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CAMPANA - LEOPARDI / CANTI


Ci vuole coraggio a buttarsi in un nuovo commento dei Canti  di Giacomo Leopardi. Questo coraggio Andrea Campana, valente studioso dell'ateneo bolognese, lo ha dimostrato tutto. Ho assistito ieri alla presentazione della sua nuova versione commentata del magistero poetico leopardiano, edita da Carrocci. Si sa, le presentazione tendono alla celebrazione, sanno spesso di palude; tuttavia, vuoi per la timidezza erudita dell'autore, vuoi per la competenza degli astanti chiamati a discorrere del testo e, fatalmente, inciampati nel rinverdire l'eterna e simpatica diatriba su Leopardi "classicista" o "romantico" o (come suggerito da D'intino, per salvare gli uni e gli altri) "post - rivoluzionario", l'utile ha preso le consegne dal dilettevole e viceversa. Che poi scrivere di Leopardi voglia dire consegnarsi e legarsi mani e piedi all'autore più percorso - insieme a Dante - della letteratura italiana, campo di studi di docenti e appassionati, terreno di benedizioni e maledizioni assortite da parte degli studenti di tutta Italia ( certo non passerà inosservata la mole del tomo, oltre 500 pagine piene zeppe di tavole, note, abbreviazioni e, naturalmente, commenti), non credo spaventi l'autore del nuovo commento. Farà parte dei sogni e degli incubi delle generazioni future, sarà portatore di un modo d'intendere Leopardi dalla specola dei primi anni Duemila, farà parte del paratesto eterno che circolerà a diffonder gloria nei secoli. Io, per me, da semplice appassionato, da amante della poesia e della bellezza, posso dire che ogni strumento in più può rappresentare un valido aiuto per accompagnare la lettura di un'opera, per permettere la fruizione, la condivisione di una gioia, la gioia del lettore. Muovo solo un piccolo appunto - dettato dalla normale incomunicabilità linguistica - rispetto a quanto detto ieri da D'intino: sottolineare il bisogno di comprensione letterale della poesia, pur in presenza di una sintassi arditissima, in parte naturale a distanza di un paio di secoli, rischia di far passare l'idea di una verità unica e definitiva, quando in realtà ( o almeno così mi pare) il tempo produce sempre nuovi modi di lettura, nuove intersezioni amorose tra le opere. Un classico non smette mai di dire la sua, di sorprendere, di trovare una smagliatura in cui insinuare nuova linfa rispetto al tentativo di comprensione del mondo. Più un'opera sa nascondersi e metamorfizzarsi, più continuerà a intercettare la vitalità degli uomini. Per questo non si finisce mai di spiegare. Una volta licenziato, il commento, risulta già ascritto alla storia. Attendendo il prossimo, auguriamo agli studenti e ai tanti amanti del grande recanatese di affezionarsi al "Campana".