C'ERA UNA VOLTA.....

ed ora non c'è più

 

RICORDI

Il sole colpisce il mio viso,
settembre di fuoco
lascia il mio cuore vivo
sotto la cenere dei miei sogni..

Non voglio nemmeno scriverti,
pensarti, sotto la pioggia
come una stupida
che cerca la luce dell’amore..

Forse anche l’oceano,
ha smarrito la sua strada
e sulle onde dei tuoi capelli,
ricorderò la neve di marzo,
custode della primavera del mio amore.

 

 

RICORDI

Il sole colpisce il mio viso,
settembre di fuoco
lascia il mio cuore vivo
sotto la cenere dei miei sogni..

Non voglio nemmeno scriverti,
pensarti, sotto la pioggia
come una stupida
che cerca la luce dell’amore..

Forse anche l’oceano,
ha smarrito la sua strada
e sulle onde dei tuoi capelli,
ricorderò la neve di marzo,
custode della primavera del mio amore.

 

 

STRELITZIA

 

NON TORNERAI

 

Tremano le foglie,
le mie vuote mani,
cadono le speranze
e tu scompari nell’infinità
di questa notte che non tornerà.

Non tornerà la notte,
con le sue cicale
e le sue luci.

Non tornerai tu,
danzano le tue parole,
ridono i tuoi occhi,
rimani immobile
nella traccia di ricordi che hai lasciato
sulla strada del mio cuore.

 

 

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AMORE PERDUTO.....

Post n°162 pubblicato il 06 Giugno 2009 da flavia_53

"Quando più chiudo gli occhi,allora meglio vedono,
perchè per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;
ma quando dormo,essi nei sogni scorgono te,
e,oscuramente luminosi,sono luminosamente diretti nell'oscuro.
Allora tu,la cui ombra le ombre illumina,
quale spettacolo felice formerebbe la forma della tua ombra
al chiaro giorno cn la tua assai più chiara luce,
quando ad occhi senza vista la tua ombra così splende!
Quanto,dico,benedetti sarebbero i miei occhi,
guardando a te nel giorno vivente,
quando nella morta notte la tua bella ombra imperfetta,
attraverso il greve sonno,su ciechi occhi posa!
Tutti i giorni sono notti a vedersi,finchè non vedo te,
e le notti giorni luminosi,quando i sogni ti mostrano a me."

W.SHAKESPEARE

 

 

 
 
 

VIOLETTA.....del pensiero

Post n°161 pubblicato il 01 Giugno 2009 da flavia_53

immagine diponibileCampanella d'argento, del convento

qui presso: voce di lontana infanzia
è in quel fresco tinnire, che mi giunge
or si or no nell'ore più raccolte
della giornata, e meglio all'alba, quando
mute sono le strade e muto è il cielo.
Torno bambina: ho la treccia al dorso, asciutte
gambe di capriola, occhi ridenti
pieni d'aprile: vo con la mia mamma
a messa, per viuzze ancor nel sogno
del primo albore, colme d'un silenzio
abbandonato, che sol rompe un'eco
di campanella: - oh,mai non fosse, mamma,

venuto il giorno a dissipar quell'alba.                        

LA CAMPANELLA DI ADA NEGRI

 

 
 
 
 
 

IL GATTOPARDO

Post n°159 pubblicato il 31 Maggio 2009 da flavia_53

 

Il libro inizia con questa frase: "Nunc et in hora mortis nostrae. Amen".

Come detto il Gattopardo si ispira alla vita dell'antenato dello stesso autore, che nel romanzo prende il nome di Don Fabrizio Corbera, Principe di Casa Salina, e della sua famiglia tra il 1860 e il1910, in Sicilia (a Palermo e nel feudo agrigentino di Donnafugata, che altro non è che il paese di Palma di Montechiaro).

