Creato da carlopicone1960 il 13/01/2008

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Neoleghisti coerenti

Post n°604 pubblicato il 18 Luglio 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Spesso, ad Avellino, si riscontra un interesse quasi morboso per la politica, lo stesso che accompagna i fatti calcistici, a testimonianza del perdurare dell’antico adagio per cui in Irpinia si vive di “pane & politica”. Retaggio ormai datato di stagioni davvero esaltanti per la politica nostrana e l’U. S. Avellino 1912. Quelle dei “magnifici sette” capeggiati dall’allora presidente del consiglio e segretario della Dc, Ciriaco De Mita, e dei formidabili campionati in serie A dei lupi biancoverdi. 

Ma, oggi che i valori politici e calcistici si sono di molto ridimensionati, assistere ad un fitto schieramento di giornalisti solo per seguire la conferenza stampa con cui il presidente della Camera di Commercio, Oreste La Stella, annunciava il suo passaggio tra le file del Carroccio, ci è sembrata una oggettiva esagerazione. 

Oltretutto il professionista del commercio, attività che non ha mai esercitato, ha tenuto a precisare che la sua adesione al progetto della Lega (chissà quale) non era finalizzato ad una eventuale candidatura alle prossime Regionali, ma ai propositi di rinnovamento dell’intera area della provincia di Avellino. Nel segno del populismo sovranista. Un altro indizio della limitata notiziabilità dell’“evento” consumatosi nella nuova sede del partito di Salvini a piazza d’Armi. Certo, prendere atto che un pezzo della società civile avellinese trasloca fra i “lumbard” è importante, a dimostrazione di come si stia allargando pure qui al Sud il consenso per la formazione autonomista e antimeridionale per statuto, allineatasi  baldanzosamente nel novero delle destre più reazionarie d’Europa. Tuttavia l’ultimo esito della campagna acquisti leghista non meritava più di un trafiletto con fotografia. Invece, c’è voluto poco per trasformarlo in notizia d’apertura, subito funzionale a rilanciare alcuni dei temi fondamentali dell’assalto leghista alla Regione Campania. 

In campo i consueti attacchi al presidente De Luca, giudicato fortunato per aver sfruttato a suo vantaggio l’emergenza covid, con cui ha nascosto le innumerevoli magagne del suo mandato. Le gravi dimenticanze nei confronti dell’Irpinia, riassumibili in due punti cruciali: l’acqua e la sanità, come ha detto il coordinatore provinciale, Pasquale Pepe, senatore lucano scelto da Salvini per occuparsi della provincia di Avellino. A lui si è associato l’altro senatore Ugo Grassi, da qualche mese transfuga del M5s, che come sempre ha avuto parole molto dure nei confronti dei suoi ex compagni di avventura, rei di assoluta incapacità di analisi, mentre lui è approdato nella forza politica più innovativa che c’è, appunto la Lega. Infine, è toccato all’ultimo fulminato sulla via di Damasco o di Milano, vista la denominazione di “Lega Nord” precedente a quella personalizzata “Lega per Salvini”, Oreste La Stella. Un curriculum, il suo, da socialista e poi da democristiano, buono per tutte le stagioni, a lungo alla guida degli esercenti prima di assurgere al ruolo ambito di presidente della Camera di Commercio di Avellino. Senza problemi sia con il centrosinistra che con il centrodestra. 

Proprio lui ha esordito pronunciando la fatidica parola “coerenza”. Sì, così ha definito il suo intricato percorso che l’ha portato a fare il periplo dei partiti politici, da sinistra a destra, a completamento di una coerenza non ben identificata, come non si può definire l’atteggiamento di chi ha fatto aspettare qualche mese prima di passare ufficialmente con lo schieramento di maggioranza relativa attualmente nei sondaggi. 

