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Psicologia e BDsM.

Post n°20 pubblicato il 02 Novembre 2007 da blooddragon
Foto di blooddragon

Patologia o differenziazione individuale?

 

Come medico mi trovo spesso a scambiare opinioni con psicologi clinici. Molti di essi mi hanno riferito che quando parliamo o scriviamo è necessario porre molta attenzione in quel che diciamo e, soprattutto, in come lo diciamo poiché, per molte persone, l’opinione del medico ha sostituito per importanza la religione per la sua capacità di influenzare le opinioni in campo sociale e gli stessi comportamenti.

            Effettivamente, come la religione, la professione medica (e la psicologia in particolare) ha dato conforto e fornito una guida a molta gente...e, di converso, danneggiato altre persone. Anzi, proprio la psichiatria/psicoterapia, negli ultimi centotrent’anni di esistenza come branca della scienza medica, ha contribuito all’oppressione di donne, persone di colore, gay ed altri etichettandoli come esseri psicologicamente inferiori (nel caso delle donne e delle persone di coloro, per esempio) o mentalmente patologiche, come nel caso dei gay e di altre minoranze sessuali.

L’effetto della “patologizzazione” di certi gruppi è stato molto profondo. Teorie sull’inferiorità delle donne sono state usate per giustificare la loro esclusione dalle leadership in campo politico e finanziario; teorie sull’inferiorità delle persone di colore sono state usate per giustificare scelte politiche di chiaro stampo razzista.

            Nell’area della sessualità, la psicologia è stata particolarmente “cattiva” ed ha giustificato dei trattamenti estremamente brutali verso coloro che sono stati cosiderati “sessualmente devianti”.  Attraverso tutta la prima metà del ventesimo secolo le ragazze che avevano un “eccessivo desiderio sessuale” (per esempio coloro che si masturbavano regolarmente) erano considerate anormali ed in molti casi sono state soggette a clitoridectomia; fino al 1970 la gente gay poteva essere internata in strutture per la cura delle malattie mentali da parte dei loro genitori; ed anche oggi terapie come ‘elettroshock e la “castrazione chimica” sono considerate interventi psichiatricamente accettabili per le parafilie sessuali...tra le quali includiamo il feticismo, il masochismo sessuale, il sadismo sessuale, il feticismo trans ed altre pratiche vicine e care a coloro che hanno le mie stesse preferenze in fatto di vita privata.

Perchè la psicologia ritiene giusto e doveroso interferire in quello che è un comportamento sessuale consensuale negli adulti? Perchè etichetta ancora un simile comportamento come “malato”?

L’antropologista urbano e membro fondatore della LSM, Dott. Gayle Rubin ha descritto il modo in cui la società vede il sesso classificando i comportamenti sessuali o come appartenenti alla cerchia dei comportamenti “sexually charmed” o come comportamenti “al di fuori dei limiti”.

Fondamentalmente, alla società piace la stabilità e quindi il sesso deve essere convenzionale, possibilmente all’interno del matrimonio, monogamo, privato, non mercenario, procreativo e “vanilla”.

            Alcuni amanti del BDsM, come posso essere io, violano anche tutte queste prescrizioni in un colpo solo! Se a questo aggiungiamo che, magari, appartengono ance a minoranze sociali (donne) o etniche (extracomunitari) allora il gioco è fatto e non è impresa da poco riuscire ad essere accettati anche all’interno della stessa comunità BDsM.

Secondo Rubin la società esprime il suo peggio quando, soprattutto nascosta dall’anonimato e dall’impunità che un monitor garantisce, tenta di “eradicare” o addirittura sopprimere coloro che rappresentano un comportamento che per i componenti di questa società è “fuori dai limiti”.

I metodi impiegati sono molti inclusa la disapprovazione con scusanti religiose o sociali, l’applicazione deviata di leggi o regolamenti che sono in realtà solo discriminazioni razziali...e la classificazione di persone o comportamenti come “malati” senza nemmeno definire prima cosa sia da considerare “sano”.

Consideriamo però più strettamente l’approccio psichiatrico: effettivamente le teorie sono cambiate. Ora la masturbazione è accettata, le donne possono avere pulsioni sessuali e, da pochi anni, anche l’omosessualità non è più una malattia mentale.

