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SE TRE MILIONI...


Son passati poco meno di vent'anni da quando un valente sociologo, Luciano Gallino, scrisse Se tre milioni vi sembran pochi, saggio economico-sociologico sugli effetti e sui disastri della disoccupazione. L'ubriacatura da posto determinato e da precariato spinto hanno illuso per oltre tre lustri sull'insussistenza del problema, le cui prime avvisaglie risalivano almeno ai primi anni Settanta; da oltre un lustro siamo tornati sulla terra, al punto che il detto "ai tempi della crisi" ha ormai spodestato ogni altro intercalare conoscitivo, relegando nel dimenticatoio il più tronfio e positivista "alle soglie del Duemila". Ora che un sano bagno d'umiltà ci ha risquadernato davanti la nostra precarietà lavorativa - quella esistenziale è da tempo abito condiviso -, altri tre milioni entrano nel nostro immaginario quotidiano, a metà tra speranza e paura. I tre milioni della marcia di Parigi, al netto dagli effetti disastrosi che può provocare il verbo "marciare", possono rappresentare la speranza di un "nuovo inizio", di una rimessa al centro delle libertà fondamentali su cui si è costruito il meglio della nostra anima collettiva; la paura, invece, è confinata nel pensiero di chi teme una invasione culturale e legislativa, una invasione che va ben oltre il nemico infido e disagevole del terrorismo, ma che si nutre di una rimessa in discussione dei valori ormai dati per assodati da questa parte di civiltà, rimestando nel torbido di un convitato - neppure troppo di pietra - di una regressione verso antichi traumi. Fatto è che ogni persona è talmente tante cose poste una sull'altra che diventa davvero un crogiuolo d'inestricabile bellezza e complicanza allo stesso tempo. Quanto incide nell'aspetto politico-religioso lo stato economico delle singole persone? Quanto lo sfaldarsi della coesione sociale crea piccoli muri, inciampi alla comprensione e all'empatia che, sommati l'un l'altro, alla lunga producono faglie di civiltà, di lontananza, vere e proprie trincee d'appartenenza? Difficile rispondere, probabilmente impossibile. Del doman non v'è certezza. Di certo le singole persone avvertono il pericolo e la solitudine, la paura è già dentro di noi. Non è detto finisca bene: gli innesti - o gli incesti - di civiltà sono sempre esistiti (nasciamo da lì, Curtius, uno per tutti,  lo spiega benissimo nel suo epocale Letteratura europea e Medioevo latino), spesso a prezzo di costosissime perdite. Il lieto fine non è mai scritto in anticipo; il lieto fine è spesso impoetico, o almeno - Manzoni dixit - noioso da morire...meglio la satira, dunque.