Don Fabrizio è padre di sette figli ed è esponente di un casato che per secoli "non aveva mai saputo fare neppure l'addizione delle proprie spese e la sottrazione dei propri debiti". Il principe possedeva forti inclinazioni alle matematiche; aveva applicato queste all'astronomia e ne aveva tratto sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private. Ma un'altra passione erano anche le donne: di fatti la moglie, Maria Stella, era solita subire crisi isteriche quando sapeva del marito e delle amanti che frequentava. I pensieri di Don Fabrizio oscilleranno sempre tra eros e thanatos, amore e morte, pensieri sensuali e pensieri fortemente negativi e disillusi. All'inizio del primo capitolo si parla di un cadavere rinvenuto nel giardino di Casa Salina “il cadavere di un giovane soldato del quinto battaglione cacciatori, che ferito nella zuffa di san Lorenzo contro le squadre dei ribelli era venuto a morire, solo, sotto un albero di limone. Lo avevano trovato bocconi nel fitto trifoglio, il viso affondato nel sangue e nel vomito, le unghie confitte nella terra, coperto di formiconi; e di sotto le bandoliere gl'intestini violacei avevano formato pozzanghera.”

Nel maggio 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, Don Fabrizio assiste con distacco e con malinconia alla fine del suo ceto. La classe aristocratica capisce che ormai è prossima la fine della sua supremazia: infatti approfittano della nuova situazione politica gli amministratori e i mezzadri, la nuova classe sociale in ascesa. Don Fabrizio, appartenente ad una famiglia di antica nobiltà, viene rassicurato dal nipote Tancredi, che, pur combattendo nelle file garibaldine, cerca di far volgere gli eventi a proprio vantaggio. Quando, come tutti gli anni, il principe con tutta la famiglia si reca nella residenza estiva di Donnafugata, trova come nuovo sindaco del paese Calogero Sedara, un borghese di umili origini, rozzo e poco istruito, che si è arricchito ed ha fatto carriera in campo politico. Tancredi, che in precedenza aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la figlia maggiore del principe, si innamora di Angelica, figlia di don Calogero, "bocca di fragole e anfora colma di monete" che infine sposerà, abbagliato sicuramente dalla sua bellezza, ma attratto anche dal suo patrimonio.

È Tancredi, nel comunicare al Principe la decisione di unirsi alle truppe piemontesi, che dice la famosa frase: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!" A questo punto Don Fabrizio comprende che non bisogna opporsi al cambiamento imminente.

Un episodio molto importante riguarda il plebiscito a Donnafugata, nel quale si domanda al popolo di votare in favore o meno all'annessione della Sicilia al Regno Italico. Molti cittadini chiedono a Don Fabrizio un parere, egli risponde di essere favorevole e perciò suggerisce di votare "si". Questa indicazione, coerente con le convinzioni maturatesi in Don Fabrizio sull'opportunità di non opporsi al nuovo regime, viene però interpretata da alcuni come un gesto machiavellico: sarebbe sciocco da parte del principe votare in favore, perderebbe il potere. Altri invece, delusi dal pensiero di Don Fabrizio, non vogliono passare sotto un altro regime, preferendo, secondo l'antico proverbio, "un male già noto a un bene non sperimentato". Tuttavia ogni tentativo di opporsi è vano: i voti negativi vengono annullati da Don Calogero Sedara.

Un altro episodio significativo è l'arrivo a Donnafugata di un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia. Il principe però rifiuta, sentendosi troppo legato al vecchio mondo siciliano. E cercando di raccontare al suo ospite la capacità di adattamento che i siciliani, sottoposti nel corso della storia all'amministrazione di molti governanti stranieri, hanno dovuto giocoforza sviluppare. E anche la risposta di Don Fabrizio è emblematica: "...E dopo sarà diverso, ma peggiore."

La vita del principe da allora prosegue in modo monotono e sconsolato, fino alla sua morte che lo coglie in un'anonima stanza di albergo nel 1883, mentre tornava da Napoli, viaggio intrapreso per sottoporsi a visite mediche. Nella sua casa rimarranno le tre figlie nubili, inacidite da una vita chiusa e solitaria.

Curiosamente, anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì in una modesta camera d'albergo, lontano da casa, in un viaggio intrapreso per cure mediche.

 

 
 
 

tavolata di bambine!!!!

Post n°158 pubblicato il 30 Maggio 2009 da flavia_53

Immagine diponibile

 
 
 

FELICITA' ........