La domanda che viene naturale porsi in conseguenza di questo è la seguente: perché la psichiatria continua a patologizzare il BDsM e mantiene il suo contributo ad ammantare di vergogna, segretezza, isolamento (e conseguente perdita di autostima) la comunità BDsM?

Più concretamente essa giustifica: leggi che criminalizzano il comportamento BDsM, decisioni legali che negano la custodia legale di minori a persone appartenenti al BDsM, discriminazioni in materia lavorativa e sociale e tanto altro ancora. Ecco perchè ritengo fondamentale affrontare questo problema con forza e decisione. Dopo una intera vita di lotte, la comunità omosessuale, è riuscita a far declassificare la propria condizione dalle patologie. Lungo sarà ancora il cammino perchè la società accetti questa realtà ma, questa, è un’altra storia. Quanto i vorrà prima che anche la comunità BDsM riesca ad ottenere un trattamento similare?

Personalmente io non mi nascondo e tutti coloro che mi conoscono sanno delle mie abitudini in questo campo. Solo dopo una serie di minacce spiacevolmente serie ho dovuto oscurare il mio volto dalle foto che ho pubblicato e cambiare la provincia indicata nel mio profilo. Negli ultimi tempi ho speso un monte di ore parlando e confrontandomi con uno dei fondatori e direttore dell’IPG Counselling Institute for Personal Growth nel New Jersey/New York psychotherapy center. Questa persona da 19 anni lavora con due dozzine di terapisti che hanno a che fare con le minoranze sessuali.

In questo modo ho avuto la possibilità di toccare con mano come la psichiatria ha danneggiato la gente e come i cambiamenti nelle teorie psichiatriche e nella nomenclatura diagnostica hanno contribuito a positivizzare i cambiamenti sociali e personali. Io ho ancora vividamente in mente il ricordo di lesbiche e gay che sono stati pesantemente discriminati ed inviati alle strutture pubbliche di assistenza semplicemente in virtù delle loro preferenze sessuali. Conosco personalmente casi di elementi a cui è stata revocata la potestà sulla prole poichè erano, per definizione, disturbati mentalmente; ed altri che “per una minigonna indossata fuori servizio” hanno perduto il lavoro venendo considerati persone disonorevoli. Ma, più di tutto, ho il chiaro ricordo di un pesante bagaglio di vergogna e sensi di colpa che investiva (ed, in parte, ancora investe) degnissime e stimabili persone solo perchè lesbiche o gay! Persone stupende che consideravano se stesse “patologiche” e quindi inferiori al resto della società. Per fortuna noto, con grande piacere, lo sbocciare di fierezza ed autoaccettazione crescente in ogni nuova generazione di “discriminati sessualmente”.

            Personalmente ritengo che questo processo possa anche acadere nei confronti della comunità BDsM ma è prima necessario che gli appartenenti a questo gruppo prendano coscienza di se e si accettino in toto per ciò che sono. Solo successivamente si potrà affrontare positivamente i professionisti della psichiatria.

            Iniziamo con il Diagnostic and Statistic Manual of the American Psyciatric Association che è praticamente la bibbia della salute mentale. La quarta edizione di questo tomo ci considera dei “Parafiliaci”. Cosa significa questo? Che noi siamo mentalmente malati semplicemente per ciò che  abbiamo nelle nostre fantasie. Non importa se poi lo mettiamo in pratica. Non importa come siamo ome persone nel resto della vita. Non importa come ci comportiamo in società o sul lavoro o in famiglia. Non importa se sotto ogni altro aspetto siamo “mentalmente sani”.

            Il DSM IV non è particolarmente logico nella sua classificazione dei criteri diagnostici per le parafilie. Alcune definizioni sono assolutamente ridicole: si è un feticista, per esempio, se si viene eccitati dalla biancheria intima in seta ma non se si prova eccitazione dall’uso di vibratori; in quanto i vibratori sono fatti specificamente per un uso sessuale mentre la biancheria intima non lo è!

