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« BATISTI/ RIPELLINO

BATISTI/MALAPARTE

Post n°85 pubblicato il 11 Marzo 2015 da Pallavicini74
 

Classici dispersi?

Non mi vergogno troppo ad ammettere la mia totale ignoranza in merito all'opera di Curzio Malaparte; sì, sentito nominare più e più volte, eppure mai intercettato davvero con convinzione e attenzione. Grave mancanza? Può darsi. L'eloquente e acuminata penna del Batisti fornisce un quadro generale da cui partire per stimare nuove riflessioni. Buona lettura.

 


Una γνώμη malapartiana.

Di ragioni per non starmi simpaticissimo, a pelle [pun intended], Curzio Malaparte ne avrebbe. D'altronde, come tutti i toscani veraci, antipatico lo era per razza, e di quest'ispida indisponenza del suo popolo andava fiero (si legga memorabilmente, su questo punto, Maledetti toscani). Inoltre, sebbene ciò non possa costituire di per sé un difetto, la sua mercuriale attività di poligrafo non può che generare perplessità e atavica diffidenza in chi ama (e tende a identificarsi con) autori più votati al lungo e malmostoso labor limae, alla centellinazione dell'arte loro. Per non parlare del suo militare su cento fronti opposti, anche al tempo stesso, anche contro sé stesso (con Mussolini e contro Mussolini; teorico dello strapaese e raffinato intellettuale europeo...); o, per venire a questioni più propriamente letterarie, del suo esser sì stilista eccezionalmente abile, ma troppo compiaciuto proprio di questa sua capacità scrittoria, che lo porta a costruire pagine piene d'insostenibile retorica (certo, spesso una retorica antieroica, o paradossale, o dell'orrido e del grottesco, come si addice al '900, ma retorica ciò nondimeno - con un uso così smaccato e insistito di certe figure da risultare, lato sensu, gorgiano), nonché d'una esagerata ostentazione del suo ego autoriale.
Eppure, eppure, quando la suddetta abilità di prosatore si sposa, come spesso gli càpita, a un penetrante sguardo critico e a un'aguzza ispirazione satirica, lo scrittore pratese si mostra capace di paragrafi memorabili e azzeccatissimi: quale il seguente, che proviene da un suo saggio antimussoliniano rimasto incompiuto.

Questo popolo di piccoli furbi, di cavillosi, di contenziosi, di legulei, di astuti, è in realtà di una ingenuità che sorpassa il ridicolo, che tocca l'imbecillità. L'italiano è furbo nelle piccole cose: nelle grandi è ingenuo. Tien testa al greco, al levantino, all'ebreo, ma nelle grandi cose è di una stupidità che sorpassa perfino quella dei tedeschi. Tutti i nostri maggiori uomini politici, a cominciare da Cavour, per il quale una certa classe di italiani ha una stima esagerata, erano e sono di una stupidità quasi meravigliosa: sono uomini politici tipicamente levantini, siano essi nati in Piemonte, in Puglia, in Sicilia. Eccellono nell'arte di fingere, di tessere intrighi, di corrompere: ma nelle questioni importanti, nei grandi fatti, sono piccoli e miserabili. Spregevoli e ridicoli personaggi, perfino inferiori alla parte deteriore del popolo italiano.

(da Muss. Il grande imbecille, Luni Editrice, Milano/Trento 1999).


PS 1: sarebbe interessante confrontare il saggio suddetto col più celebre sfogo antiducesco della nostra letteratura, l'Eros e Priapo di Gadda (altro iniziale sostenitore ferocemente deluso).

PS 2: certi vizi del Suckert sono, a ben vedere, rintracciabili anche nel paragrafo in questione: la strutturazione un po' troppo scopertamente retorica (le antitesi, i cola ascendenti...), la ricerca di colpi ad effetto (può darsi che Cavour sia enormemente sopravvalutato, ma sarebbe interessante sapere perché), un certo populismo (mai additare un difetto degl'italiani senza affrettarsi a specificare che la Kasta - come si direbbe oggi - è beninteso ancor peggio...).

 

 

 

 

 

 
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