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Post N° 503

Post n°503 pubblicato il 15 Gennaio 2008 da davide1985555


IDEOLOGIA FEMMINISTA : Maschi e femmine sono uguali e solo il contesto sociale che influisce.


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QUESTIONI DI SESSO E DI GENERE

di G.V. Caprara

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Gli psicologi evoluzionisti sembrano esserne convinti: c'è un'irresistibile forza del gene a riprodurre sè stesso. Ne deriva, come ovvia conseguenza, la tendenza del maschio ad inseminare più donne che può. Anche la donna ha il problema di riprodurre i propri geni. Per questo ha bisogno, sempre secondo gli psicologi evoluzionisti. di un partner fedele che la protegga durante la gravidanza e custodisca il più a lungo possibile la sua prole. Questa regressione all'infinito nell'eredità è suggestiva, fondamentalmente conservativa e in quanto tale rassicurante. Ma serve davvero appellarsi all'evoluzione per reclamare il diritto alla diversità quando si parla della personalità di maschi e femmine?

Libertà vs necessita
Il presidente Clinton è la delizia degli psicologi evoluzionisti. È infatti la testimonianza esemplare dell'irresistibile forza dei gene a riprodurre se stesso. La prova vivente dell'incontenibile tendenza del maschio a propagare i suoi geni e di conseguenza ad inseminare tutte le donne che può.
Secondo gli araldi della nuova dottrina è inevitabile che i grandi inseminatori abbiano avuto la meglio nel segnare la storia della specie e che il modo di risolvere i problemi riproduttivi abbia alla fine plasmato la personalità. Non sarebbe perciò sorprendente se l'interesse per il DNA del presidente Clinton andasse ben al di là dell'accanimento un po' crudele col quale si è dibattuto di un contatto sessuale più o meno appropriato.
Se effettivamente l'inseminazione del maggior numero di femmine è ciò che assegna un vantaggio evolutivo al maschio, si dovrebbe provvedere a rifornire le banche del seme non con quello dei grandi scienziati, come ingenuamente qualcuno ha suggerito in passato, ma con quello dei grandi "scopatori". La saggezza popolare, in fondo, si era già approssimata a quest'idea, quando recitava che «l'uomo porcello è tanto più bello».
Anche alle donne si è posto lo stesso problema di massimizzare le probabilità di riproduzione dei propri geni, ma la soluzione per loro è stata un'altra. Poiché la gravidanza è lunga e vulnerabile, alle donne è convenuto cercarsi compagni prestanti e fedeli, che prima assicurassero il buon esito del parto e poi evitassero di dissipare energie e risorse a vantaggio della prole altrui. Non so se sia vero quanto hanno riferito i giornali scandalistici ma, se lo fosse, il desiderio della signorina Lewinsky di avere una bambina dal presidente sarebbe del tutto naturale, non meno della gelosia della signora Clinton.
Gli argomenti degli psicologi evoluzionisti non sono da sottovalutare perché, al di là degli usi strumentali, quello delle differenze di sesso o di genere che essi ripropongono è un terreno su cui le mode teoriche vanno e vengono, ma i pregiudizi resistono, a dispetto delle battaglie e delle affermazioni di principio a favore della parità di dignità, opportunità, responsabilità di uomini e donne.
La regressione all'infinito nell'eredità è suggestiva, fondamentalmente conservativa e in quanto tale rassicurante. Vale perciò la pena di tentare di fare il punto della situazione, partendo dalle conoscenze che oggi abbiamo a disposizione, per approdare ad alcune lezioni di cautela che possiamo trarre dall'esperienza.
Maschi e femmine sono biologicamente diversi ed è inevitabile che anatomia e fisiologia influenzino la loro psicologia. La loro differenziazione biologica comincia al concepimento, continua con lo sviluppo del feto e si estende lungo tutto il corso della vita, in accordo con l'influenza decisiva che gli ormoni esercitano nello sviluppo delle strutture e nella regolazione delle funzioni che inequivocabilmente distìnguono gli organismi maschile e femminile.
Maschi e femmine hanno corpi diversi. Ancora menopausa e gravidanza sembrano essere prerogative femminili. Nelle nostre società le femmine sono generalmente meno vulnerabili alla nascita, anticipano il loro appuntamento con la pubertà, sono generalmente più longeve. Certo, non è solo la biologia a dettare il corso di questi eventi, ma sarebbe incauto sottovalutarne l'importanza, anche in un'epoca in cui la cultura estende pervasivamente la sua azione in ambiti che tradizionalmente erano il dominio della natura. È intuibile che le differenze tra maschi e femmine non possono essere solo fisiche, ma il corpo comunque reclama la sua parte.
Non è d'altro canto necessario appellarsi all'azione tanto lunga quanto difficilmente definibile dell'evoluzione della specie per reclamare il diritto alla diversità di maschi e femmine quando si affronta il discorso delle loro personalità. Nessuna tra le cause che stanno alla base delle differenze individuali è più ovvia e verosimilmente più pervasiva di quella legata al sesso, anche per tutto ciò che alle differenze sessuali si associa: pressioni sociali, attribuzioni di ruolo, rappresentazioni di sé. Il problema è, piuttosto, che quando dal corpo si passa alla personalità, dalle differenze fisiche a quelle psicologiche, nessuno sa rendere ancora pienamente conto di quelle diversità che tutti hanno la sensazione di intuire.
