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ricordi a Rhemes Notre Dame

Post n°17 pubblicato il 01 Settembre 2009 da quandotihovista

 

Sono qui, in cucina, sto provando un vecchio computer che ho fatto riparare e per la verità, per quanto vecchio, sembra funzionare bene. Ascolto della musica e le dolci note e la melodia di una canzone celtica, aprono il mio cuore e la mia mente ai ricordi, che ancora una volta mi aggrediscono e io mi lascio trasportare in un mondo che non c'è più, esiste solo nei miei ricordi, il mondo delle situazioni passate, trascorse con la serenità che ora posso chiamare col suo vero nome, la felicità di quei momenti è esistita veramente, anche per noi che abbiamo avuto sempre, non dico paura, ma una certa soggezione a pensare che la felicità potesse essere una situazione reale, riservata anche a noi, e l'abbiamo pensata piano, sottovoce, affinché si fermasse ancora un poco. Sto guardando le foto che ho scattato anche quest'anno; ci siamo tornati con ..(stavo scrivendo tua, ma con un sorriso mi sono corretto), nostra figlia, siamo tornati nella nostra valle, si, la solita, e non detto come una vuota consuetudine, ma solo perché è quella che avevamo trovato io e te, per caso, quando siamo tornati dal nostro viaggio di nozze. 

 Lo ricordi vero? Caspita che nevicata abbiamo trovato all'uscita del tunnel del Monte Bianco; erano anni che in quel periodo non nevicava così, ce lo hanno detto dopo, e invece solo per noi, in anteprima rispetto alla stagione invernale, un manto bianchissimo si stava depositando ovunque. Non ero preparato a guidare sotto la neve e poi la stanchezza del viaggio mi rendeva   meno lucido, così senza pensarci su due volte, ho seguito il tir che lentamente procedeva davanti a noi, e attorno alle due di notte siamo giunti fino alle porte di Aosta, abbiamo trovato alloggio nell'unico meublè ancora aperto. Una persona simpatica ma leggermente assonnata ci accompagnò nella camera. Decidemmo che ci saremmo fermati solo un paio di giorni, il tempo di riposarci e riprenderci dalla trasferta parigina. Così la mattina dopo, senza alcun riferimento preciso, iniziammo a girare per le valli, dalle più rinomate alle più isolate, trovando nei valdostani, quelli con cui entrammo in contatto, disponibilità  e simpatia. Dovevamo fermarci solo un paio di giorni, ma alla fine siamo stati bene, senza problemi , e ci  siamo fermati tutta la settimana. L'abbiamo girata in lungo e in largo, certo in modo superficiale e frettoloso, per quello che si poteva, ma quello che c'interessava lo avevamo già notato.  Quella mattina decidemmo di entrare in quel paesino, Villeneuve,  poi seguimmo la strada che saliva, ogni tanto attraversavamo qualche gruppo di case, superammo Introd, e arrivammo ad un bivio. E ora? La strada che saliva portava in Valsavarenche, scegliemmo quella che apparentemente si presentava pianeggiante e ci addentrammo nella Valle di Rhemes, la percorremmo tutta, anche qui attraversando villaggi che di tanto in tanto apparivano davanti a noi. Fino a Breuil, il capoluogo della valle, la strada era pulita e la neve era solo ai lati e potevamo procedere tranquilli. Ci lasciammo alle spalle anche quello che sembrava l'ultimo centro abitato della zona, un cartello ci segnalava che eravamo a  1724 metri. La strada saliva ancora, fino a quando, non  troppo lontano un tronco d'albero di traverso la interrompeva di fatto, impedendoci di proseguire oltre. Scendemmo dall'auto e proseguimmo a piedi, nella neve,  anche se non eravamo attrezzati, tu col tuo slam verde e le ballerine, io ero più organizzato,  avevo con me la giacca a vento e le mie inseparabili  scarpe da ginnastica. Era  tutto molto bello, ma lo strano è stato che in tutto il tempo non abbiamo incontrato nessuno, ma proprio nessuno, sembrava che avessero mandato via tutti per donarci quella valle incantata dove il silenzio la faceva da padrone e tutto era ovattato, sembrava che ci avessero trasportati  in un quadro lasciavamo le orme sulla neve candida che copriva ogni centimetro di terreno. C'innamorammo subito di quel posto e ci ripromettemmo di tornarci appena possibile, e così fu; negli anni seguenti siamo ci tornati da soli io e te, ci siamo tornati con nostra figlia, ci siamo tornati io e nostra figlia