            Altre definizioni sono semplicemente create per essere sia offensive che socialmente fuorvianti al tempo stesso: parte della definizione di sadico sessuale è “the person has acted on these sexual urges with nonconsenting person, or the sexual urges or fantasies cause marked distress or interersonal difficulty.”. Non l’ho tradotto proprio per evitare fraintendimenti. In altre parole: si è un sadico se rapisci e torturi qualcuno OPPURE se la/il propria/o compagna/o scopre che si hanno fantasie da dominante e per questo chiede il divorzio OPPURE si ci si sente in una situazione di stress perché si è stati avvisati che essere un sadico significa essere malati mentali!!!

            Inoltre, come la Chiesa Cattolica, anche il DSM IV non pone nessuna distinzione fra fantasia e comportamento...ancora, la difinizione di sadismo sessuale ci dice solo che si devono avere “ricorrenti, intense eccitanti fantasie sessuali...in cui la sofferenza fisica o psicologica...della vittima (sic) è sessualmente eccitante..”.

            Fra le altre cose, una definizione del genere include una percentuale talmente grande della popolazione da essere di fatto inapplicabile.

            Al di la di queste incongruenze logiche, il problema più serio con la classificazione psichiatrica della maggior parte dei nostri comportamenti come parafilie è che non ci sono ragioni logiche o giustificazioni per considerare le parafilie delle “malattie” mentali nella vita reale. Mi chiedo: dov’è il problema o il danno per l’individuo o la società (anche nella sua accezione più ampia) al di la dell’offesa alla sensibilità individuale di alcune persone? Si potrebbe discutere con ragione degli abusi sessuali o di tutti i comportamenti non consensuali ma il BDsM è consensuale per definizione.

Perchè continuare questa caccia alle streghe proprio nei confronti del BDsM?

Ne parleremo nella prossima puntata.

 
 
 

Welcome in shin-13

Post n°19 pubblicato il 01 Novembre 2007 da blooddragon
Foto di blooddragon

Like a bat appearing in the dark
As a knife that cuts in silence
As a grenade exploding with a roar

 
 
 

BDsM e Codice Penale (Parte Seconda)