Infatti, non sarebbe cambiato il senso della sua scelta se l’avesse compiuta in maniera più tempestiva. Magari quando Grassi ha lasciato i Cinquestelle per rinforzare le truppe salviniane. E non sentirsi un eroe della “coerenza”.

 
 
 

Dalla città marginale

Post n°603 pubblicato il 17 Luglio 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

C'era un tempo in cui era convinzione diffusa che aprire un'Università ad Avellino sarebbe stato superfluo. C'era già l'Ateneo di Salerno collocato nella vicina Fisciano, a metà strada fra i due capoluoghi, che sembrava proprio essere sorto per rispondere alla richiesta di studi universitari dal bacino irpino. E così si è andato avanti negli anni, nella certezza che il comune capoluogo fosse più adatto ad ospitare corsi di specializzazione di facoltà decentrate che avessero qualche interesse da queste parti. Tipo quelli di Medicina e Scienze infermieristiche, all'Azienda ospedaliera "Moscati", o ancor di più Enologia della "Federico II", grazie al connubio con lo storico Istituto Agrario "De Sanctis" di Avellino. Per una piuttosto risicata compartecipazione all'offerta di formazione universitaria proveniente dalla regione Campania.

Né la situazione è di molto migliorata con l'ulteriore decentralizzazione di una sede della partenopea "Vanvitelli" - ora in dismissione - a Grottaminarda, oppure con l'eccellenza della ricerca scientifica alla Biogem di Ariano Irpino.

Isolate esperienze hanno toccato e continuano a toccare il capoluogo e la sua provincia, ma non basta. Né può bastare per un comune di sessantamila abitanti ma soprattutto "capitale" dell'Irpinia qual è Avellino. Forse l'unico capoluogo di provincia italiano ancora privo di Università. Di fronte all'insieme di vantaggi che compoterebbe avere un ateneo in città, come ad esempio quelli riscontrabili prima del terremoto a L'Aquila: senza dubbio una notevole vivacità culturale, dovuta alla frequentazione e permanenza di studenti e professori, con l'indotto di negozi, cartolibrerie, punti di ristoro ed altri servizi riservati agli universitari, che alimenterebbero il mercato dei fitti di alloggi, camere e appartamenti.

La proposta di aprire un polo universitario, che vada ad affiancare quelli di Napoli, Caserta, Benevento e Salerno-Fisciano, potrebbe risultare fuori tempo massimo. Di difficile realizzazione. Ma sta di fatto che l'ormai vetusto discorso sull'inutilità di un nuovo ateneo in Campania non regge più, vista la crisi in apparenza irreversibile delle zone interne del Meridione, sul quale solo un imponente investimento infrastrutturale dedicato alla cultura e alla formazione potrebbe incidere positivamente.

L'effetto di rivolgersi altrove come punto di riferimento negli studi universitari è stato invece solo quello di marginalizzare sempre di più nel tempo la realtà avellinese, fino alla desertificazione attuale.

Un intervento consistente è quindi l'unica possibilità che ci resta. Per uscire da questo ruolo di città dormitorio all'interno di un altro dormitorio più grande e desolato come pare destinato a essere l'entroterra provinciale, dove si transita allegramente ma senza mettere mai le radici e contribuire alla crescita economica e culturale del territorio. Oppure rassegnamoci ad essere il luogo d'elezione di università telematiche e altri diplomifici a pagamento.   

 
 
 

Sinistre divise

Post n°602 pubblicato il 15 Luglio 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Con l’annuncio della presentazione della lista Terra, per le prossime regionali, si delinea, a meno di ulteriori aggiornamenti, il quadro della partecipazione della Sinistra antagonista, o radicale che sia, all’appuntamento con le urne del 20 e 21 settembre in Campania. Si conferma la divisione fra le due maggiori forze che, senza troppe differenze di sorta, si ritroveranno in competizione per un voto in più. 