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Quest'anno con noi è venuta una sua amica di nostra figlia, si conoscono da quando erano piccolissime e frequentavano l'asilo,  e io mi sono concesso qualche  camminata;ho scelto un sentiero né difficile né facile, non ho una meta definita, ho lasciato l'auto nel posteggio e da li sono risalito fino a Thumel, anziché andare per il rifugio Benevolo ho scelto quello che porta all'Alpe Vaudalettaz e sono sceso a sinistra fino al ponticello e mi sono addentrato nel bosco una prima parte di salita mi porta davanti al cartello che segna l'ingresso nel parco del Gran Paradiso, da li inizia un breve tratto apparentemente pianeggiante poi il sentiero si biforca e quello di destra porta anche al rifugio Benevolo; ho cercato di farlo ieri, ma il ponticello che mi avrebbe dovuto  consentire l'attraversamento del torrente è stato divelto dalla forza dell'acqua e una coppia che passava dalla parte opposta mi ha gridato che anche oltre il sentiero era interrotto e così sono tornato indietro.

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 Ho percorso nuovamente la parte comune del sentiero ma anziché imboccare quello del giorno prima mi avvio per il sentiero di sinistra, che porta all'Alpe di Vaudalettaz. Non mi sono posto mete, quando sono entrato nel bosco, non ho traguardi da raggiungere, ma solo di vivere la magia delle sensazioni di serenità che l'anima del bosco e della montagna riescono a trasmettere. Il sentiero sembrava salire dolcemente, ma è solo la prima impressione, ora si è mostrato com'è realmente. S'inerpica con ripidi tornanti, e sento il fragore dell'acqua che scorre impetuosa alla mia sinistra, ma non vedo nulla, se non a tratti, limpidissima e cristallina avvolge le rocce e le supera alzando nuvole di piccolissime gocce;  fiori bellissimi i cui colori sono messi in risalto dal gioco delle ombre e dalla luce che i raggi del sole riesce a fare filtrare attraverso i rami dei grandi alberi; qualche chiazza di neve che ancora resiste al calore estivo, ascolto le voci della vita visibile e invisibile del bosco e un grande silenzio mi accompagna nella salita. Mi sento di appartenere a questo bosco, alla natura, sono sereno e solo, proseguo il mio cammino. Dal basso sento delle voci, li vedo, sono in quattro, due ragazzi, una ragazza e un uomo più anziano, si vede che sono allenatissimi, procedono speditamente. Li riconosco, sono tedeschi, alloggiavano nella mia stessa pensione. Abbiamo fatto colazione alla stessa ora, erano in uno dei tavoli vicini al mio, e sono partiti prima di me a piedi, probabilmente fanno il giro delle valli. Mi fermo per lasciarli passare e tutti e quattro mi salutano in uno stentato italiano..buongiorno ..e io rispondo al saluto. Bella questa usanza del saluto in montagna, a significare, la scintilla che accende la fiamma della solidarietà, eccomi sono qui, se hai bisogno posso darti una mano. Com'erano arrivati sono spariti dalla mia vista e io sono di nuovo solo. Mi rendo conto di non essere più come quando frequentavamo insieme queste montagne, non sono più allenato, gli anni e le migliaia di sigarette bruciate, hanno fatto il resto, e sento la stanchezza di questa camminata. Utilizzo l’ultima mia risorsa, quella che mi è stata di grande conforto nei momenti difficili, e come uno sciamano, mi sono rivolto verso est e ho tracciato i tre simboli rivolto verso il Cielo, e come se l’anima del bosco e della montagna mi avessero folgorato, una nuova, rinnovata energia mi consente di riprendere la salita, ora l’archetipo della montagna non mi fa più paura e riprendo a salire. Mi manca poco per arrivare all’alpeggio, ma nostra figlia mia ha dato un limite di tempo, anche lei come te; è strano di come la piccolina, abbia vissuto alla tua ombra solo sei anni, ma ha i tuoi stessi atteggiamenti. Mi siedo su una roccia, prima di tornare indietro e lascio che i miei pensieri corrano, e mi faccio trasportare ad un tempo passato. Mi  tornano alla memoria le immagini di, quando frequentavamo i sentieri nei boschi di questa valle e tu mi dicevi stizzita. aspettami.. non mi dai il tempo di raggiungerti e già riparti ...fai come i cagnolini. Si, nei lunghi anni che abbiamo vissuto insieme, ho fatto come i cagnolini e per quanto mi sono concesso delle libertà non ti ho mai abbandonato e hai avuto la precedenza su ogni altro; sei stata per me uno dei riferimenti della mia vita e ho cercato di starti vicina nel migliore modo possibile, per come  la situazione mi ha consentito. Mi hai aiutato a crescere, anche durante la tua malattia, a mettere in pratica la proposizione che quel pretino il giorno delle nostre nozze, ci ha raccomandato con tanto fervore…nella buona e nella cattiva sorte, e tu mi hai fatto capire con la tua sofferenza,  che io non avevo altro modo per esserti d’aiuto nulla, di più che starti vicina. finché  morte non vi separi …

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