Rocche del Crasto
Cultura, politica, società, varia attualità a cura di Gaetano ZingalesCanto notturno
Avevo quindici anni
e m'immergevo
nelle fredde acque del laghetto fluviale
per fuggire dalla calura.
Frinivano le cicale
baciando le schiuse rosse labbra
dei fichi già saturi di raggi del sole.
Penetravo nel bosco di noccioli
odorando i germogli appena nati
mentre un fringuello
mi dava il benvenuto
col suo cinguettio.
Dopo il meriggio
nell'incipiente notturno silenzio
sotto la pergola penetrata dai primi raggi lunari
un antico volto rugoso
dal bianco pelo
raccontava di vetuste leggende di duchi
trucidati da feroci banditi.
Prima di congedarsi
quel saggio
elevava una preghiera
per la vergine fanciulla
precipitata nel baratro
di una profonda gola
sognando le dolcezze
del talamo
che il suo principe le portava in dono.
Mi sono tuffato in questo infinito spazio di ricordi
e rivivo le ore trascorse tra le tue braccia
in uno scambio di teneri baci
che l'amaro destino portò via
In un fuggir di tragici giorni.
Da allora sono trascorse
parecchie lune
il crine è imbiancato
ma nel mio giardino
m'inebrio ancora con il pungente alito
del gelsomino di Spagna.
Le rose di maggio
spandono la loro vermiglia bellezza
e aprono la corolla a novelle api
perché succhino il dolce nettare.
Policrome farfalle
danzano tra i verdi colori delle ginestre
e dei policromi oleandri usciti dalle nevi.
Sul maestoso pino
in un nido di merli
Il pigolio di piccoli nati
diffonde un coro assieme al canto di usignoli
e di giovani cardellini
saltellanti sui rami fragranti di resina.
Nella cocente solitudine della senescenza
m' accompagna
nell'alpestre romito,
la melodia di simili suoni
mentre le diapositive di tele
dei rammenti lontani
scorrono nella mente
non più verde
ma dialogante.
Sul modesto torrione
sventolano
il Tricolore
e la giallo-rosa Trinacria
guardiani estivi del mio arrancare
In questi molti anni.
Crocetta, 01/07/22
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Il romanzo della vita di un errante di Gaetano Zingales
Intervista di Nino Vicario
Questo libro, in risposta alle domande del giornalista, racconta istanti della mia vita e ricordi, depurati dagli avvenimenti "più delicati", fermandomi laddove sarebbe stato disdicevole addentrarsi.
Nel testo parlo di alcune condizioni e riflessioni inerenti il mio periodo di gestione, ma anche dopo, del comune di Longi, parlo di "amori"( coloro che hanno lasciato una traccia profonda nella mia vita) e di "amore" (quello verso la mia terra natia) . Ho aggiunto, anche, strofe intimistiche, che riguardano diversi miei stati d'animo durante la mia lunga esistenza perché pur esse hanno scandito i battiti del mio cronografo mentre essi accadevano. Tutto ciò fa parte integrante della mia storia di vita.
Il testo di alcune poesie "sensibili" è stato scritto in diversi periodi e fanno parte anch'essi della mia storia. La quale, verosimilmente, è stata caratterizzata da una personalità complessa e speciale ( così definita da altri personaggi che sono entrati in contatto, anche se per breve tempo, con me), i cui sentimenti erano mossi da un intimo, latente pathos, "quello spirto guerrier ch'entro mi rugge ", per dirla col Foscolo, nella ricerca del nuovo e dello sconosciuto futuro, attraverso il romanticismo dei sentimenti, la ricerca della serenità, l'incontro con i canoni della bellezza greca perfetta nelle forme e nel volto, seppure nel divenire estetico, moderno e contemporaneo.
La storia della mia vita non è bella a leggersi perché pochissimi sono gli avvenimenti lieti; ma, ripeto, è la mia storia.
Come in un revival, ho acceso un vecchio proiettore per fare scorrere nella mia mente, ancora lucida, malgrado il peso di parecchi anni sul groppone, le tante diapositive che hanno tipizzato il mio vivere, dall'infanzia ad oggi e che ho affidate alla sapiente penna del giornalista.
