Creato da carlopicone1960 il 13/01/2008

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Didattica integrata

Post n°600 pubblicato il 12 Luglio 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Sembra che la soluzione migliore a cui il Provveditorato agli Studi di Avellino sta pensando per favorire l’inizio del nuovo anno scolastico, che non partirà più il 24 settembre ma con tutta probabilità il 14, come in gran parte delle regioni italiane, sarà la didattica integrata tra lezioni in presenza e a distanza. Con una complessa turnazione di orari riservata agli studenti delle classi terminali e di quelle più affollate, chiamati ad alternare momenti reali a momenti virtuali. 

Lo scopo precipuo della misura, in tempi di possibile recrudescenza del coronavirus che di fatto non ha smesso di circolare sul territorio nazionale - vedi cluster diffusi un po’ dovunque, anche in Campania - è quello di liberare spazi disponibili al fare scuola in tutta sicurezza, specie in realtà problematiche sul piano della logistica come quelle del Meridione. 

Fornendo momenti didattici in remoto, si potrà ovviare alle necessità di avere aule adeguate al distanziamento fisico tra gli alunni, ai controlli quotidiani o a campione sul loro stato di salute, oltre che effettuare l’auspicata rotazione negli ambienti da parte di gruppi ancora troppo numerosi di studenti. 

Una soluzione semplice, almeno in superficie, mentre nessuna scuola ha avuto nel frattempo la possibilità di attuare i necessari interventi di ristrutturazione degli edifici ed una nuova organizzazione dei propri spazi. Nessun allargamento delle aule è stato fatto, nessun sdoppiamento delle “classi pollaio”, nessuna assunzione del doppio di docenti che dovrebbe essere utilizzato riducendo il numero degli alunni per classe. 

Così, mentre siamo a circa cinquanta giorni dall’attesa riapertura dell’anno scolastico, l’avviata procedura di monitoraggio della capienza degli istituti sembra a questo punto del tutto ininfluente. Anche perché, affidata innanzitutto ai dirigenti scolastici, pur in presenza di situazioni critiche, essa non potrà portare, a causa della tempistica alquanto limitata, ad alcun rimedio effettivo. Se non, in qualche caso, la collocazione delle classi, in esubero rispetto al numero previsto, dentro contesti inusuali per la didattica, come cinema, teatri, altre strutture all’aperto.

Diciamo subito che ci troviamo di fronte ad una situazione intollerabile, in quanto la scuola, asse portante di ogni società democratica, è stata trattata, in questi mesi, con un’insopportabile approssimazione. Quasi disinteresse. 

Cinque mesi non sono serviti a tirar fuori delle Linee guida accettabili in tema d’istruzione post-covid. Già lo svolgimento dell’Esame di Stato in presenza, ma ridotto solo ad un colloquio di un’ora, e quello per conseguire il diploma di scuola media inferiore soltanto on line, hanno rappresentato delle preoccupanti avvisaglie delle nuove soluzioni al vaglio degli esperti. In entrambi i casi, il senso stesso della valutazione formativa dei nostri adolescenti è uscito abbastanza calpestato. E forse sarebbe stato più opportuno abolirli, almeno per quest’anno, e affidarsi esclusivamente ai giudizi quadrimestrali dei docenti. 

Eppoi, la famigerata “DaD” (didattica a distanza), trovata informatica, spesso finita nelle mani di un personale inesperto e men che meno formato professionalmente all’insidie del digitale, è risultata alla fine efficace solo a salvare formalmente l’anno scolastico, comprese le programmazioni disciplinari, ma quanta fatica c’è voluta. 

Se, d’altra parte, si legge che più del 12% degli studenti italiani non hanno usufruito di alcuna connessione, né tramite pc che smartphone, con il diritto costituzionale all’istruzione che non è stato assicurato, si comprende meglio come si tratti di uno strumento da perfezionare, magari garantendo a tutti un uguale accesso alla rete e in gratuità, anche per i professori. Magari destinando alla modalità virtuale di fare scuola la stessa cura e attenzione rivolta dalla maggior parte delle Università nelle lezioni a distanza e negli esami in remoto. Invece, la disparità nelle opportunità di usufruire della DaD ha pesantemente condizionato il lavoro didattico, che in modalità remoto ha tutta una serie di specificità sulle quali si è forzatamente sorvolato, dando per scontate competenze spesso inesistenti sia da parte dei docenti che dai discenti. 

Ora si profila questa nuova soluzione, in verità più dispersiva e deconcentrante rispetto all’ultima parte dello scorso anno scolastico. Immaginate soltanto che tipologia di orario settimanale dovrà essere redatta nelle scuole, considerando i turni in presenza e quelli a distanza. Ma soprattutto i cambiamenti di approccio didattico fra connessioni virtuali e lezioni ex cathedra. Da mantenere in equilibrio.

Intanto, come annunciato, dal primo settembre tutto il personale della scuola, docenti, ata e amministrativi dovranno essere sottoposti a test seriologici e a tamponi, non si sa ancora con quali modalità, per essere pronti, entro una quindicina di giorni, ad accogliere le migliaia di studenti italiani. Per il resto si torna a sentir parlare di distanziatori in plexiglass, banchi singoli e tecnologici, muniti di rotelle. 

Abbiamo già un commissionario speciale incaricato di gestire tutto l’occorrente per le scuole: forniture di mascherine, disinfettanti e attrezzature varie. È Arcuri, lo stesso del lockdown e dell’affare mascherine arrivate con notevole ritardo rispetto alle promesse. Ma ricorrere all’integrazione di didattica a distanza ed in presenza, dove ci sarà bisogno per il numero esorbitante di alunni, sembra proprio una sciagura maggiore.

 
 
 
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