Rocche del Crasto
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Ricorrendo la nascita dell'Unità d'Italia
I NOVANTA GIORNI DI GARIBALDI IN SICILIA
Prima parte
LA PARTENZA DA QUARTO
Il 6 maggio Garibaldi partí con 1.089 avventurieri da Quarto sui vapori Piemonte e Lombardo, concessi dal procuratore della compagnia di Raffaele Rubattino, un tale G.B. Fauché, affiliato alla loggia "Trionfo Ligure" di Genova. Le due navi erano state acquistate con un regolare atto segreto stipulato a Torino la sera del 4 maggio alla presenza del notaio Gioacchino Vincenzo Baldioli tra Rubattino, venditore, e Giacomo Medici, in rappresentanza di Garibaldi, acquirente. Garanti del debito furono il re Vittorio Emanuele II e Camillo Benso conte di Cavour, come da accordi avvenuti il giorno prima a Modena con Rubattino, presenti anche l’avvocato Ferdinando Riccardi e il generale Negri di Saint Front, appartenenti ai servizi segreti piemontesi e che avevano ricevuto l’incarico dall’Ufficio dell’Alta Sorveglianza Politica e del Servizio Informazioni del presidente del Consiglio. La spedizione era, dunque, organizzata consapevolmente e responsabilmente dal governo piemontese. I "mille" provenivano per oltre la metà dalla Lombardia e dal Veneto, poi, in ordine decrescente, vi erano toscani, parmensi, modenesi. Tra costoro vi erano 150 avvocati, 100 medici, 20 farmacisti, 50 ingegneri e 60 possidenti. Quasi tutti stavano scappando da qualcuno o da qualcosa, spinti soltanto dal desiderio di avventura e di saccheggi. Il giorno 7 Garibaldi arrivò nel porto di Talamone, vicino ad Orbetello, dove venne rifornito dalle truppe piemontesi, comandate dal maggiore Giorgini, di 4 cannoni, alcune centinaia di fucili e centomila proiettili. Sbarcarono anche 230 uomini, comandati da Zambianchi, con il compito di promuovere una sommossa negli Abruzzi, ma subito dopo Orvieto, a Grotte di Castro, furono messi in fuga dai decisi gendarmi papalini. L’8 maggio Garibaldi fu costretto a ordinare che tutti rimanessero a bordo, dopo gli episodi di saccheggi e violenze che i garibaldini avevano fatto in Talamone. Successivamente, dopo aver imbarcato circa 2.000 "disertori" piemontesi, carbone e altre armi a Orbetello, scortato dalle navi piemontesi, ripartí il 9 maggio e sbarcò a Marsala il giorno 11.
LO SBARCO A MARSALA
Le due navi piemontesi furono avvistate con "ritardo" dalle navi borboniche. Erano in servizio in quelle acque la pirocorvetta Stromboli, il brigantino Valoroso, la fregata a vela Partenope (comandata dal traditore capitano Guglielmo Acton) ed il vapore armato Capri. Avvistarono i garibaldini la Stromboli e il Capri. Quest’ultimo era comandato dal capitano Marino Caracciolo che, volutamente, senza impedire lo sbarco, aspettò le evoluzioni delle cannoniere inglesi Argus (capitano Winnington-Inghram) e Intrepid (capitano Marryat), che erano in quel porto per proteggere i garibaldini. Solo dopo due ore il Lombardo, ormai vuoto, fu affondato a cannonate, mentre il Piemonte, arenato per permettere piú velocemente lo sbarco, venne catturato e rimorchiato inutilmente a Napoli. A Marsala parte della popolazione si chiuse in casa, altri fuggirono nelle campagne. I garibaldini, accolti festosamente solo dagli inglesi, per prima cosa abbatterono il telegrafo, poi alcuni si accamparono nei pressi della città praticamente vuota, mentre Garibaldi, temendo la reazione popolare si rifugiò con altri nella vicina isola di Mozia. Il governo borbonico, tramite il ministro Carafa, protestò il giorno 12 a Torino contro quell’inqualificabile atto di pirateria sostenuto dal Piemonte. Cavour dichiarò sulla Gazzetta Ufficiale che il governo piemontese era del tutto estraneo alle azioni dei "filibustieri garibaldini". Intanto in tutto il Piemonte, con l’appoggio proprio del governo sardo, erano state attivate le società operaie di mutuo soccorso, le dame della Torino bene e altre logge per raccogliere fondi per "l’eroica impresa garibaldina".