In precedenza ebbi ad affermare: quando una persona si avvicina alla fine del suo cammino, si siede su un virtuale grosso sasso e va col pensiero ai fotogrammi disseminati lungo la sua lunghissima strada. E' quello che idealmente ho fatto io con l'aiuto di NinoVicario.
Il mio vissuto è dedicato, anche, al mio paese natio, Longi, che, pur non essendomi stato concesso di viverci stabilmente, l'ho sentito a distanza, l'ho servito, quando vi sono stato chiamato, perchè profondo è il mio amore per la terra mia e dei miei avi.
Questo libro, come detto, è un mix di risposte alle domande dell'intervistatore, ma anche un corredo di documenti e di strofe, attinenti agli eventi descritti e che accompagna lo scorrere delle pagine.
Perché questo libro autobiografico? Non certamente per piaggeria personale , ma perché ritengo che una esistenza intensa, "avventurosa" e variegata, portandola a conoscenza di chi, curioso, volesse apprenderne la storia, potrebbe servire anche da maestra di vita per colui che inizia il suo giovanile cammino nel difficile percorso che lo attende.
G.Z.
Il romanzo della vita di un errante - Gaetano Zingales ( clicca)
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DEMENNA, QUALE CITTA'!
Alcuni anni addietro, l'insegnante della Scuola elementare di Galati Mamertino (Messina) - Plesso San Basilio, mi inviò l'elaborato molto interessante, che riporto qui sotto:
UN TEMA DI FLAVIA TRUGLIO
Classe IV A
"La frazione di San Basilio presenta aspetti etnici, architettonici, linguistici e storici che la contraddistinguono dal paese di Galati Mamertino.
A tutt'oggi, però, non è mai stata oggetto di particolare attenzione dal punto di vista della ricerca storica, né ci sono documenti ufficiali a cui fare riferimento. Vi sono, nella parte più antica della borgata, elementi strutturali e architettonici che meritano il dovuto approfondimento. Osservando i manufatti rurali si evidenziano le diverse influenze subite nel tempo da parte dei popoli che hanno vissuto in questi territori: greci, romani, arabi, normanni, ecc.
Secondo le ricerche svolte dall'Associazione "Qà làt", la storia della borgata parte da lontano. Dopo la sconfitta dei Sami e dei Melensi ad opera dei Persiani, si verificarono dei fenomeni migratori verso le coste del Tirreno nella Sicilia settentrionale.
Si presume che alcuni gruppi di Sami e di Melensi si siano insediati nell'Alta Valle del Fitalia; in dialetto, infatti, questa località è denominata "Sammasili" che può essere ricondotto al termine "Sami". La parte più antica della borgata è formata da nove quartieri.
La tradizione popolare, in un "cuntu", narra che "C'era 'na vota nu re chi aveva novi figgi...". Ad essi in eredità sono state assegnate nove località: Bolu, Baruni, Massari, Pititti, Jalini, Mulisa, S.Lucia, Parperi, Misirri.
Alcuni di questi quartieri hanno subito profonde trasformazioni nel tempo e altri sono in stato d'abbandono, per questo occorre rivalutarli e mantenerne viva la memoria storica."
Da notare che nel testo si parla di una presenza greca. Non voglio approfondire il discorso circa l'assunto che vi abitarono altri popoli, tra cui i saraceni, della cui colonia presente in quel sito nutro molti dubbi in quanto essi evitavano di convivere con quelle comunità di religione cristiana con le quali entravano in forte conflitto. Si, però, ad una presenza greca (i demenniti provenivano dalla Grecia); si, ad una presenza romana (i bizantini facevano parte dell'Impero romano d'oriente e venivano intesi "Romani). Tranne che non si voglia far risalire la nascita della contrada ai tempi della conquista romana (d'occidente) Il galatese Gaetano Drago scrive di Ducezio che conquistò e fondò Calacta.
Ovviamente, si ad una presenza normanna.