Di fatto, la natura lascia un'ampia discrezionalità alla cultura e agli individui stessi nel decidere che cosa fare del patrimonio di potenzialità che essa fornisce. I nessi tra morfologia e fisiologia, da un lato, e caratteristiche di personalità, dall'altro (abbracciando con questo termine il temperamento, il carattere e l'intelligenza), sono molteplici e, in condizioni di normalità, largamente flessibili. Vi sono infiniti modi di assecondare le richieste del proprio corpo e perciò di essere maschi e femmine, e tutti non indifferenti al contesto in cui si vive e alla storia di ciascuno. È stato perciò naturale che molti studiosi abbiano considerato con sempre maggiore attenzione i moventi e i meccanismi sociali che nel corso dello sviluppo orientano maschi e femmine ad adottare modi di pensare, sentire ed agire diversi, in conformità ai differenti ruoli assegnati a uomini e donne nei vari contesti ambientali.
Sesso e genere sono termini che il discorso scientifico impiega distintamente per riferirsi a differenze individuali che, in un caso, riflettono determinanti biologiche (cromosomi, gonadi, ormoni) e, nell'altro, determinanti psicologiche e sociali. Sempre più spesso si tratta di differenze sessuali quando ci si riferisce a proprietà e caratteristiche fisiche, mentre si tratta di differenze di genere quando ci si riferisce a proprietà e caratteristiche psicologiche. Si inquadrano dunque nell'ambito del discorso sulle differenze di genere gli sviluppi di quelle discussioni che in passato hanno affrontato il problema delle "differenze sessuali" nel caso dell'intelligenza e delle varie abilità cognitive, dei tratti di personalità e degli atteggiamenti sociali, della diversa vulnerabilità di maschi e femmine a varie forme di disadattamento sociale. Quello delle differenze tra maschi e femmine è un discorso che, nel corso degli anni, ha continuato a restare al centro dell'attenzione degli studiosi e ad accumulare straordinarie quantità di dati. È un discorso che ha oscillato tra opposte posizioni, acclamando indifferentemente il diritto alla diversità e alla similarità. È un discorso che ha però anche avuto il merito di denunciare tutta una varietà di false credenze, più o meno mascherate scientificamente, sulle ipotetiche inferiorità o superiorità dell'uno o dell'altro genere.
Ma è un discorso che tuttora può sembrare lontano, come prima accennavo, dal rendere ragione di ciò che tutti sembrano intuire. Quanto ci viene accordato dai test di intelligenza e di personalità, dagli esperimenti di laboratorio, dalle frequenze e dalle correlazioni dei vari indicatori di vulnerabilità può infatti apparire contradditorio.
Da un lato, l'assenza di sostanziali diversità in capacità e disposizioni attesta le pari potenzialità di maschi e femmine. Molteplici meta-analisi hanno sgombrato il campo dai vecchi pregiudizi sulla minore intelligenza delle femmine, sofisticati esperimenti hanno confermato la pari accessibilità di maschi e femmine ad una molteplicità di comportamenti e ruoli sociali che tradizionalmente erano ritenuti prerogativa degli uni o delle altre, mascolinità e femminilità si sono rivelati tratti di personalità il cui unico fondamento è culturale e ideologico. Dall'altro lato, sono stereotipi che ancora vengono avvalorati empiricamente quelli del maschio "più energico e aggressivo" e quello della femmina "più remissiva e sensibile". Ma vi sono notevoli differenze da contesto a contesto, resta discutibile l'esistenza di fasi specifiche di tipizzazione sessuale e ancor più problematica risulta l'esistenza di modalità universali.
Le statistiche criminologiche attestano la maggiore propensione dei maschi alle condotte antisociali, come d'altro canto gli studi epidemiologici confermano la maggiore vulnerabilità delle femmine alla depressione. Ma anche in questi casi vi sono considerevoli differenze relative al modo in cui gli stessi fenomeni si palesano, vengono riconosciuti e trattati, all'interno dei diversi contesti sociali e culturali, nei maschi e nelle femmine.
Per la maggior parte delle differenze tra maschi e femmine il peso della natura sembra assai meno decisivo di quello della cultura. Per non scomodare la biologia può bastare un minimo d'intelligenza sociale: è sufficiente guardarsi attorno, nella scuola, nei posti di lavoro, oppure accendere quella straordinaria macchina di significati, mode e prescrizioni sociali che è la televisione. Anche limitandoci al contesto culturale che ci è più familiare, sono evidenti i diversi trattamenti ricevuti da maschi e femmine, le differenti rappresentazioni sociali del maschile e del femminile, i differenti percorsi professionali che si raccomandano e si rendono più facilmente accessibili.
Verosimilmente, l'intreccio di relazioni di cui maschi e femmine vengono a far parte, le aspettative che gli uni e le altre suscitano e debbono assecondare, i ruoli che trovano e possono negoziare, segnano la strada che dalle potenzialità porta alle capacità, fanno da sostegno alle concezioni di sé e significativamente improntano il corso che uomini e donne possono imprimere alla loro vita.
Come per altri temi, anche per quanto riguarda le differenze tra maschi e femmine il pendolo della discussione non ha cessato di oscillare tra natura e cultura appellandosi indifferentemente all'una e all'altra. Gli anni Settanta si sono conclusi sotto il segno dell'androginia con la quale si reclamava per entrambi i sessi il diritto a condividere quanto in passato era stato loro differentemente precluso e riservato. Si reclamavano per uomini e donne qualità che tradizionalmente erano state privilegio degli uni (l'assertività) o delle altre (la tenerezza), al servizio della loro piena realizzazione nella sfera degli affetti e del successo. Negli anni Ottanta il movimento femminista, opportunamente, ha posto in guardia verso un'omologazione tra maschi e femmine che poteva finire col penalizzare entrambi.