LA BATTAGLIA DI CALATAFIMI
Il giorno 13 Garibaldi, entrato in Salemi, dove il barone Sant’Anna aveva affiancato i suoi "picciotti" all’orda garibaldina, si proclamò dittatore della Sicilia. Nel frattempo il governatore Castelcicala spingeva all’azione le forze duosiciliane, comandate dal generale Landi. Costui, con circa tremila uomini ai suoi ordini, inviò da Alcamo il giorno 14 un solo battaglione verso Calatafimi, con l’ordine di non attaccare il nemico e, se attaccato, di ... ritirarsi. Il maggiore Sforza, comandante dell’8° Cacciatori, con sole quattro compagnie, incontrò il giorno 15 i garibaldini e non poté fare a meno di assalirli. I garibaldini, che ebbero trenta morti, vennero sgominati e tentarono di rifugiarsi sulle colline, ove furono inseguiti dallo Sforza. In quel mentre il generale Landi, invece di inviare altre forze per il completamento del successo, ordinò la ritirata senza neanche avvisare lo Sforza, il quale avendo terminate le munizioni fu costretto a riportare i suoi verso il grosso che si stava incredibilmente allontanando. Ne seguí un caos indescrivibile, un po’ perché la truppa non riusciva a capire il motivo della ritirata, un po’ perché qualche sfrontato garibaldino, tornato indietro, si era messo a sparare sulla retroguardia duosiciliana. Il giorno 17 il Landi, dopo aver fatto fare inutili giri alle sue truppe, si ritirò incomprensibilmente in Palermo. Ad Alcara Li Fusi i sovversivi scatenarono una violenta rivolta, durante la quale furono depredati ed assassinati molti civili. Garibaldi, per scopi demagogici e per calmare la situazione, decretò l’abolizione della tassa sul macinato e sui dazi. Il comportamento del Landi fu comprensibilissimo, quando si scoprí che aveva ricevuto dagli emissari carbonari una fede di credito di quattordicimila ducati come prezzo del suo tradimento. La cosa piú incredibile fu che al Landi non fu mosso alcun rilievo e fu solo sostituito nel comando dal generale Lanza.
L’INGRESSO A PALERMO
Il porto di Palermo, intanto, si affollava di navi straniere, tra cui il vascello inglese Annibal che arrivò il giorno 20 con a bordo l’ammiraglio Rodney Mundy. Questi ebbe molti colloqui con il Lanza nei giorni successivi. Lo stesso giorno Garibaldi istituí il "Comitato per il sequestro dei fondi per le esattorie" a cui avrebbero dovuto far capo tutti i sequestri di danaro necessario per alimentare le sue bande.Nel frattempo i continui solleciti di Francesco II per assaltare gli invasori costrinsero il Lanza all’azione. Inviò il giorno 21 due colonne militari, una formata dal 3° battaglione estero, comandata dal maggiore Von Meckel, e l’altra formata dal 9° Cacciatori, comandata dal maggiore Ferdinando Beneventano del Bosco (nella figura a fianco), per un totale di tremila uomini e quattro obici da montagna. Un primo scontro avvenne verso Partinico, ove circa mille "filibustieri" furono rapidamente messi in fuga dal Meckel. In questo scontro vi morí Rosolino Pilo. Il resto delle bande garibaldine, con lo stesso Garibaldi, si rifugiò sul monte Calvario, due miglia sopra il Parco, ove si trincerò. Il Meckel invece di attaccare subito, aspettò inopinatamente per due giorni l’arrivo d’altre truppe, chieste al Lanza, per circondare completamente i ribelli. Arrivarono, invece, e solo il giorno 23, appena due battaglioni al comando del colonnello Filippo Colonna. Il giorno successivo, al primo attacco dei borbonici, le orde del Türr si sbandarono e Garibaldi, quasi circondato, fuggí fortunosamente nella notte con il resto verso Corleone. I garibaldini poi si divisero in due gruppi al quadrivio di Ficuzza, uno con il Garibaldi si diresse per Palermo, ove sarebbero stati sicuramente protetti dal Lanza e dalle predisposte sommosse carbonare, l’altro al comando di Orsini prese la strada per Corleone. Ad inseguire Garibaldi furono i reparti di Von Meckel, mentre le truppe di Bosco inseguirono l’Orsini. L’Orsini si era attestato con i suoi a Corleone, ove fu immediatamente investito dal Bosco che, con un rapido e violento assalto, disintegrò le bande, eliminandole definitivamente dalle operazioni belliche. Il Meckel, intanto, aveva inviato velocemente parte delle sue truppe con il Colonna a posizionarsi al ponte delle Teste, poco fuori Palermo, per tagliare la strada ai filibustieri. A Palermo, il Lanza, che aveva lasciate a bella posta praticamente sguarnite le porte S. Antonino e Termini, ordinò al Colonna, che non aveva ancora fatto in tempo a posizionarsi, di entrare in città e di acquartierarsi, cosicché quegli ingressi rimasero difesi solo da 260 reclute. Garibaldi, rinforzate le sue bande con altri tremila e cinquecento uomini raccolti nella delinquenza siciliana, nella notte tra il 26 ed il 27 maggio assalí Palermo proprio attraverso la porta S. Antonino, prevalendo facilmente sulle poche truppe borboniche. Il quel momento il Lanza disponeva di circa sedicimila uomini, i quali su suo ordine erano stati rinchiusi nei forti di Quattroventi, Palazzo, Castellammare e Finanze. All’ingresso dei garibaldini nella città, le truppe duosiciliane, invece di essere impiegate a massa, furono impiegate a piccoli gruppi che furono facilmente sopraffatti, anche perché disturbati dal cecchinaggio dei sovversivi palermitani.
(continua)
Da < http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Altre/Prima.htm>
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