Uno studioso di Galati Mamertino ebbe a comunicarmi che antropologicamente i sambasiloti sono diversi dalla gens galatese in quanto la struttura morfologica del volto e del cranio non hanno riscontro con quella degli abitanti del centro. Ed allora?
Quando i fuggiaschi dalla distrutta Demenna oltrepassarono la cresta dei monti per ripararsi dalla crudeltà saracena, trovarono rifugio, dividendosi in gruppi, nei centri che daranno successiva vita ai paesi di Longi e di Frazzanò. Altri, invece, si rifugiarono ad Alcara li Fusi, mentre alcune storie tramandate oralmente raccontano che un gruppo di demenniti riparò nelle contrade che poi assunsero la denominazione di San Basilio. In effetti, alcuni tratti morfologici, relativamente alla struttura ossea facciale di questa popolazione sono simili a quelli di quei longesi e frazzanesi, che vantano la loro discendenza dall'antico popolo greco fuggito dal Peloponneso: i lacedemoni. Parliamo di persone il cui colorito della pelle volge al brunastro.
Con l'occasione di questo argomento, desidero parlare di Demenna e mi voglio soffermare sulla sua esistenza per confutare il contenuto di un recente documentario, il quale , andando dietro ad alcuni studiosi, afferma che quella città sarebbe da individuarsi nell'antica Aluntium.
Se fosse vero, perché nessuna traccia dell'insediamento della Demenna peloponnesiaca è stata rinvenuta assieme ai resti archeologici romani, di cui, però, c'è visibile traccia nella S.Marco d'Alunzio odierna?
Inoltre, a volo d'aquila da S.Marco alla Rocche del Crasto di sud-ovest, cioè sopra il Piano Miglino, rammento che esiste una zona denominata "U chianu du cori": in greco "kwrh, cioè kore" ( non ho la tastiera greca) che significa centro della città, quindi cittadella dove gli abitanti si rifugiavano in caso di pericolo o attacco da parte dei nemici; lì vicino, a poca distanza , sulla parete rocciosa ci sono dei graffiti che riproducono un antico legno a vela che serviva per solcare il mare (un ricordo della patria lontana dalla quale i lacedemoni dovettero emigrare; sin d'allora la Sicilia è stata terra che ha ospitato emigranti fuggiaschi dai paesi di oriente ). Ed ancora, sono state trovate tracce di una battaglia, sulla Rocca Calanna, tra demenniti e saraceni, sul cui terreno sono stati trovati reperti. Ed altri luoghi che richiamano la presenza di questi popoli tra loro nemici, tra cui un sito denominato "cimitero dei saraceni", laddove un contadino scavando per arare il terreno si trovò dinnanzi ad una tomba che racchiudeva i resti di un uomo corpulento, un gigante, viene tramandato.
La presenza della roccaforte bizantina, sul Pizzo di S. Nicola, che ruolo aveva se non quello della difesa della città che si estendeva ai piedi del monte, in territorio alcarese? Presidio militare, che pur tuttavia non è servito a niente.
Illustri archeologici, dal sottoscritto condotti sul territorio di cui stiamo parlando, hanno confermato che, sotto quel terreno, esisterebbero antichi reperti archeologici.
Peccato che tombaroli nel passato abbiano asportato molti reperti.
Cito alcuni autori la cui testimonianza culturale viene riportata nel mio saggio "Tra Krastos e Demenna": il Morelli sostenne che "Demenna sorgeva a nord-ovest dell'abitato di Alcara, nella contrada denominata Lemina o Demina; Sebastiano Franchina asserisce che "...è evidente conferma che Demenna era presso Alcara ed a monte di essa: quasi certamente ad una quota di m. 1200...nel falsopiano addossato ai piedi del Pizzo Aglio; infine, il prof. Pippo Sirna, relativamente alla "Gola di Dimnas", teatro di una cruenta battaglia tra musulmani e bizantini, ha affermato che essa non era altro che la Stretta di Longi.
Tutti questi riferimenti certi sono riferiti e circoscritti a quel territorio delle Rocche del Crasto che abbraccia e si dipana da Alcara li Fusi; viene interessata la odierna Longi perché la loro fortezza, con presidio militare bizantino, era sopra Contrada S. Nicolò o Santu Petru dove inizialmente i fuggitivi ripararono.