Post n°157 pubblicato il 27 Maggio 2009 da flavia_53

"Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un'esistenza felice,
la più grande è l'amicizia"
Epicuro

immagine disponibile

 
 
 

Stelvio Cipriani - Anonimo Veneziano

Post n°156 pubblicato il 26 Maggio 2009 da flavia_53

 
 
 

AMORE ANTICO

Post n°154 pubblicato il 25 Maggio 2009 da flavia_53

immagine disponibile

 
 
 

RENZO E LUCIA

Post n°152 pubblicato il 24 Maggio 2009 da flavia_53

I protagonisti sono Renzo e Lucia, due giovani il cui desiderio di unirsi in matrimonio sarà bloccato dal prepotente Don Rodrigo, signorotto locale invaghito di Lucia. Don Abbondio, il curato che deve celebrare il matrimonio, è minacciato da due suoi sgherri (i cosiddetti bravi). La mattina successiva Renzo si reca dal curato che inizialmente gli dice, usando parole in "latinorum" per confonderlo, che il matrimonio non potrà essere celebrato; successivamente è costretto a rivelare la vera causa dell'impedimento: Don Rodrigo. Per un caso fortunato, Lucia sfugge ad un rapimento ordinato da don Rodrigo e con l'aiuto di Fra Cristoforo si rifugia a Monza, in un convento. Qui la potente suor Gertrude la inganna, e permette che venga rapita dagli uomini di un criminale, l'Innominato, a cui si è rivolto don Rodrigo. Portata al castello dell'Innominato, Lucia è inquietata e spaventata, per questo motivo fa voto di castità alla Madonna pregandola di farla uscire sana e salva. Inoltre, la giovane donna riesce a commuovere l'animo di quell'uomo, instillando nel suo animo germi di rimorso che, dopo una notte angosciosa, l'indurranno a chiedere perdono al cardinale Federigo Borromeo. Grazie alla nuova disposizione d'animo dell’Innominato, Lucia è libera e, più avanti, viene ospitata nella casa di don Ferrante a Milano. Nel corso di questi avvenimenti Renzo, che ha raggiunto Milano, viene coinvolto in una protesta contro la mancanza di pane e sta per essere arrestato, ma la folla lo aiuta a fuggire. Riesce poi ad arrivare a Bergamo e a trovare ospitalità e lavoro presso un cugino, Bortolo. Intanto agli orrori della guerra si aggiungono quelli della peste: le truppe mercenarie dell'esercito imperiale, i lanzichenecchi, diffondono il contagio. Renzo e Lucia si ammalano ma riescono a guarire. Finalmente dopo tante tragiche vicende, i due promessi sposi si incontrano nel Lazzaretto di Milano, il luogo dove vengono portati i malati di peste e dove Renzo, disperato, è andato a cercare Lucia. Con l'aiuto di frate Cristoforo, che scioglie il voto alla Madonna, fatto in precedenza da Lucia, i due innamorati possono coronare il loro sogno. Alla fine, però, i due riusciranno a sposarsi solo quando don Rodrigo morirà di peste ed il suo successore sarà un marchese conosciuto per la sua benevolenza. Si stabiliscono, infine, in un paese del Bergamasco e la loro vita diviene “da quel punto in poi, una delle vite più tranquille, delle più felici e delle più invidiabili”. Renzo acquista con il cugino una piccola azienda tessile e Lucia, aiutata dalla madre, si occupa dei figli. Le peripezie hanno insegnato a Lucia che non basta essere buoni e pii per tenersi al riparo dal male, Renzo, invece ha appreso che bisogna confidare nel futuro e non aver fretta di farsi giustizia da sè. Nel dialogo finale dei due protagonisti emerge la concezione manzoniana di provvida sventura: il dolore può farci crescere, renderci più consapevoli, e prepararci ad una "vita migliore".

