lo spazio del cuore
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Con il termine obbligo si intende comunemente l’azione che ci sentiamo di dover compiere nel rispetto di norme imposte dall’educazione, dalla cultura di appartenenza, dalla religione, dai valori di riferimento. Espletarlo soddisfa il nostro Super-Io, restituendoci un’immagine di correttezza e conformità alla regola; non adempierlo ci espone ai sensi di colpa e alla disistima.
Trasformare la nostra vita in una sequenza di obblighi è il modo sicuro per condannarci all’infelicità. L’obbligo è infatti la cartina tornasole della nostra irregimentazione a regole che ci imponiamo e che nel profondo percepiamo come coercitive, se non addirittura punitive. Entrare nella psicologia dell’obbligo traduce in costrizione ogni nostro atto. Per obbligo lavoriamo, ci comportiamo in un certo modo, diciamo alcune cose e ne tacciamo delle altre. Per obbligo arriviamo a imporci di divertirci, riposarci o andare in vacanza. Persino voler bene e fare l’amore, in una mentalità tutta improntata sul dovere, possono tramutarsi in obbligo! L’obbligo vincola la nostra coscienza e dettami forzati. La conseguenza più evidente di questa operazione è che finiremo per sentirci “a posto” con noi stessi solo quando rispetteremo la norma. E all’opposto, “sbagliati”, quando non la seguiremo. Effetto collaterale di tale atteggiamento esistenziale è la perdita di contatto con la nostra interiorità: più siamo infarciti di obblighi, più dimostriamo di essere “di testa”, in balia di credenze e convenzioni assorbite dall’esterno, che via via ci allontanano dai nostri desideri, dalle necessità profonde, dalla nostra vera natura. Rischiamo quindi di diventare esecutori perfetti di “ciò che si deve”, ma di essere sempre più infelici e frustrati. L’unico vero obbligo è realizzare se stessi. Il danno più grave di un modo di essere improntato sull’obbligo è comunque quello di perdere di vista l’unico dovere che noi in realtà abbiamo nella vita: realizzare la nostra essenza. Se nel “ciò che si deve” non mettiamo al primo posto questo comandamento, stiamo giocando male le nostre carte. Per accorgercene, facciamo attenzione a tutte le volte in cui ci sentiamo vittime delle cose che facciamo: se sono frequenti, qualcosa non và. Stiamo anche particolarmente attenti a certe “strane” stanchezze che non hanno una vera ragione d’essere, ma che ci rendono apatici, svogliati, senza sorriso: anche questo potrebbe essere un sintomo da non trascurare. L’obbligo ci candida al sacrificio e alla rinuncia. Se il dovere si fissa nella nostra mente come l’unico imperativo categorico, senza rendercene conto cominciamo a giudicare egoisti tutti gli atti volti a soddisfare in primis le nostre reali inclinazioni. E per vincere il disagio che il senso di colpa ci procura, ci obblighiamo a dimenticarci di nuovo di noi, rinunciando o sacrificandoci oltre misura. Questi atti di abnegazione, se da un lato mortificano la nostra vera natura, dall’altro rafforzano il nostro ego. Attenzione quindi: il soggetto che lamenta di avere troppi obblighi cui far fronte, spesso è quello che si sente “indispensabile” (in famiglia, sul lavoro, così come nelle amicizie) e in questo suo ruolo appaga il proprio bisogno di auto-affermazione. Anche se si duole per il carico di oneri, anche se vagheggia il tempo in cui, finalmente, potrà essere libero da tutto e tutti, in realtà sta abbarbicato al proprio dovere, perché il ruolo che sta incarnando gli garantisce potere sugli altri. Questo è il caso, per esempio, delle mamme-chioccia e casalinghe perfette che in questo modo controllano i figli, del capo che si ammazza di lavoro e non delega, della vittima che si sacrifica per gli altri e conosce solo il linguaggio del lamento. E l’elenco potrebbe continuare…
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