Alcune considerazioni di natura storica e cronologica, relativamente ad Aluntium: i Romani conquistarono la Sicilia nel 241 a. C. e vi mantennero la loro presenza sino alla denuncia delle malversazioni del pro-pretore Gaio Verre, per mano di M.T. Cicerone che ce le trasmise attraverso le "Verrine "; e siamo nel 71 a.C. I lacedemoni ripararono in Sicilia nel VII secolo; la conquista islamica dell'isola ebbe inizio nell'827 ed intorno a quell'anno Demenna venne distrutta dai saraceni. Orbene, della presenza romana rimangono alcune vestigia, della città greca, nulla!
Per concludere, la città di Demenna, a mio parere e dell'illustre storico, il defunto P. Gaetano De Maria, non è esistita a S. Marco d'Alunzio, bensì nel territorio alcarese, confinante con quello longese, laddove era stato costruito il Paleokastro sul Pizzo di S.Nicola. In questo monte per difendere la città, sottolineo, e non nei dintorni di S.Marco d'Alunzio.
Sulla" vexata quaestio" hanno scritto, negli anni, in molti e si sono confrontati alcuni studiosi tra cui l'esimio avvocato Michele Manfredi Gigliotti, studioso santagatese, che in sintonia con l'illustre archeologo viennese, Ewald Kislinger, colloca Demenna a S.Marco d'Alunzio. M. M. Gigliotti ebbe a partecipare al convegno sull'argomento, tenuto dal sottoscritto e dal prof. De Maria al castello medievale di Longi. Ma non riuscimmo a convincerlo malgrado la ricca documentazione esibita. Con il prof. Kislinger ci siamo conosciuti in occasione di un convegno regionale celebratosi a Palermo, al quale regalai il mio romanzo "La leggenda di Demenna"; nel ringraziarmi, mi disse che era il primo romanzo scritto su quella città (e forse l'ultimo) e che lo avrebbe tenuto sulla sua scrivania nel suo studio presso l'Università di Vienna. A quell'evento culturale, ebbi l'onore di essere presente accompagnando il defunto professore Gaetano De Maria, il quale, da par suo, si confrontò con il Kislinger; era con noi anche il longese, professore Pippo Sirna.
Una domanda: sono state mai effettuate riprese aeree per una fotogrammetria del territorio tra Alcara li Fusi, e dintorni, sino al Pizzo di S. Nicola? Molti archeologici, utilizzando questa opportunità, hanno scoperto tesori dei millenni trascorsi, nascosti sotto terra. Perché non provare?
GZ
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Il mio zibaldone di racconti, poesie
Prefazione di Fabio Cannizzaro
Accadde prima, durante il
"Vemtennio"......................
Cu nasci tunnu non po' moriri quatratu
Una denuncia contro il male del mondo
Il sapore delle nocciole verdi
LE VETTE DEL PENSIERO DA "I CANTI DEL CUORE"
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AVEVO VENT'ANNI
Nel mormorio del sole albeggiante
sopra la cresta dei miei monti natali
mi giunge l'odore delle prime viole di campo
che penetra nella nicchia dei ricordi.
Ed il pensiero vola
a quell'imbrunire sui ciottoli del greto
del sereno rio
quando dissi a quel dono del creato:
"ti amo".
Fu l'ultima volta che baciai
quelle virginee labbra.
Poi
il travolgere degli eventi
seguì quei nostri vent'anni.
16 -05- 2021
GZ
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GIOVENTU'
Dove sei gioventù
quando ogni dì
sussurravo la parola
"t'amo"?
Dove sei gioventù
quando ogni dì
sulla sua ara sacra
offrivo sacrifici a
Venere?
Dove sei gioventù
quando con gli amici
di un tempo
svuotavamo i calici
in onore di Bacco?
Tristezza invade
quando il carico degli anni
schiaccia la vetusta vita
nell'immobile solitudine.
16 05 2021
GZ
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Talvolta un bacio è per sempre
Questa notte
una lacrima sfuggì all'aura vagante
ed ha bussato alla mia porta.