"Questo matrimonio non s'ha da fare..."
Renzo e Azzecca-garbugli

La vicenda è ambientata in Lombardia tra il 1628 e il 1630, al tempo della dominazione spagnola. I protagonisti sono Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due giovani che vivono in un non identificato paesino nei pressi del Lago di Como, allo sbocco del fiume Adda (forse Pescarenico, forse Olate, forse Acquate, oggi sobborghi di Lecco). Ogni cosa è pronta per il loro matrimonio quando un signorotto del luogo, il potente Don Rodrigo, scommette con il cugino Attilio che riuscirà ad impossessarsi di Lucia. Perciò il curato del paese incaricato a celebrare il matrimonio, don Abbondio, durante la sua solita passeggiata serale, viene minacciato da due bravi di don Rodrigo, affinché non sposi i due. Spaventatissimo, don Abbondio cede subito. Il giorno dopo imbastisce delle scuse a Renzo per prendere tempo e rinviare il matrimonio, approfittando della sua ignoranza.

L'incontro tra fra Cristoforo e don Rodrigo

Renzo però, parlando con Perpetua, donna che si prende cura di don Abbondio, capisce che qualcosa non quadra e costringe il curato a rivelare la verità. Si consulta così con Lucia e con la madre di lei, Agnese, e insieme decidono di chiedere consiglio a un avvocato, detto Azzecca-garbugli, che però si rivela essere in malafede. Così si rivolgono a padre Cristoforo, loro "padre spirituale", cappuccino di un convento poco distante. Fra Cristoforo decide di affrontare don Rodrigo, e si reca al suo palazzotto; ma il signorotto accoglie con malumore il frate, intuendo il motivo della visita; il frate tenta di farlo recedere dal suo proposito, ma viene cacciato via in malo modo.

La notte degl'imbrogli e de' sotterfugi

Intanto Agnese propone ai due promessi un matrimonio a sorpresa, pronunciando davanti al curato le frasi rituali alla presenza di due testimoni. Con molte riserve da parte di Lucia, il piano viene accettato, quando fra Cristoforo annuncia il fallimento del suo tentativo di convincere Don Rodrigo. Intanto don Rodrigo medita il rapimento di Lucia, e una sera dei bravi irrompono in casa sua, che però trovano deserta: Lucia, Agnese e Renzo sono a casa di don Abbondio per tentare di sorprenderlo, ma falliscono, e devono riparare al convento di fra Cristoforo, perché frattanto vengono a sapere del tentato rapimento.

La fuga

I promessi giungono al convento di padre Cristoforo, il quale espone loro i suoi progetti. Infatti ha già deciso di far fuggire Renzo e Lucia, rispettivamente a Milano e a Monza e ha già scritto due lettere, una al padre Bonaventura del convento dei cappuccini di Milano e l'altra alla monaca di Monza per fare in modo che questi ospitino i due fuggitivi. Quindi, dopo aver pregato anche per don Rodrigo, i due si incamminano per poi separarsi il giorno dopo.

L'Addio ai monti
La fuga in un'illustrazione dell'edizione del 1840

Secondo quanto padre Cristoforo ha preordinato, Renzo, Lucia e Agnese scendono alle rive dell'Adda e salgono su una piccola barca. Qua i pensieri di Lucia sono trascritti dal Manzoni in pochi paragrafi, tuttavia riassumono perfettamente lo stato d'animo dei personaggi. Si ha un climax di sentimenti, la malinconia si fa sentire molto forte e suscita nel lettore un moto di compassione verso i personaggi. È certamente uno dei passaggi più celebrati del romanzo, per il suo carattere emotivamente intenso e altamente poetico dal punto di vista narrativo.

I tumulti di Milano

Renzo, a Milano, non potendo ricoverarsi nel convento indicatogli dal padre Cristoforo, dato che padre Bonaventura è in quel momento assente, rimane coinvolto nei tumulti scoppiati in quel giorno per il rincaro del pane. Renzo si fa trascinare dalla folla e pronuncia un discorso dove critica la giustizia, che sta sempre dalla parte dei potenti. È tra i suoi ascoltatori un birro in borghese, che cerca di condurlo in carcere ma Renzo, stanco, si ferma in un'osteria, dove il birro viene a conoscenza, con uno stratagemma, del suo nome. Andato via costui, Renzo si ubriaca e fa nuovi appelli alla giustizia con gli altri avventori. L'oste lo mette a letto e corre a denunciarlo. Il mattino dopo Renzo viene arrestato ma riesce a fuggire e ripara a Bergamo, nella Repubblica di Venezia, da suo cugino Bortolo, che lo ospita e gli procura un lavoro. Intanto la sua casa viene perquisita e viene fatto credere che sia uno dei capi della rivolta. Nel frattempo il conte Attilio, cugino di don Rodrigo, chiede a suo zio, membro del Consiglio Segreto, di far allontanare fra Cristoforo, cosa che il conte ottiene dal padre provinciale dei cappuccini.