Post n°18 pubblicato il 01 Novembre 2007 da blooddragon
 
Foto di blooddragon

   Il nostro amico Prof. ci ha fatto attendere ma ci ha anche regalato una gradita sorpresa: ci ha consentito di intervistare gli uomini politici che hanno portato in Parlamento la proposta di legge di cui parlammo l'altra volta.
   Ecco infatti qui di seguito la trascriione della stessa:
On FEDERICO PALOMBA, intanto grazie per averci ricevuto. Vuol'essere così gentile da illustrarci il suo punto di vista sulla proposta di legge cosiddetta "sulla tortura"? 
   "V
orrei esprimere poche considerazioni su questa proposta di legge, che introduce finalmente e doverosamente nel nostro ordinamento giuridico un'ipotesi delittuosa che non era prevista ed il cui inserimento mette il nostro ordinamento giuridico alla pari con quelli più moderni, rispondendo ad alcune direttive di carattere sovranazionale ed internazionale.
La scelta compiuta dalla Commissione nella formulazione di questo testo è asciutta e riduttiva non in senso negativo, ma nel senso che esso è stato davvero sfrondato di tante considerazioni che lo avrebbero potuto appesantire.
Con riferimento al complesso degli emendamenti presentati vorrei esprimere alcune considerazioni, in particolare sull'entità della pena edittale inflitta nel suo minimo.
La Commissione ha discusso a lungo sulla possibilità di prevedere una pena da un minimo di un anno sino alla pena massima di dodici anni, ma è sembrato che si trattasse di un'escursione troppo rilevante che avrebbe attribuito una discrezionalità eccessiva al giudice, dinanzi alla quale il principio di ragionevolezza avrebbe potuto portare la Corte costituzionale a ritenere questa escursione stessa non congrua.
Si potrebbe quindi arrivare ad una riduzione da quattro a tre anni, ma non ad un anno (su tale aspetto la Commissione è stata abbastanza ferma).
Una seconda considerazione riguarda la condotta materiale: in altri termini, ci si interroga se il delitto di tortura debba essere qualificato come un reato a condotta plurima, oppure possa essere definito anche solo come un delitto a condotta limitata o unica.
La II Commissione ha espresso al riguardo un orientamento abbastanza uniforme, poiché ha ritenuto che alla tortura sia connaturata una pluralità di comportamenti lesivi, i quali consistono in violenze, lesioni o minacce gravi: in tal senso, quindi, considero il testo presentato apprezzabile. Vorrei infatti osservare che, al contrario, parlare di «minaccia grave» potrebbe far pensare che anche un solo atto di minaccia, seppur grave, possa concretizzare il delitto di tortura. Ciò non è concepibile, poiché, come già affermato, alla tortura è connessa la ripetizione e la pluralità di atti.
Questo argomento, introduce tuttavia una terza considerazione, attinente non ad una proposta emendativa specifica, ma ad un aspetto che, pur non potendo essere preso in considerazione in questa fase, meriterebbe comunque attenzione in un momento successivo.
Infatti, il reato di tortura, così come è stato configurato nel testo all'attenzione dell'Assemblea della Camera dei deputati, si presenta come un delitto «finalistico»; in altri termini, l'obiettivo della tortura deve essere quello di convincere una persona a fare determinate affermazioni o ad astenersi dal commettere determinati comportamenti, oppure quello di punire in maniera vendicativa alcune condotte, ritenute negative, che si sono già verificate.
Ritengo tuttavia che, anche nell'accezione comune, si possa fare riferimento al concetto di tortura in tutti questi casi nei quali la commissione di un reato, nelle modalità concrete in cui si è espressa, vada al di là delle manifestazioni tipiche del comportamento.
Voglio dire, in altri termini, che esistono casi e situazioni nei quali, per commettere un certo reato (come, ad esempio, una violenza sessuale o un omicidio), non è necessario far premettere a tale condotta tipica altri comportamenti che, di per sé, sono rivolti ad infliggere gravi sofferenze alle persone.
Segnalo che su tale aspetto la Commissione giustizia ha ritenuto che non fosse questa la sede opportuna per presentare una proposta emendativa in tal senso, ed io stesso mi sono astenuto dal farlo. Credo, tuttavia, che si debba richiamare l'attenzione sia dell'Assemblea, sia dei componenti della stessa Commissione giustizia della Camera, sull'esigenza di introdurre, successivamente, un'ipotesi delittuosa che preveda l'inflizione di sofferenze inutili e soverchianti rispetto a quelle necessarie per commettere un singolo reato. Si tratta di un'ipotesi che oggi non è prevista, se non con delle attenuazioni di pena.
Per quanto riguarda poi cio che che a voi interssa maggiormente, io ritengo difficilmente applicabile l'articolo stesso poiché, di per se, mancano i presupposti di causalità e di fine."