-Ti amo,
mi rispose una dolce voce.
-Non potrò scordare
il bacio che ci ha uniti
16 05 21
GZ
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Cessate il fuoco!
Pigolano sulla gronda
sopra il mio sconnesso giaciglio
gli uccelletti pronti all'amore.
Nell'avanzare di un tramonto
dubbioso di colori
la mia mano poggia
sui pensieri del mondo inquieto.
Galoppa il cuore
dinnanzi alle lacrime di bimbi
colpiti dal fuoco che viene dal cielo.
Affido alle piume
delle aure della notte
il mio peana per la loro
Libertà.
13 maggio 2021
GZ
Nella foto: la colomba della Pace di Picasso
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La comunicazione, baluardo di democrazia.
di Gaetano Zingales *
Insopprimibile è stata la voglia di sapere, sin da quando la specie umana si è evoluta nello stadio del cosiddetto "homo sapiens", peraltro quello attuale, e nel momento in cui sono stati inventati, il linguaggio, prima, e la scrittura, poi. Dagli antichi aedi, attraversando le varie epoche, si arrivò, per quanto riguarda l' Italia, al secolo XVII in cui nascono i primi "Fogli", al XVIII con le locali "Gazzette", ai fogli non periodici del 1800 ed , infine , ad iniziare dal 1900, ai quotidiani veri e propri.
Negli anni, a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale, ma anche immediatamente dopo, l'informazione cartacea veniva "utilizzata" da ceti più abbienti e dalla persone acculturate. Col progredire della cosiddetta globalizzazione, la informazione, evolvendosi attraverso strumenti informatici, si espanse anche alle fasce del ceto medio-basso. Ai cui appartenenti non necessariamente occorreva comprare un tabloid, in quanto i mass media ed i network, utilizzando la realtà virtuale e la rivoluzione di internet, arrivarono in ogni angolo del pianeta.
E' verosimile ritenere che, con siffatto innovativo evento di libera circolazione delle idee e delle informazioni, nei luoghi in cui la libertà consente di intessere libere relazioni - non condizionati ,quindi, da regimi autoritari - la democrazia può definirsi compiuta.
La comunicazione, quale mezzo di informazione, deve essere obiettiva, trasparente, nel rispetto delle cinque regole del giornalismo internazionale - chi, come, quando, dove e perchè - , ma , soprattutto, non può essere discriminatoria o di parte perchè in tal caso storcerebbe la verità.
Il cronista ha un'arma nelle mani, la penna, che deve saper gestire perché le parole sono pietre. Egli, professionalmente, vive camminando sul filo del rasoio, come suol dirsi, in quanto, avendo il dovere di far sapere ciò che è "bello e buono", ma anche ciò che di "brutto" ed illegale accade, quindi non solo di attualità socio-politica, corre il rischio di imbattersi in qualche querela per diffamazione. Ma se la notizia è quella giusta e racconta la verità, egli, il cronista, non ha nulla da temere: la legge gli darà ragione.
La comunicazione è, inoltre, uno strumento importantissimo nella Pubblica Amministrazione se si vuole che essa sia una "casa di vetro". Negli ultimi trenta anni, il Paese ha disciplinato la possibilità di accesso agli atti ed ai documenti della P.A., abolendo il segreto d'ufficio. Si è raggiunta, quindi, la trasparenza amministrativa attraverso la quale tutti i cittadini possono essere informati e chiedere il rilascio di copie di documenti agli atti della stessa.
Bandi di gara nei pubblici appalti, conferimento diretto di incarichi alla persona, quando previsti, regole chiare nei concorsi e negli arruolamenti di personale, precario e non, pubblicizzazione di sentenze della Magistratura sono atti che attengono alla trasparenza amministrativa ed alla conoscenza da parte del cittadino.
Nei comuni, con l'affissione di atti e provvedimenti dell'Amministrazione nell'apposito Albo Pretorio, esisteva già una forma di comunicazione ma che si è perfezionata con la creazione di specifici siti internet istituzionali, i quali, peraltro, sono entrati negli enti locali regionali e nelle branche delle varie Amministrazioni ed istituzioni dello Stato.