L'Innominato
L'Innominato

Don Rodrigo chiede aiuto all'Innominato, potentissimo e sanguinario signore, che però da qualche tempo sta maturando una crisi di coscienza. Costui fa rapire Lucia da Egidio, con la complicità di Gertrude (la monaca di Monza), sua amante, e Lucia viene portata al castello dell'Innominato. Lucia, terrorizzata, prega e supplica l'Innominato di lasciarla andare via e lo esorta a lasciarla libera e a redimersi dicendo che "Dio perdona molte cose per un atto di misericordia". La notte che segue è per Lucia e per l'Innominato molto intensa. La prima fa un voto di castità alla Madonna perché la salvi e quindi rinuncia al suo amore per Renzo. Il secondo trascorre una notte orribile, piena di rimorsi, e sta per uccidersi quando scopre, quasi per volere divino (le campane suonano a festa in tutta la vallata), che il cardinale Federigo Borromeo è in paese. Così la mattina si presenta in chiesa per parlare con il cardinale (famosa la frase con cui Manzoni riassume la grandezza d'animo dell'Innominato nel gesto della conversione "Era quell'uomo che nessuno aveva potuto umiliare e che s'era umiliato da sé"). Il colloquio sconvolge l'Innominato, che si impegna a cambiare vita e per prima cosa libera Lucia, che viene ospitata presso la casa di Don Ferrante e Donna Prassede, coppia di signori milanesi amici del Borromeo. Intanto il cardinale rimprovera duramente don Abbondio per non aver celebrato il matrimonio. Poco dopo scendono in Italia i lanzichenecchi, mercenari tedeschi che combattono nella guerra di successione al Ducato di Mantova, che mettono a sacco il paese di Renzo e Lucia e diffondono il morbo della Peste. Molti, tra cui don Abbondio, Perpetua e Agnese, trovano rifugio nel castello dell'Innominato, che si è fatto fervido campione di carità.

La peste

Con i lanzichenecchi entra in Italia la peste: se ne ammalano Renzo, che guarisce, e don Rodrigo, che viene tradito e derubato dal Griso, il capo dei suoi bravi (che non godrà dei frutti del suo tradimento, contagiato anch'egli dalla peste). Don Rodrigo viene portato dai monatti al lazzaretto dov'erano gli altri appestati. Renzo, guarito, torna al paese per cercare Lucia, preoccupato dagli accenni fatti da lei per lettera a un suo voto di castità fatto quando era dall'Innominato, ma non la trova, e viene indirizzato a Milano, dove apprende che si trova nel lazzaretto appestati. Qui trova anche padre Cristoforo, che scioglie il voto di Lucia e invita Renzo a perdonare don Rodrigo, ormai morente.

La peste, una delle peggiori piaghe dell'umanità, viene descritta in maniera scrupolosa e nei minimi particolari nelle sue prime manifestazioni, nelle reazioni suscitate, negli interventi positivi e negativi degli uomini chiamati ad occuparsene (dai medici, ai politici, alla chiesa). Agli errori delle autorità, alla voluta disinformazione si somma l'ignoranza superstiziosa della popolazione. Ne deriva uno sconvolgimento drammatico della città intera, attraversata da Renzo, ormai guarito, come un luogo infernale pieno di pericoli e di insidie mortali.

