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Post n°381 pubblicato il 25 Febbraio 2018 da carlopicone1960
 

Manca ormai una settimana al fatidico appuntamento con le urne. Ancora pochi giorni di indicibile sofferenza, tra comizi televisivi, incontri con gli elettori e scandali di ogni tipo, e questa indecente campagna propagandistica per il rinnovo delle Camere sarà finalmente conclusa.
Come più volte ricordato, il sistema di voto prescelto dalle stesse forze politiche in lizza per il Parlamento esclude quasi al cento per cento la possibilità che un partito prevalga in maniera netta sugli altri, regalando ulteriore instabilità ad un Paese già così instabile come l’Italia. L’unica strada per conquistare la maggioranza, e con essa l’incarico di formare il nuovo governo, è quella delle coalizioni. E, al momento, i sondaggi confermano il dato: davanti a tutti, seppur di poco, c’è il M5S, nonostante lo stillicidio di candidati inquisiti e le espulsioni in serie; mentre è l’alleanza di centrodestra fra Salvini, Forza Italia, la Meloni e, come “quarta gamba”, i sopravvissuti dell’Udc di Cesa e Gargani, che ha preso il posto del fuoriuscito Ciriaco De Mita (e demitiani annessi) senza averne lo spessore; guida la graduatoria generale delle coalizioni favorite dal Rosatellum. Perdono terreno invece i renziani del Pd, travolto dalle ultime vicissitudini dei De Luca’s, all’insegna della ripristinata categoria sociologica del “familismo amorale”, mistura venefica di interessi clientelari e collusioni malavitose.
Ma se il centrosinistra scricchiola pesantemente, dentro la stessa coalizione, in complesso alquanto rabberciata, guadagna consensi la lista alleata di Emma Bonino sotto il marchio “Forza Europa”. Risultando evidentemente più convincente e affidabile il messaggio della leader radicale, buona per tutte le stagioni e per tutti i governi, destra o sinistra non fa importanza.
C’è da dire, però, che, sebbene in testa nelle rilevazioni pre-elettorali, i Cinque Stelle non sfondano come vorrebbero, presentandosi da soli al voto. Le ultime querelle di “rimborsopoli” e la ventina di candidati espulsi o sospesi seppur in lista, pare abbiano alquanto raffreddato l’entusiasmo che aveva finora accompagnato la “rivoluzione dimaista”. E “Giggino”, pronosticato come probabile nuovo premier, continua a non azzeccarne una, come i congiuntivi. La stessa suggestiva iniziativa di recarsi al Colle per consegnare la sua lista di ministri, affidata poi ad un segretario di gabinetto, per l’indisponibilità a partecipare alla sceneggiata da parte del presidente Mattarella, s’è rivelata del tutto ininfluente, se non proprio vuota di senso.
Allora, mentre il leghista Salvini si produce in una messa in scena dal sapore medievale: giuramento davanti a Dio, in piazza a Milano, con il Vangelo in edizione economica e un rosario tra le mani, per rendere solenne il suo impegno in caso di vittoria elettorale; il “c. t.” del centrodestra, Silvio Berlusconi, uno che, in un Paese più avanzato, sarebbe ancora in carcere a scontare le sue condanne, cambia di continuo le sue indicazioni sul nome del futuro premier: adesso Tajani, quello più gettonato, in attesa che il Berlusca venga assolto dal Tribunale europeo, per poter non essere più impresentabile (lo è fino ad aprile del 2019) e magari tornare ad 81 anni alla guida della nazione. Senza stancarsi, intanto, di bombardarci, attraverso le sue televisioni e le altre, con le sue scriteriate promesse di rinascita di un Paese da lui stesso affossato, durante il ventennio pressoché continuo di governo di centrodestra.
Segnalando inoltre la colpevole assenza, nell’attuale regime di “par condicio” (violata), della formazione denominata “Potere al Popolo”, che pure concorre alle elezioni, malgrado ancora pochi lo sappiano, l’altra Sinistra si propone con uno schieramento composto quasi interamente di funzionari di partito, ex presidenti di Camera e Senato, ex capigruppo, segretari di sezione senza più sezione, burocrati della partitocrazia: “Liberi e Uguali”. Un partito, insomma, che ha ben poco di Sinistra. Perlopiù fuoriusciti dal Pd, e probabilmente destinati a ritornarvi. Con un capo politico mai distintosi per il suo progressismo, come l’ex magistrato ed ex presidente del Senato, Pietro Grasso, trasformatosi adesso in Che Guevara.
In tale quadro, non si può sottacere poi la presenza pericolosa per la democrazia di forze dell’estremismo nero, Forza Nuova dello stragista Roberto Fiore, che tra i punti del suo programma, del secolo scorso, vuole promuovere i valori della tradizione e della famiglia, abolendo la legge sull’aborto; e Casapound, organizzazione più giovanilistica che si proclama altrettanto fascista e soprattutto vuole andare a far guerra alla Libia, per occuparne “un pezzo” e colonizzarlo (di nuovo?) costruendo acquedotti e autostrade, per risolvere il problema degli sbarchi dei migranti dall’Africa settentrionale in Italia. Tutte e due le formazioni, che non si capisce perché concorrano divise, proclamano l’“italian first” del “sovranismo”, abbracciato pure dai Fratelli d’Italia della Meloni, patriota in Photoshop, e in misura parimenti temibile dalla squadra di Matteo Salvini, “leghista” non più secessionista né nordista.
Di fronte a questo panorama piuttosto sgangherato, che comunque fotografa la condizione critica in cui versa la politica e più in generale la cultura italiana: significativo che finora nessun intellettuale abbia sentito il bisogno di esprimersi pubblicamente sulle storture della propaganda elettorale; l’impressione è che i vari competitor, forse frenati dall’eventualità assai concreta che dal 4 marzo non uscirà alcun vincitore e gli italiani finiranno per avere un altro governo non scelto da loro, abbiano preparato l’artiglieria pesante, i fuochi d’artificio, gli effetti speciali per quest’ultimi cinque giorni di campagna elettorale.
E dentro un agone trasferitosi dai comizi in piazza ai più comodi social network, tutti non vedono l’ora che la sofferenza elettorale finisca, per vedere quale delle scommesse sui partiti venga premiata. Per le quote, ci sentiamo in settimana.

 
 
 
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