Oggi, parecchi personaggi , che amministrano la "res pubblica" hanno una propria pagina internet: anche questa è una forma di comunicazione, che arricchisce i momenti di democrazia partecipativa.
La tecnologia, la scienza, la ricerca, attraverso i "networking", le reti televisive hanno "informato" e fatti crescere, dal punto di vista della democrazia e della libertà, i popoli della terra.
La prossima tappa, probabilmente non lontana, sarà quella di dialogare con altri popoli, non necessariamente alieni, dell'Universo.
*già Giornalista Pubblicista
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C'ERA FREDDO, MA ERA FELICE
Dall'imo del vallone
sale la nebbiolina
verso gli alti monti imbiancati.
Ai cento colpi
assonnato un bimbo
col suo scaldino improvvisato
e con il bacio della mamma
è atteso dal buon maestro
sull'uscio
oltre il quale
egli
preparava gli
uomini del domani.
C'era freddo
ed un corto pastrano
copriva quel bimbo
con i calzoni corti
e le lunghe calze di lana
filate dalla nonna.
C'era freddo nella vallata
tanto freddo
ma nella sua ingenua adolescenza
era felice quel bimbo
di giocare con i compagnucci
con le palle di neve
e di ...creare un pupazzo
nella piazza deserta.
Poi,
il volo fuori dalla cinta
del borgo natio,
nido d'amore,
verso l'incognito destino.
19 04 '21
gz
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Il resto del mio cammino
Mi
giunge un messaggio
dal muto
convitato di pietra
per interrogare il silenzio
nel mio residuale cammino.
E'
la tua voce che più non odo
sono
le tue labbra che un sacello nasconde
è
il tuo cuscino freddo
accanto al mio.
12 04 '21
GZ
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Ode a Longi
Policroma tela stellata
nel grembo di contrafforte
di antica rocca
patria ritrovata
di lacedemone stirpe
da cui
Tu
discendi
sei l'estasi di chi approda
alle tue sponde.
Anche se mani sacrileghe
e venali hanno cancellato
l'antico retaggio
di architettoniche visioni
da mostrare
al colto ed all'inclita
rimani nella mia memoria
di fanciullo
il bello
del vecchio borgo.
Con i suoi vicoli a ciacata
con le lamiedde tra le case
ma anche dentro quelle vecchie
con il tetto formato da canne
eredità medievali.
Con le sue fonti
nei rioni
con i lavatoi
dove giovani fanciulle
cantando
lavavano i panni.
Con il suo teatro di pietra
dove mio padre ed i suoi compagni
dilettavano la gente
onorando la cultura.
Il vecchio Monumento ai Caduti
con la vasca di pesciolini rossi
il Vignalazzo
dove giocavamo
nascondendoci sotto i ficarazzi.
Impiantito sterrato
dove calciavamo
ed il fluire lungo il Corso
con grezze carrozzelle
su logori cuscinetti
da noi
meccanici in erba
realizzate su assi assemblate
con freni precari.
"Travu longu"
all'antico Serro
con notturne chianote
accompagnate da una
stonata chitarra.
Rammento
le povere case
senza cemento
dove regnava amore
ed un sereno defluire
del tempo
tra il razzolare di pulcini con la chioccia
sotto l'amorevole sguardo
della nonna.
Quante quartare rotte
sfuggite dal capo delle donne
dopo aver attinto
il prezioso liquido
presso le rionali fontane
h. 24.
Il primo bacio
adolescente
dal sapore di ciliegia
in quel buio "Ponte".
I cento colpi
di mezzodì
ch'io feci ripristinare
dopo lungo silenzio.
A te
vetusto paese
di leggende e di storia
questo canto d'amore
da un menestrello errante.
A voi
miei genitori
a voi
miei avi
giunga il mio bacio
nell'avello
ultima dimora
nel nostro montano borgo.
Tu
viandante
ammira le bellezze
che la natura ha sparso a piene mani
ovunque volgerai lo sguardo
o indirizzerai il tuo cammino.
