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Post n°512 pubblicato il 27 Giugno 2019 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

L’estate è il periodo dell’anno tradizionalmente destinato alle sagre culinarie di qualsiasi cosa ed è anche il momento di “Irpinia Mood”, manifestazione dedicata al cibo prodotto in provincia di Avellino. O almeno in Campania. 

 

Quando, per tre giorni, 28-29-30 giugno, l’isola pedonale di Corso Vittorio Emanuele si trasforma in un luogo dove mangiare specialità cotte sul momento e servite ai fortunati che, superate file interminabili, riescono ad accedere agli stand più rinomati.

L’Irpinia, terra di vini eccellenti e prodotti alimentari altrettanto straordinari, vive così la sua consacrazione come luogo dove si mangia, mettendo in mostra alcuni dei fiori all’occhiello di una gastronomia da primato. 

Del resto il “food” costituisce uno dei punti di forza dell’intera economia italiana, con il suo fatturato miliardario, malgrado le insidie derivanti dal mercato globalizzato e dalla scarsa tutela da parte dello Stato nei confronti all’invasione sempre più preoccupante di produzioni estere, dalla Cina alla Turchia, dal Marocco alla Tunisia, solo per fare qualche esempio. 

Sta di fatto che, negli ultimi anni, il nostro atteggiamento verso il cibo è completamente cambiato. Un contributo fondamentale è venuto dall’esplosione mediatica dei “master chef”, dei molteplici programmi televisivi basati sulla cucina e la valutazione critica di piatti preparati all’occorrenza. Le serie di format con protagonisti Alessandro Borghese o Antonino Cannavacciuolo hanno sortito l’effetto di rendere gli italiani più attenti, critici e fantasiosi in cucina. Più esigenti rispetto alla qualità dei loro manufatti e delle materie prime necessarie a comporli. E il continuo bombardamento televisivo, associato alle illimitate capacità di attingere attraverso internet a qualsiasi ricetta e tutorial per l’esecuzione dei piatti, ha difatti dato vita ad una nuova figura di consumatore più selettivo e meno disponibile ad accontentarsi delle solite pietanze della tradizione. Un fatto sicuramente positivo, senonché costituisca al contempo un fattore di criticità. 

Perché la globalizzazione dei sapori e della possibilità di mangiare qualsiasi cosa proveniente da ogni parte del mondo, spesso, si traduce in confusione tra una eccessiva quantità di prodotti non sempre di qualità offerti dal mercato, mentre aumentano le difficoltà di scelta da parte del consumatore. Così la maggior cultura del cibo finisce per essere travolta dal business agro-alimentare. 

Cessa, infatti, il discrimine sulle caratteristiche delle produzioni, non si bada più ai luoghi e alle condizioni di coltivazione o allevamento, alle stesse modalità di raccolta e confezionamento, in nome di un nuovismo che calpesta la genuinità dei prodotti. Tutto è “bio”, assecondando un trend consolidato, e perciò diventa più costoso. Effetto collaterale della rinnovata consapevolezza culinaria: chi vuole mangiare bene è costretto ad affrontare spese sempre più alte. Proprio i prezzi più elevati delle materie prime, appannaggio esclusivo dei ceti più abbienti, rendono quindi classista l’approccio al “mangiarbere” di qualità, secondo la terminologia di Slow Food, antesignana dell’opera di sensibilizzazione sul buon cibo, finendo per costituire la nota dolente di tutto l’ambardadan, mentre i controlli restano sempre limitati. 

C’è poi l’insorgere delle mode gastronomiche a volte suscitate artatamente da campagne mediatiche che periodicamente investono gli italiani ai fornelli, con cibi una volta demonizzati e l’anno dopo riabilitati per capacità miracolose prima ignorate. 

 

Insomma, un gran casino nelle nostre abitudini alimentari che d’estate dovrebbero disporsi al relax della vacanza, piuttosto che alle lezioni dei “masterchef” di turno. Resta il fatto, però, che il “food” tira sempre. Una tendenza di successo e di guadagni assicurati. Tanto che qui ad Avellino è divenuta l’attività principale, grazie al numero crescente di ristoranti, pizzerie e fast food rispetto ad una potenziale clientela non proprio sconfinata. Apprestiamoci quindi a vivere queste giornate di afa e perle della gastronomia nostrana di “Irpinia Mood”. Nella speranza che non siano troppe unte, per rispettare l’igiene del Corso principale. 

 
 
 
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