Ringraziamo l'On. PALOMBA per il suo tempo e la sua cortesia e sentiamo cosa ha da dire, nel merito di questo articolo, l'On. SERGIO D'ELIA (Rosa nel Pugno):
"Ritengo molto importante il provvedimento in esame, anche perché abbiamo accumulato un ritardo di quasi vent'anni nell'adempiere ad un preciso compito, un dovere che il nostro paese si era dato nel momento in cui, nel 1988, ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. In tale Convenzione è prescritto che gli Stati membri parte della Convenzione debbano recepire nel proprio ordinamento la fattispecie di reato di tortura, il che con enorme ritardo stiamo - spero - realizzando.
È tanto più importante il provvedimento in esame quanto più consideriamo che si è aperto, a livello internazionale, negli Stati Uniti certamente, ma anche nel nostro paese, un dibattito sull'opportunità di introdurre, nell'ordinamento, una forma di tortura legalizzata.
La domanda se la sono posta fior fiore di intellettuali. Nel nostro paese, Angelo Panebianco a più riprese sul Corriere della Sera si è chiesto se tramite tortura noi possiamo acquisire informazioni utili, che possano impedire attentati terroristici o comunque atti criminali che metterebbero in pericolo la vita di molte vittime innocenti. La risposta di Panebianco è stata positiva: sì, lo possiamo fare, possiamo esercitare una forma di forza fisica, violando la sfera di intangibilità della persona, la sua integrità fisica - aggiungerei anche la sua dignità -, quando in gioco c'è un bene superiore, la sicurezza della nostra società o addirittura della nostra civiltà.
La stessa domanda, con identica risposta, se l'è posta negli Stati Uniti un campione dei diritti umani e dei diritti civili, l'avvocato Alan Dershowitz, il quale ha proposto nella lotta al terrorismo l'introduzione di una forma di tortura legale, proporzionata - lui dice - alla gravità del pericolo, regolamentata e soggetta alla giurisdizione, con un magistrato quindi che decide il limite di questa forma di pressione e di violenza, in quali casi si potrebbe applicare, quali forme di pressione psicologica e sofferenza fisica si potrebbero effettuare. Immagino lui pensi a quante ore di insonnia forzata, a quante scosse elettriche e in quali parti del corpo, a quanti litri di acqua e sale da far ingoiare oppure a quanti secondi immergere nell'acqua fino al limite dell'annegamento. Queste sono evidentemente le forme di tortura che si possono esercitare nei confronti di una persona, per farla confessare, per scongiurare un pericolo.
A me ciò sembra davvero una follia. Credo sia un'illusione, ma anche una tragedia, che si possa pensare di rispondere alle emergenze del nostro tempo, della nostra società - la mafia, il terrorismo o quant'altro - con tutto l'armamentario militaresco delle emergenze: le leggi speciali, i tribunali speciali, le carceri speciali ed oggi magari anche forme di tortura legalizzata. Penso invece che bisogna provare a rispondere in modo diverso, cioè con mezzi che prefigurino il fine che ci proponiamo e non con mezzi o comportamenti, che quel fine rischiano di pregiudicare e di distruggere. Leonardo Sciascia ricordava che la mafia - ma può valere anche per il terrorismo di oggi - si può combattere efficacemente non con la terribilità, ma con il diritto. Perché se il fine è la democrazia, la civiltà, la libertà, la giustizia e il diritto, i mezzi adoperati per conseguire quel fine devono essere coerenti con il fine stesso e quindi democratici, civili, giusti, rispettosi del diritto e dei diritti umani. La libertà dalla paura e dal terrore non si conquista con la paura e con il terrore. La forza e la sicurezza di uno Stato, di una comunità, stanno innanzitutto nel diritto. Ma cos'è il diritto, se non il limite, che noi decidiamo di porre - di imporre, direi - a noi stessi, al nostro sacrosanto senso di giustizia, di rivalsa ed anche di legittima difesa. E il limite è stabilito, a parer mio, proprio dalla inviolabilità, dall'intangibilità della sfera personale di una persona detenuta o comunque sottoposta a privazione della libertà.
Dall'introduzione di forme di tortura legale deriverebbero solo costi e nessun beneficio. Quale sarebbe l'immagine del nostro paese, o di un qualsiasi paese democratico, se appunto introducessimo forme di tortura legalizzata? Il danno per la civiltà giuridica di un paese sarebbe incalcolabile e l'effetto pratico poi assolutamente zero. Il terrorismo lo combattiamo con efficacia se lo Stato è forte, e lo Stato è tanto più forte se nel combatterlo non viene meno ai suoi principi fondamentali.
Per queste ragioni riteniamo di dover introdurre finalmente nel nostro paese la fattispecie del reato di tortura. La formulazione che oggi stiamo per approvare non è esattamente identica a quella che avremmo dovuto recepire, sancita dall'articolo relativo alla tortura presente nella Convenzione delle Nazioni Unite. A me sarebbe piaciuta più quella formulazione, perché non ricomprende soltanto i casi di tortura esercitati con forme di violenza o di pressione e minaccia fisica, ma anche quelle dettate dalle pressioni psicologiche e dalle condizioni in cui una persona detenuta è costretta a vivere.
Non si tratta di una discussione teorica: nel nostro paese esistono forme di carcerazione che vanno sotto il nome di «carcere duro»; in realtà, in base ad un articolo diventato legge ordinaria del nostro paese e del nostro ordinamento penitenziario, come il 41-bis, esistono sezioni in cui sono detenute persone che, per il solo fatto di essere, non dico condannate o rinviate a giudizio, ma anche solo indagate per reati di terrorismo o mafia, sono impedite nell'esercizio di diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti penitenziari. Nelle sezioni di cui al 41-bis si esercitano secondo il diritto internazionale, ma non secondo l'articolo sulla tortura che stiamo per approvare, forme di pressione psicologica, dettate dalle condizioni ambientali come la possibilità di avere solo un colloquio al mese, la presenza del vetro divisorio, la limitazione nella corrispondenza. Si tratta di forme per le quali - a parer mio - si esercita una pressione psicologica che rasenta la tortura.
Dal 41-bis si esce soltanto (e in questo caso interviene la letteralità dell'articolo sulla tortura sancito nel diritto internazionale) se si forniscono informazioni, se si collabora con la giustizia, se si decide di mandare in galera altre persone. Si tratta di una forma di tortura anche questa. Non stiamo discutendo di chi ha commesso reati (o magari di reati per cui si è solo indagati e non condannati), ma di che fine fa lo Stato di diritto quando tratta quelle persone come sta facendo. Non ritengo quindi evidentemente applicabile alla fattispecie di vostro interesse l'articolo in discussione anche perchè l'intenzione del legislatore è finalizzata agli ambiti precedentemente descritti. E' pur vero che, in ogni caso, sarebbe opportuno una discussione specifica sull'argomento anche se, a causa della sua intrinseca scabrosità, non sarebbe agevole nemmeno proporla in ambienti istituzionali."