Diapositive
che scorrono nella visione vivida
di quelle mura
che udirono
il mio primo "canto"
spandendolo nei vicoli
della mia
Longi.
Tu
residente ancora
che hai avuto la fortuna
di vivere in questa nostra
prediletta terra natia
amala
difendila dalle brutture
studia la sua storia
affinchè da essa
possa apprendere
il bello ed il brutto del suo passato
per farla vivere
nel tradizionalismo
di chi
la vuole bella ed amata.
26 03 '21
GZ
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Un mattino, un tramonto
Si posava sul ciglio della finestra
quell'usignolo mattiniero
destandoci con il suo canto.
.
Avanzava timido
il primo chiarore
che precedeva i raggi dorati
dietro la collina:
ed era il primo
di tanti baci del giorno.
Al tramonto
ascoltavamo il silenzio
della leggera brezza
che accompagnava il volo di passerotti
verso il notturno nido
e distesi sotto i noccioli
intrecciavamo parole d'amore.
Scorrerà la monotonia
dei giorni
ma quel concerto di fine estate
tra i monti amati
accompagnerà ancora
la stasi del mio lento vivere.
nel tuo perenne ricordo
01 04 '21
GZ
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Il buio intorno
Isolato
va il mio cammino
tra aspre rocce
in sconnesso suolo.
Vaga il pensiero
tra le onde dei ricordi
e sprofonda nella voragine
delle realtà perdute.
Non ha senso
la bruma che viene dal mare
per spegnere le fiamme
nel mio essere.
Lontano dalla mia Itaca
con Odisseo nella procella
annaspo cercando
nel gelo del nulla
la tua mano.
Su l'indomito Pegaso
ho cavalcato nelle praterie
cercando il vero,
ispirato dal Pessimista Giacomo
ho scritto sui muri
il mio canto d'amore,
con un'antica vestale di Afrodite
baciai cento petali
ma il mio compagno
fu l'Orfeo orbo della sua
Euridice.
Zoppo
solco la terra
prima di accedere nei gironi
del Sommo Poeta
inciampando in lapidi sparse
senza nome.
30 03 '21
GZ
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Ode a Giò
Son cento giorni
che non odo più le tue parole.
Nel tuo letto di dolore
t'han tolto pure l'unico filo
che ci teneva uniti
nell'obbligata lontananza
per questa invasione
d'un nemico sconosciuto.
Ho saputo che la tua vita
è appesa al filo della Parca
a cagione della tua grave condizione
per un impossibile intervento
su un nefasto male.
Potessi almeno venire a trovarti
per guardarti negli occhi
per accarezzare la tua mano
per un lieve bacio
per parlarti ancora d'amore.
Ma la mia salute non consente
il lungo viaggio
e, poi, c'è questo maledetto virus.
Non so se tu ed io
potremo tornare a guardare
insieme il mare di Cefalù.
A proposito
oggi sono andato a respirare
la salsedine
mentre la serena onda
veniva a riva.
C'era una giovane coppia
sulla battigia
distesa al sole vespertino
sulla rena ancora fredda:
discutevano
e di tanto in tanto si abbracciavano
così
dolcemente
per scambiarsi un fuggevole bacio.
Ricordi?
Anche noi ascoltavamo
"u scrusciu du mari"
nel notturno arenile sul Tirreno.
E parlavamo
di quando ci siamo conosciuti
nella giovane età
dei tuoi vent'anni.
I lunghi viaggi per stare insieme
qualche giorno
od anche poche ore
come in quel san Valentino gelese.
Il distacco imposto
il lungo silenzio
e, poi, ritrovarsi
dopo oltre trent'anni
con il tremolio delle gambe
ed uno strano dolore addominale.
Poteva essere
la realizzazione di quell'incompiuto sogno
interrotto su quella piazza della tua marina,
che uccidemmo, o io non volli.
Dopo lunghi anni di silenzio
ti ritrovai
e abbiamo vissuto insieme
a tratti, lungo sei anni,
che quel maledetto covid interruppe.
Ora siamo qui,
tu che non sai se tornerai
a cantare e sorridere
tra le tue pareti,
io, malato e stanco,
da non sapere se potrò ancora
vedere la mia residenza di montagna.