Negli anni Novanta la psicologia evoluzionista ha riaffermato con nuovo vigore la diversità tra maschi e femmine, traendo i propri argomenti dalla riflessione sull'evoluzione della specie. Maschi e femmine sono diversi, affermano gli psicologi evoluzionisti, perché i problemi che hanno dovuto affrontare per la loro sopravvivenza e per la riproduzione della specie sono stati diversi. I maschi hanno mirato ad inseminare il maggior numero di femmine e hanno coltivato le arti della guerra per avere e preservare l'accesso alla maggior quantità e varietà di risorse, tra cui ovviamente le donne. Queste, al contrario, in ragione dei limiti naturali posti all'estensione della loro figliolanza, dalla lunga gravidanza e dalla sterilità che sopravviene coll'avanzare dell'età, hanno mirato a catturare e preservare uomini ricchi e prestanti, che fossero in grado di assicurare il sostentamento e la crescita dei loro figli.
Dai diversi problemi che maschi e femmine hanno dovuto risolvere, sempre secondo gli psicologi evoluzionisti, sono derivate differenti strategie di adattamento alla realtà, che la selezione naturale ha poi ben radicato in differenze biologiche. Non sarebbe perciò la cultura, ma la natura, a rendere gli uomini più assertivi e aggressivi, più infedeli e più sensibili al fàscino della bellezza e della giovinezza. Sarebbe d'altro canto la natura a rendere le donne maggiormente inclini alla tutela e più portate ad apprezzare soprattutto la solidità finanziaria dei maschi. Sarebbe ancora la natura a rendere ragione delle diverse espressioni della gelosia in maschi e femmine. Mentre gli uomini sarebbero soprattutto disturbati dall'idea di dover mantenere i figli degli altri, le donne sarebbero soprattutto preoccupate che le risorse dei loro compagni vengano distratte a favore di figliolanze altrui, a danno delle proprie.
Si tratta, tutto sommato, di argomentazioni non nuove. Argomentazioni che, per molti aspetti, sembrano riportarci indietro al tempo degli istinti e ad un'interpretazione ingenua dell'evoluzione e dei suoi meccanismi. Ma stupiscono il clamore che esse suscitano in larga parte della comunità scientifica ed il favore che incontrano nel grande pubblico, soprattutto negli Stati Uniti.
Sembra però improbabile che i criteri secondo cui ha operato la selezione della specie nel corso di migliaia di anni possano essere decifrati secondo un ragionamento ed un calcolo di utilità che può valere, o esser valso, in situazioni contingenti e che, inequivocabilmente, pare influenzato dalle categorie conoscitive e dalle esperienze della nostra cultura.
Mentre vi sono culture che solo in epoca recente hanno compreso pienamente i meccanismi attraverso cui opera la procreazione, la tecnologia (le analisi del DNA) si fa garante oggi della paternità tradizionalmente ritenuta incerta. Ma non vi sono dubbi che, ancora una volta, può essere più rassicurante appellarsi ai disegni della natura.
A lungo si è vantata la superiorità del maschio sulla femmina, con vari argomenti, non raramente mascherati scientificamente. Poi si è reclamata l'uguaglianza. Infine, si è acclamata la diversità nella parità di diritti ed opportunità, confidando nelle illimitate potenzialità di maschi e femmine. Gli psicologi sono stati complici dì tutto questo: quando hanno accreditato la minore dotazione intellettuale delle donne, quando hanno cercato nella natura le cause di differenze che stavano invece nella cultura, quando infine hanno smascherato gli errori dei loro predecessori indicando, nelle interazioni di natura e cultura e nelle proprietà autonome di ciascuna persona di partecipare al proprio destino, i luoghi dove indagare per cogliere i meccanismi del divenire e del sentirsi femmina e maschio.
Per il passato è verosimile la tesi di quanti, come la Eagly (1987), hanno sostenuto la diversa propensione di femmine e maschi rispettivamente a preservare le relazioni ("communion") e a perseguire le realizzazioni ("agency") in corrispondenza a determinate condizioni di vita, forme di organizzazione del lavoro e pratiche di socializzazione che indirizzavano nell'una o nell'altra direzione. Il futuro forse aiuterà a chiarire quel che c'è di vero nelle tesi dì quanti, come la Chodorow (1978), sostengono la maggiore propensione al maternage e perciò agli affetti delle donne sulla base della loro prolungata identificazione con la madre.
Certo è che le cose sono destinate a cambiare rapidamente in concomitanza del massiccio ingresso delle donne nel mondo del lavoro e del graduale riequilibrio tra componente maschile e femminile nelle diverse professioni e nelle varie posizioni di responsabilità.
Sarebbe tuttavia riduttivo ritenere che tutto dipenda soltanto dalla cultura e dal sociale. Anche nelle condizioni più avverse del passato vi sono state donne che con successo hanno sfidato le barriere sociali del loro tempo. Anche in culture convintamente maschiliste vi sono stati uomini che sono stati capaci di amare teneramente, di coltivare i propri affetti e di fornire modelli di accudimento esemplari. Evidentemente, natura e cultura impongono importanti condizioni, ma non bastano ad esaurire ciò che ognuno può trarre dalla propria condizione di maschio o di femmina.
Le due metà del cielo sono ugualmente attrezzate a rendere conto della notte e del giorno. Verosimilmente, nessun altro ambito di indagine sembra più promettente di quello delle differenze tra maschi e femmine per capire come natura e cultura operano sottilmente e di concerto nel determinare ciò che è unico di ciascuna individualità. Forse nessun altro settore di ricerca sembra più illuminante per capire quali sono i gradi di libertà che a ciascuno sono accordati nel farsi artefice del proprio destino.