 
 
 

Gli uomini pensanti sono i peggiori sovversivi.

Post n°13 pubblicato il 15 Ottobre 2007 da blooddragon
 
Foto di blooddragon

"Als die Nazis die Kommunisten holten,
habe ich geschwiegen; ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten,
habe ich geschwiegen; ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten,
habe ich geschwiegen; ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten,
habe ich geschwiegen; ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten, gab es keinen mehr,
der protestieren konnte."
Trad.:
"Quando i Nazisti arrestarono i comunisti,
io non dissi nulla; dopo tutto io non ero un comunista.
Quando incarcerarono i social democratici,
io non dissi nulla; dopo tutto non ero un social democratico.
Quando arrestarono i sindacalisti,
io non dissi nulla; dopo tutto non ero un sindacalista.
Quando arrestarono gli Ebrei,
io non dissi nulla; dopo tutto, io non ero un ebreo.
Quando arrestarono me, non cera rimasto più nessuno che
potesse protestare."

"Se una persona viene linciata per ciò che è o per ciò che dice, e ridotta con la forza al silenzio per aver espresso un'opinione, TUTTI siamo colpiti e tutti siamo più poveri." Henry David Thoreau

"Io posso non condividere ciò che dici ma sono pronto a dare la vita affinchè tu lo possa esprimere.".
Voltaire.

" La sola cosa necessaria affinchè il male trionfi è che gli uomini buoni non facciano nulla."
Edmund Burke

 
 
 

BDsM e Codice Penale (Prima Parte) 

Post n°12 pubblicato il 12 Ottobre 2007 da blooddragon
 
Foto di blooddragon

Sino ad oggi non molti si sono posti il problema della legalità del BDsM tagliando corto con ragionamenti del tipo: “Siamo due persone adulte e consenzienti che fanno un po’ quello che gli pare all’interno della loro casa.”.

In linea di principio dovrebbe essere così ma ...c’è un ma. Non è proprio del tutto vero nella pratica.

Analizziamo in breve la situazione, almeno per grandi linee, e concentrandoci solo sugli aspetti che potrebbero essere correlati a fatti che concretamente potrebbero presentarsi, senza vagare per la sterminata landa della legislazione italiana.

Prima fattispecie: stiamo giocando e la sub si fa male. Così male da dover ricorrere all’intervento del personale sanitario.

A prima vista potrebbe sembrare che la situazione sia abbastanza lineare: “Lei dice che era consenziente e non mi denuncia e la cosa finisce qui.”

Non è così, o, almeno, non del tutto. Se infatti alla nostra sfortunata amica danno una prognosi (cioè è guaribile in)  superiore a 20 giorni la querela di parte non serve nemmeno e si procede d’ufficio. In Italia poi c’è l’obbligatorietà dell’azione penale e quindi non abbiamo scampo, finiremo dritti dritti in tribunale davanti al giudice.