La parte più drammatica di questa descrizione si trova nel capitolo 34, con una delle più celebri frasi della letteratura italiana:

 « Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato. »

In tale capitolo si parla anche di Cecilia, "di forse nov'anni", che, ormai morta, è posta sul carro dei monatti dalla madre, che li implora di non toccare il piccolo corpo composto con tanto amore, e chiede poi di tornare dopo a riprendere lei "e non lei sola". Da notare il fatto che questo breve passo, dedicato alla madre di Cecilia, è pura lirica. Il romanzo infatti è un genere letterario che può contenere altri generi, quali la lirica, la commedia o la tragedia.

Conclusione

Infine i due promessi tornano al paese, si sposano e si trasferiscono nel Bergamasco, Renzo acquista con il cugino una piccola azienda tessile e Lucia, aiutata dalla madre, si occupa dei figli. Hanno una figlia che chiamano Maria, come segno di gratitudine alla Madonna. Il significato dell'opera è che con la fede in Dio tutti i problemi e le disgrazie si possono superare.

 
 
 

ANTONIO E CLEOPATRA

Post n°151 pubblicato il 22 Maggio 2009 da flavia_53

Antonio, uno dei triumviri di Roma insieme a Cesare Ottaviano (che Shakespeare denomina sempre solo 'Cesare') e a Lepido, si è fermato in Egitto dopo essersi innamorato della regina Cleopatra. Antonio riceve la notizia che sua moglie, Fulvia, si è ribellata contro Ottaviano, ed è morta. Ora il triumvirato è minacciato da Sesto Pompeo, figlio del Pompeo avversario di Giulio Cesare. Pompeo ha raccolto una flotta, insieme ai pirati Menecrate e Mena e controlla la Sardegna e la Sicilia. A causa di questa situazione, Antonio è consapevole che deve tornare a Roma. Nonostante l'opposizione di Cleopatra, parte.

Tornato a Roma, Ottaviano convince Antonio a sposare sua sorella, Ottavia, per saldare i legame tra i due generali. Il luogotenente di Antonio, Enobarbo, sa che Ottavia non potrà appagarlo, dopo esser stato con Cleopatra. In un famoso passo, egli descrive il fascino di Cleopatra con un'iperbole: "l'età non può appassirla, né l'abitudine rendere insipida la sua varietà infinita: le altre donne saziano i desideri che esse alimentano, ma ella affama di sé laddove più si prodiga: poiché le cose più vili acquistano grazia in lei, così che i sacerdoti santi la benedicono nella sua lussuria."

Un indovino mette in guardia Antonio: "se giuochi con lui ad un giuoco qualunque, sei sicuro di perdere."

Antonio e Cleopatra di Lawrence Alma-Tadema

In Egitto, Cleopatra viene a sapere del matrimonio di Antonio, e mette in atto una terribile vendetta nei confronti del messaggero che le riferisce la notizia. La sua collera si placa solo quando le sue cortigiane le assicurano che Ottavia è brutta, almeno secondo i canoni estetici elisabettiani: bassa, rozza, con il viso rotondo e con capelli sciupati.

I triumviri discutono con Pompeo, e gli offrono un accordo: egli può mantenere il controllo della Sicilia e della Sardegna ma deve aiutarli a "liberare tutto il mare dai pirati" e mandargli un tributo in grano. Dopo qualche esitazione, Pompeo accetta. I generali si intrattengono in un festino sulla galea di Pompeo. Mena consiglia a Pompeo di uccidere i triumviri per diventare condottiero di Roma, ma egli non accetta. Più tardi, Ottaviano e Lepido rompono la tregua con Pompeo, e i combattimenti ripartono. Questa decisione è disapprovata da Antonio, che è furente.

Una volta ritornato ad Alessandria, Antonio incorona se stesso e Cleopatra sovrani dell'Egitto e del terzo orientale dell'impero romano, che era il territorio posseduto da Antonio in quanto triumviro. Egli accusa Ottaviano di non aver spartito con lui le terre conquistate a Pompeo, ed è arrabbiato che Lepido, imprigionato da Ottaviano, è stato escluso dal triumvirato. Ottaviano cede all'ultima richiesta, ma è molto deluso dal comportamento di Antonio.