Da una parte, infatti, ci sono quelle frazioni che ruotano intorno a Potere al popolo, capaci di mettere su in tutta fretta un elenco di candidati capeggiati dal 34enne Giuliano Granato, in corsa per il posto di presidente della Regione. Dall’altra, con qualche settimana di ritardo, ecco la risposta degli ex compagni d’avventura di Rifondazione comunista, che costituiscono il punto di riferimento per altre sigle dell’antagonismo, specie napoletano, confluite in Terra. 

Si profila quindi un “derby” un po’ impietoso che non potrà non provocare qualche dissapore, nonché dispersione di consensi e addirittura allontanamento, da parte degli elettori, di fronte a due programmi speculari se non proprio identici. Con le stesse istanze di cambiamento e di sviluppo di una realtà, come quella campana, per troppo tempo devastata. C’è però l’effetto “doppione”, che salta immediatamente agli occhi leggendo i propositi elettorali dei due schieramenti contrapposti pur avendo in comune il radicalismo delle basi ideologiche. E, con l’effetto “doppione” o “fotocopia”, immancabile sarà anche la confusione al momento di scegliere chi votare, a tutto vantaggio dell’articolato complesso di liste in appoggio al presidente uscente di centrosinistra De Luca, dato nei sondaggi molto avanti rispetto al candidato delle destre, Caldoro. Col rischio che s’inserisca, in tutta una serie di rivendicazioni a sfondo ambientalista, la stessa candidata del M5s, Ciarrambino. 

È dunque grande il caos sotto i cieli campani, ma non si tratta di una situazione favorevole. Per chi creda davvero nelle possibilità di cambiamento. 

Per ora, ad enumerare i gruppi che aderiscono alla lista Terra, la cui maggiore novità è quella di non aver ancora indicato dei nomi, perché il progetto politico viene prima delle singole persone, né il candidato unico a presidente della Regione, visto che presenterà un ticket uomo-donna per Palazzo S. Lucia, si ritrovano insieme Sinistra Italiana, Partito della Rifondazione comunista, Lista Tsipras, Comunisti Italiani, forse DeMa del sindaco di Napoli De Magistris, Partito del Sud, Insurgencia e Stop Biocidio. Tutti proiettati alla costruzione del cosiddetto “quarto polo”, ad affiancare formazioni politiche più strutturate. Resta però una certa amarezza fra gli antagonisti meno attenti alle polemiche divisive che dalle ultime elezioni politiche del 2018 hanno frantumato i vari pezzi della sinistra più a sinistra. Non riuscendo a comprendere il perché di una tale separazione interna ad una piattaforma politica tutto sommato affine, che cambia solo negli interpreti, senza che un’adeguata discussione teorica sia stata avviata e portata a conclusione.         

 
 
 

La città di Superman

Post n°601 pubblicato il 14 Luglio 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

E noi che credevamo di abitare in una città senz’anima, dove sempre più numerosi fanno le valigie ed emigrano altrove, dove pure gli immigrati evitano di restare, perché non è la tranquillità a mancare quanto piuttosto il lavoro per mettere su reddito e famiglia. Un posto in cui la cultura non è ben accetta, come qualsiasi discorso o visione più approfondita, e l’unica prospettiva è quella di tirare avanti. Ebbene, dopo aver scoperto di essere amministrati da Superman, alle prese con “mission impossible”, anche se questo è un altro film, dobbiamo cambiare opinione. Esiste un’altra città. 

E non importa se l’amore senza limiti che egli nutre per Avellino la fa accostare al “migliore dei mondi possibili” di leibniziana memoria. Ma lasciamo da parte ogni citazione colta e avviciniamoci al nazionalpopolarismo di chi ha deciso di “rivoluzionare” una realtà da troppo tempo abbandonata a sé stessa, risolvendo ogni problema. 