Che significa? Che noi non volevamo farle dl male, che lei non vuole denunciarci, che magari il poliziotto o carabiniere che abbiamo davanti non vorrebbe nemmeno mandare la notizia di reato alla Procura della Repubblica... ... ... ma che finiamo lo stesso tutti in Procura perchè si ritiene che infliggere un danno, che impiega più di 20 giorni a guarire, ad una persona sia un fatto grave; così grave che lo Stato prende in mano la situazione e dice: “Non mi importa se a te vittima va bene così, io voglio vederci chiaro.”.

Per dare un pò di elementi concreti a cui appigliarsi leggiamo gli articoletti del Codice Penale a cui ho fatto riferimento anche se poi, qualcuno, la cui ignoranza è superiore alla bontà Divina (e la bontà Divina è infinita), dirà: “ecco ha copiato il blog dal codice penale”.

Gli articoli trattati sono i seguenti e sono tratti del Codice Penale Italiano.

Art. 582 Lesione personale
Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, e' punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.
Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto e' punibile a querela della persona offesa (1).
(1)Articolo cosi' modificato dalla L. 26 gennaio 1963, n. 24. Il secondo comma e' stato successivamente cosi' sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

Art. 583 Circostanze aggravanti
La lesione personale e' grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni:
1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacita' di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;
2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo;
3) se la persona offesa e' una donna incinta e dal fatto deriva l'acceleramento del parto (1).
La lesione personale e' gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:
1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;
2) la perdita di un senso;
3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacita' di procreare, ovvero una permanente e grave difficolta' della favella;
4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;
5) l'aborto della persona offesa (1).
(1) Numero abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 124.

Art. 585 Circostanze aggravanti
Nei casi preveduti dagli artt. 582, 583 e 584, la pena e' aumentata da un terzo alla meta', se concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall'articolo 576; ed e' aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall'articolo 577, ovvero se il fatto e' commesso con armi o con sostanze corrosive.
Agli effetti della legge penale, per "armi" s'intendono:
1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale e' l'offesa alla persona;
2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali e' dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.
Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti.

Qualuno un po’ più scafato potrebbe pensare di tentare di ripiegare sul colposo, decisamente più lieve. Ma purtroppo non è possibile in quanto li noi c’eravamo proprio per “fare del male” anche se poi l’azione è andata oltre la nostra volontà. Questa è la esatta definizione di un fatto preterintenzionale, ovvero che va al di la delle intenzioni. Peccato che ormai non sia più in uso. Delle due l’una: o si era li per tutt’altro ed accidentalmente abiamo fatto dei danni alla persona; o eravamo li per fare proprio quello, ed il fatto che siamo andati oltre le nostre intenzioni non sposta di un millimetro il problema.

Consideriamo quindi estremamente bene quello che stiamo facendo mentre lo facciamo perchè un semplice errore può costarci caro, molto più di quello che possiamo pensare.

Ora però veniamo al bello! C’è un disegno di legge che, se passasse così com’è, rischierebbe di rendere completamente illegale buona parte del mondo BDsM.

Lo riporto qui di seguito come è stato presentato e come, pare, verrà approvato.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    Nel libro secondo, titolo XII, capo III, sezione III, del codice penale, dopo l’articolo 613 sono aggiunti i seguenti:

    «Art. 613-bis. - (Tortura). – È punito con la pena della reclusione da tre a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali ovvero trattamenti crudeli, disumani o degradanti, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale.

    La pena è aumentata se le condotte di cui al primo comma sono poste in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio.        
    La pena è aumentata se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima; è raddoppiata se ne deriva la morte.     
    Non può essere assicurata l’immunità diplomatica per il delitto di tortura ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati da una autorità giudiziaria straniera o da un tribunale internazionale. In tali casi lo straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti a un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale vigente in materia. 
    Art. 613-ter. - (Fatto commesso all’estero). – È punito secondo la legge italiana, ai sensi dell’articolo 7, numero 5), il cittadino o lo straniero che commette nel territorio estero il delitto di tortura di cui all’articolo 613-bis».

 

Nel prossimo messaggio lo commenteremo con l’aiuto di un professionista del settore nonchè titolare della cattedra di diritto penale in una prestigiosa Università italiana.

 
 
 
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