Riferimenti bibliografici
Bandura A., Bussey K. (1999), Social cognitive theory of gender development, «Psychological review», in stampa.
Bonnes M. (1988), Mascolinità e femminilità. In G. V. Caprara (a cura di), Personalità e rappresentazione sociale, 190-217, Roma, La Nuova Italia Scientifica.
Buss D. M. (1995), Psychological sex differences: Origins through sexual selection, «American Psychologist», 50, 164-168.

Chodorow N. (1978), The reproduction of mothering: Psycho-analysis and the sociology of gender, Berkeley, University of
California Press. Eagly A. (1987), Sex differences in social behavior. A social role
interpretation, Hillsdale, n. j., Erbaum. Gilligan C. (1982), In a different voice, Cambridge, Harvard University Press.
Gould S. J. (1987), An urchin in the storm, New York, Norton.
Lips H. (1988), Sex and Gender, Mountain View, ca., Mayfiles Publishing Compagny.

Gian Vittorio Caprara è Ordinario di Psicologia della personalità alla Facoltà di Psicologia dell'Università «La Sapienza» di Roma. È stato Presidente dell'European Association of Personality Psychology, membro del Council of International Society of Research on Aggression e dell'Academia Europaea Study Group on Youth and Social Change e Visiting Professor of Personality Psychology and Social Psychology in numerose università statunitensi, tra cui Universìty of California, la Stanford University e l'Univeisity of Michigan. È attualmente Direttore del Centro Interuniversitario per la ricerca sulla genesi e sullo sviluppo delle motivazioni prosociali e anasociali.


 
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