche l'uso dell'erudizione risponde in lui al medesimo fine. Coltissimo e poliglotta era infatti il Ripellino, grande studioso traduttore divulgatore, accumulatore curioso di storie, leggende, nomi, figure; questa erudizione la riversa spesso a piene mani nei versi – non ne fa, come ad esempio il Bocchiola che ho provato a commentare nel mio primo intervento su questo blog, un uso funzionale e 'nascosto', come impalcatura portante relativamente poco visibile dalla superficie – ma neanche un uso che appesantisce o che comunque pretenda dal lettore previa conoscenza di precisi rimandi culturali indispensabile per decifrare il discorso del poeta.

 

Nel rovescio di questa medaglia, secondo me, si può ravvisare il suo principale limite: alla lunga, quest'orgia di colori e di fantasmagorie potrebbe sopraffare e, per saturazione, perdere d'incisività. Anche per questo è apprezzabile che la strisciante presenza del dolore, personale e storico (particolarmente annodati fra loro, d'altronde: si pensi a quanto devastanti furono per lui i fatti di Praga), non venga esorcizzata né risolta in burla, ma anzi conferisca alla scrittura di Ripellino una profondità e un'anima. I suoi virtuosismi, per quanto aerei, non sono mai immotivati, ma hanno un piede ben piantato nel vissuto, e l'altro in una solida filologia.

 

(Se poi il metro per giudicare grande un poeta è una capacità linguistica tale da arrivare a influire sulla lingua più o meno comune, senza restar confinata nelle sue opere, anche qui si vedrà come l'esperienza ripelliniana, esaltante e gustosissima, mostri limiti in tale direzione; un impasto verbale così particolare funziona a meraviglia per i fini estetici del poeta, ma difficilmente opera a lungo raggio sul modo di scrivere e/o di parlare. La ricetta è così squisita da risultare irripetibile).

 

 

 

 


 
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