Vorrei tanto ricevere tue buone notizie
vorrei poterti parlare per dirti:
"coraggio, amore mio, ce la farai".
Affido alla brezza del vento
la carezza di un bacio
perchè solo lui nel sereno etere
può venire a deporlo
sulle tue labbra.
18 03 '21
Poi, invece:
Non ho mai amato nessuna come te.
Metti un cuscino accanto
al tuo bel volto:
dormiremo insieme nel
"paradiso perduto".
26 03 '21 ,h. 19,30
T.
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Freddo.
Era primavera imbiancata
quando incontrai
i tuoi vent'anni.
Sul quel sasso
spogliavamo insieme
la margherita
con la fine
"t'amo".
Nevica
su quel sasso
e sul mio volto sepolcrale
dal bianco crine.
C'è tanto freddo
nel mio cuore
mentre il vento siberiano
ti sta portando via
verso l'infinito
silenzio.
Ma dormiremo insieme
su un cuscino di
bianche margherite.
23 03 '21
GZ
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Dove sei, spirito vagante?
Strappavamo
insieme i chicchi sull'uva
ancora tra i filari
e le nostre labbra si toccavano
in quell'autunno sul far della notte.
Sulla paglia di un casolare di montagna
passavamo le notti.
Dopo, un'alba così
non spuntò mai più.
Come il cieco Aedo
vagabondo
interrogo
le nude rocce
gli avelli solitari
la cima degli olmi
che ascoltano le vibrazioni dell' infinito
le onde del rivo
che s'infrangono su lisce rocce
chiedendo a ciascuno
le chiavi del tuo cuore.
Un turbine maligno
in notte di tempesta
le ha sepolte
nell'antro delle anime dolenti.
18 03 '21
GZ
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UNITI VERSO LA VITTORIA
L'aria è ammorbata
e gli unguenti scarseggiano,
i nuovi “monatti”
sono allo stremo.
Cadono
nella fossa comune del mondo
colpiti dalla freccia avvelenata
potenti e plebei.
A migliaia
vengono espulsi dagli opifici
e manca il soldo
per sopravvivere.
I signori dei laboratori
cercano il lucro
si attiva la malavita
ed intanto il microbo pestifero
s'insinua nelle carni
senza riguardo di alcuno.
Dicono di luce
al fondo del buio tunnel:
le loro lenti erano rotte.
Le forze alleate
devono sferrare
il decisivo attacco
contro le falangi della morte.
Risorgeranno le nazioni
e tornerà il sorriso
per invadere ogni angolo
di questa terra.
10 03 2021
GZ
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MEMENTO
Oggi sono andato sulla nostra spiaggia
ed il mare volgeva
verso un speranzoso verde.
Ma tu non c'eri
su quello scoglio
a farti baciare dal sole.
Il male avanzava
nel tuo corpo
già muto.
Piansi!
28 2 '21
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Il dolore degli ultimi
Nessun antro o romitorio
nessuna impenetrabile foresta
o Atlantide sommersa
ha mai ospitato
il tempio della
Felicità
e sprofondano
negli abissi degli oceani
le polveri pregne
del grido di dolore
degli ultimi.
Ha perso la Bilancia
la dea Dike
mentre percorreva
il cammino per approdare
su questo Mondo
nel sito della Giustizia.
Fiumi di miliardi
per andare su Marte
ma neppure un dollaro
per coloro che dormono
sotto i ponti
per coloro che desiderano
una ciotola di riso
per quei bimbi abbandonati
nel deserto di fatiscenti villaggi
dove ovunque è povertà.
Il felice (si fa per dire)
figlio di Creso si dà ai baccanali
mentre le sventurate creature di Penìa
mordono la polvere
impastandola con le loro
lacrime.
Nelle cellule del
Destino è prevalso
il Male
sui pochi atomi
del Bene.
Sarebbe stato preferibile che
un buco nero
avesse inghiottito
quel brodo primordiale
anziché abortire
l'impalpabile dispensatore
di dolore.
22/02/2021
GZ
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