Avanzando a grandi passi verso un futuro ancora più radioso per i nostri figli, il supereroe della kriyptonite, da lui sostituita da dosi massicce di ottimismo assoluto, autentico profumo della vita, non ha mancato neanche stavolta di rassicurarci, utilizzando i social, suo mezzo di comunicazione unidimensionale preferito. “Non ci ferma neanche il Covid” e possiamo dormire sonni tranquilli. Siamo in pre-dissesto e senza un euro nelle casse comunali e perciò non possiamo rattoppare le strade devastate del capoluogo, ma non c’è da disperarsi: tutti i cantieri sono stati ripresi e, col prossimo bilancio, arriveranno anche i soldi necessari a tutte le incombenze. 

Così, per i soliti “rosiconi”, ci saranno altri motivi di sofferenza, quando vedranno un’altra fantasmagorica estate avellinese, ricca di sorprese e di eventi, covid permettendo, stupefacenti, soprattutto sotto il profilo “scenografico”. Del resto è già bella così la città che lentamente si rialza dallo stop della pandemia, coi tavolini dei bar che adornano le vie, per offrire a prezzi economici suggestive location ai bordi di ciò che resta della Dogana. L’impressione, a non voler “rosicare”, è quella di una passione enorme da parte del sindaco supereroe verso la sua città. Ma, a fare un po’ di cronologia del suo amore sperticato, dobbiamo sottolineare che è cosa recente, perché quasi del tutto assente nelle sue precedenti esperienze amministrative come consigliere e vicesindaco con delega all’ambiente, ai tempi di Galasso e Foti. Da dove sia nato non si sa il sentimento irrefrenabile che oggi lo porta a guardare con occhi positivi a qualsiasi fatto accada e ad ogni problema della città. 

Sta di fatto che da lui, 96° sindaco d’Italia, nessuna progettualità condivisibile, nessuna riflessione ponderata, in un approccio costantemente pragmatico costantemente dalla parte della “gente”, di cui poi alla fine si ignora l’identità. Stentiamo a credere che sia la stessa ad applaudire la decisione di negare il mercato bisettimanale ad un capoluogo di sessantamila abitanti. Che ogni volta che girano in macchina collezionano buche e avvallamenti. E ancora non assistono da tempo a dibattiti in consiglio comunale in presenza.  

 
 
 

Didattica integrata

Post n°600 pubblicato il 12 Luglio 2020 da carlopicone1960
 
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Sembra che la soluzione migliore a cui il Provveditorato agli Studi di Avellino sta pensando per favorire l’inizio del nuovo anno scolastico, che non partirà più il 24 settembre ma con tutta probabilità il 14, come in gran parte delle regioni italiane, sarà la didattica integrata tra lezioni in presenza e a distanza. Con una complessa turnazione di orari riservata agli studenti delle classi terminali e di quelle più affollate, chiamati ad alternare momenti reali a momenti virtuali. 

Lo scopo precipuo della misura, in tempi di possibile recrudescenza del coronavirus che di fatto non ha smesso di circolare sul territorio nazionale - vedi cluster diffusi un po’ dovunque, anche in Campania - è quello di liberare spazi disponibili al fare scuola in tutta sicurezza, specie in realtà problematiche sul piano della logistica come quelle del Meridione. 

Fornendo momenti didattici in remoto, si potrà ovviare alle necessità di avere aule adeguate al distanziamento fisico tra gli alunni, ai controlli quotidiani o a campione sul loro stato di salute, oltre che effettuare l’auspicata rotazione negli ambienti da parte di gruppi ancora troppo numerosi di studenti. 

Una soluzione semplice, almeno in superficie, mentre nessuna scuola ha avuto nel frattempo la possibilità di attuare i necessari interventi di ristrutturazione degli edifici ed una nuova organizzazione dei propri spazi. Nessun allargamento delle aule è stato fatto, nessun sdoppiamento delle “classi pollaio”, nessuna assunzione del doppio di docenti che dovrebbe essere utilizzato riducendo il numero degli alunni per classe. 

