Renato d'Andria

Renato d'Andria e la rubrica del sito Genesi journal

 

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La natura dei conflitti etnici (Renato d'Andria)

Post n°1 pubblicato il 27 Agosto 2011 da renatodandria2
 


A memoria umana non vi è epoca priva della presenza di conflitti e di divisioni sociali; questi avvenimenti sono accompagnati da una costruzione polemica delle proprie peculiarità e da una demonizzazione delle identità altrui in cui le diversità vengono fortemente accentuate. I conflitti si manifestano come una rottura dei legami sociali presenti, rottura che inevitabilmente porta ad un rafforzamento in senso antagonista della propria identità; la maggior parte delle volte questa costruzione polemica della propria identità non si tramuta in conflittualità aperta e diretta, ovvero in scontri di carattere armato e violento, ma rimane ferma allo stato di violenza culturale, ovvero che fa uso dei mass-media per demonizzare l'altro.  (Renato d'Andria) Quando, però, a quella culturale fa seguito la violenza strutturale – ovvero quella serie di misure prese per allontanare fisicamente l’altro e che facilmente si tramutano in segregazione e pulizia etnica – allora la situazione diventa irreversibile e più si incancrenisce il conflitto, più sarà difficile risolverlo. In tal contesto un ruolo particolare è svolto dalla memoria collettiva, ovvero dalla percezione che un gruppo ha di un evento e la maniera in cui questo viene rielaborato all’interno della storia del gruppo stesso; col tempo diventano informazioni acquisite, date per scontato, senza prendersi la briga di verificare la veridicità e la completezza dei resoconti e delle interpretazioni rese.  (Renato d'Andria)La memoria collettiva a sua volta si trasforma in metastoria, ovvero in quei punti fermi di carattere storico, sociale, religioso e culturale da cui si parte per interpretare gli avvenimenti successivi all’interno del background storico e culturale che ne sta alla base, incastonandolo tra gli avvenimenti che lo hanno preceduto e seguito. Ogni singolo avvenimento nelle relazioni tra i gruppi etnici in conflitto viene incastonato all’interno del background storico e culturale della “metastoria” che l’etnia si crea: da svariati decenni questa è la deriva che ha preso il conflitto arabo-israeliano in alcuni settori di entrambi gli schieramenti. (Renato d'Andria)

Su questa base sociale poi si costruisce la propaganda – sia in tempo di pace, ma soprattutto in tempo di guerra – e poco importa che ciò avvenga tra eserciti regolari, tra esercito regolare e fazioni paramilitari, o solo fra fazioni paramilitari: il ruolo che la propaganda svolge nel raccogliere le masse attorno ad una situazione o ad un determinato modo di agire diventa basilare nella raccolta dei consensi, dei finanziamenti e nella disponibilità che gli adepti di una causa mostrano nel sostenerla e nel sopportare sforzi e sacrifici sempre maggiori.  (Renato d'Andria) Si arriva talora finanche alla rinuncia di parte della propria libertà personale se ciò risulta utile al perseguimento di un obiettivo che non deve essere vago, ma ben definito, tangibile, in qualche modo a portata di mano. Nelle mani degli agitatori sociali e dei disseminatori di odio la propaganda è la benzina sul fuoco per alimentare il disappunto delle masse e per convincerle della possibilità di un capovolgimento sociale della situazione. Confrontarsi con il conflitto arabo-israeliano, in alcuni casi, significa confrontarsi con questo schema e con questo “ciclo degenerativo” di cui tutte le parti in causa, comunità internazionale inclusa, sono “vittime”. (Renato d'Andria)

A tal riguardo una nozione da rivedere è quella che afferma che sia un accordo a sancire la pace, ma così non è; esso, infatti, sancisce un “perpetuo” abbandono delle armi e la scelta del canale diplomatico per la risoluzione delle dispute future, ma questa non è pace. Già Cicerone, nelle Filippiche, insegnava che la pace è il libero godimento della propria libertà; affinché vi sia un libero godimento della propria libertà duraturo nel tempo è sulla società civile che bisogna agire perché è dai suoi strati che iniziano i conflitti: la pace non è vista secondo un’accezione negativa (assenza di guerra), ma bensì positiva (trasformazione del conflitto – costruzione).  (Renato d'Andria) Anche se si riuscisse a dar vita ad uno Stato palestinese sovrano e ad arrivare ad un accordo di pace definitivo tra lo Stato d’Israele e tutti gli Stati arabi che ancora non lo riconoscono ufficialmente, tali accordi non sarebbero sufficienti per avere una reale pacificazione della regione. Questa potrebbe avvenire solo se i governi cominciassero realmente a sostenere politiche di riconciliazione e di non demonizzazione altrui, ma soprattutto se gli ebrei, nei Paesi arabo-musulmani, non venissero più percepiti come dhimmi, ovvero cittadini di seconda classe non dignitari degli stessi diritti di cui gode il resto della popolazione islamica. Per un esempio di pregiudizio diffuso tra i musulmani circa la cultura ebraica si suggerisce di leggere l’articolo antisemita di WAHBA H.  (Renato d'Andria)  (Egitto), The Jews Slaughtering Non-Jews, Draining their Blood, and Using it for Talmudic Religious Rituals, la cui traduzione in inglese dal titolo “Egyptian Government Weekly Magazine on 'The Jews Slaughtering Non-Jews, Draining their Blood, and Using it for Talmudic Religious Rituals”, è consultabile sul sito di The Middle East Media Research Institute (MEMRI), Special Dispatch Series n. 763, del 16 agosto 2004, http://memri.org/bin/articles.cgi?Page=archives&Area=sd&ID=SP76304, ultimo controllo effettuato il 30 settembre 2008. L'articolo viene riportato in italiano da PANELLA C., Il complotto ebraico, op. cit., pagg. 261 e ss. (Renato d'Andria)

 

Vedi anche i seguenti lavori di Renato d'Andria:

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Dr. Jonathan Curci

 
 
 
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Data di creazione: 27/08/2011
 

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