Così, mentre siamo a circa cinquanta giorni dall’attesa riapertura dell’anno scolastico, l’avviata procedura di monitoraggio della capienza degli istituti sembra a questo punto del tutto ininfluente. Anche perché, affidata innanzitutto ai dirigenti scolastici, pur in presenza di situazioni critiche, essa non potrà portare, a causa della tempistica alquanto limitata, ad alcun rimedio effettivo. Se non, in qualche caso, la collocazione delle classi, in esubero rispetto al numero previsto, dentro contesti inusuali per la didattica, come cinema, teatri, altre strutture all’aperto.

Diciamo subito che ci troviamo di fronte ad una situazione intollerabile, in quanto la scuola, asse portante di ogni società democratica, è stata trattata, in questi mesi, con un’insopportabile approssimazione. Quasi disinteresse. 

Cinque mesi non sono serviti a tirar fuori delle Linee guida accettabili in tema d’istruzione post-covid. Già lo svolgimento dell’Esame di Stato in presenza, ma ridotto solo ad un colloquio di un’ora, e quello per conseguire il diploma di scuola media inferiore soltanto on line, hanno rappresentato delle preoccupanti avvisaglie delle nuove soluzioni al vaglio degli esperti. In entrambi i casi, il senso stesso della valutazione formativa dei nostri adolescenti è uscito abbastanza calpestato. E forse sarebbe stato più opportuno abolirli, almeno per quest’anno, e affidarsi esclusivamente ai giudizi quadrimestrali dei docenti. 

Eppoi, la famigerata “DaD” (didattica a distanza), trovata informatica, spesso finita nelle mani di un personale inesperto e men che meno formato professionalmente all’insidie del digitale, è risultata alla fine efficace solo a salvare formalmente l’anno scolastico, comprese le programmazioni disciplinari, ma quanta fatica c’è voluta. 

Se, d’altra parte, si legge che più del 12% degli studenti italiani non hanno usufruito di alcuna connessione, né tramite pc che smartphone, con il diritto costituzionale all’istruzione che non è stato assicurato, si comprende meglio come si tratti di uno strumento da perfezionare, magari garantendo a tutti un uguale accesso alla rete e in gratuità, anche per i professori. Magari destinando alla modalità virtuale di fare scuola la stessa cura e attenzione rivolta dalla maggior parte delle Università nelle lezioni a distanza e negli esami in remoto. Invece, la disparità nelle opportunità di usufruire della DaD ha pesantemente condizionato il lavoro didattico, che in modalità remoto ha tutta una serie di specificità sulle quali si è forzatamente sorvolato, dando per scontate competenze spesso inesistenti sia da parte dei docenti che dai discenti. 

Ora si profila questa nuova soluzione, in verità più dispersiva e deconcentrante rispetto all’ultima parte dello scorso anno scolastico. Immaginate soltanto che tipologia di orario settimanale dovrà essere redatta nelle scuole, considerando i turni in presenza e quelli a distanza. Ma soprattutto i cambiamenti di approccio didattico fra connessioni virtuali e lezioni ex cathedra. Da mantenere in equilibrio.

Intanto, come annunciato, dal primo settembre tutto il personale della scuola, docenti, ata e amministrativi dovranno essere sottoposti a test seriologici e a tamponi, non si sa ancora con quali modalità, per essere pronti, entro una quindicina di giorni, ad accogliere le migliaia di studenti italiani. Per il resto si torna a sentir parlare di distanziatori in plexiglass, banchi singoli e tecnologici, muniti di rotelle. 

Abbiamo già un commissionario speciale incaricato di gestire tutto l’occorrente per le scuole: forniture di mascherine, disinfettanti e attrezzature varie. È Arcuri, lo stesso del lockdown e dell’affare mascherine arrivate con notevole ritardo rispetto alle promesse. Ma ricorrere all’integrazione di didattica a distanza ed in presenza, dove ci sarà bisogno per il numero esorbitante di alunni, sembra proprio una sciagura maggiore.

 
 
 

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