Antonio si prepara a dare battaglia ad Ottaviano. Enobarbo lo spinge a dare battaglia sulla terraferma, ove egli sarebbe avvantaggiato, anziché in mare, dove le navi di Ottaviano sono più leggere e meglio condotte. Antonio rifiuta, in quanto era stato sfidato da Ottaviano ad una battaglia navale. Cleopatra si impegna a mettere la sua flotta a disposizione di Antonio; ma, durante la battaglia navale, la regina abbandona il campo con le sue sessanta navi. Antonio la insegue causando così la disfatta del suo esercito. Vergognatosi per le sue gesta, dovute all'amore che egli prova per Cleopatra, Antonio la richiama per averlo fatto sembrare un codardo, ma pone anche il suo amore sopra ogni altra cosa, dicendo "datemi un bacio, questo basta a compensarmi."

Ottaviano manda un messaggero a chiedere a Cleopatra di consegnarli Antonio, e di allearsi con lui. Ella esita, e flirta col messaggero; nel frattempo, Antonio entra in scena e, rabbioso, condanna il comportamento della principessa. Fa frustare il messaggero, e finalmente perdona Cleopatra, e le promette di combattere un'altra battaglia per lei, questa volta sulla terraferma.

Alla vigilia della battaglia, i soldati di Antonio odono strani oracoli, che interpretano come la perdita di protezione per il loro condottiero, da parte del dio Ercole. Inoltre, Enobarbo, lo storico luogotenente di Antonio, lo abbandona per passare dalla parte del nemico. Invece di confiscare i beni di Enobarbo, che erano stati lasciati presso Antonio durante la fuga da Ottaviano, Antonio ordina che tali beni siano riportati a Enobarbo. Enobarbo è talmente colpito dalla generosità di Antonio, e così pieno di vergogna per la sua infedeltà, che si suicida.

La battaglia comincia bene per Antonio, finché Ottaviano non la tramuta in una battaglia navale. Ancora una volta, Antonio perde, la sua flotta si arrende, ed egli denuncia Cleopatra: "questa infame egiziana mi ha tradito."

Antonio decide allora di uccidere la regina per il suo ennesimo tradimento. Cleopatra capisce che l'unico modo per riconquistare l'amore di Antonio, è quello di fargli credere che si è uccisa, col nome di Antonio come ultime parole. Ella si rinchiude nel suo mausoleo, e aspetta il ritorno di Antonio.

Il suo piano, però, fallisce: invece che correre per vedere Cleopatra morta, con il cuore pieno di rimorso, Antonio decide che la sua vita non ha più senso. Chiede a Erote, uno dei suoi più intimi amici, di trapassarlo con una spada; Erote non riesce però ad uccidere il suo generale, e si suicida. Antonio ammira il coraggio di Erote e cerca di morire allo stesso modo, ma si ferisce solamente. In uno stato di dolore lancinante, scopre che, in realtà, Cleopatra è ancora viva. Si trascina fino al suo mausoleo, e muore tra le sue braccia.

Ottaviano si reca da Cleopatra e cerca di convincerla ad arrendersi. Ella però rifiuta orgogliosa, per non essere trascinata in trionfo per le vie di Roma come una schiava qualsiasi. La cortigiana Ira descrive la loro probabile sorte: "istrioni di pronto ingegno improvviseranno commedie su di noi, rappresentando i nostri conviti alessandrini; Antonio sarà raffigurato ubriaco, ed io vedrò qualche giovanotto travestito da stridula Cleopatra avvilire la mia grandezza in atteggiamento di puttana." Questo discorso è intriso di ironia drammatica, perché, al tempo di Shakespeare, la parte di Cleopatra era veramente recitata da un "giovanotto travestito", e la tragedia di Shakespeare, raffigura i festini di un Antonio ubriaco.

Cleopatra decide di suicidarsi, insieme alle sue ancelle Carmiana e Ira, usando il veleno di un aspide. Muore serena, pensando di rivedere Antonio nell'aldilà. Ottaviano scopre i corpi morti e ordina che sia data loro sepoltura con un funerale solenne.

 
 
 

TRISTANO E ISOTTA

Post n°150 pubblicato il 22 Maggio 2009 da flavia_53

Rivalen, re di Lyonesse, ha sposato Biancofiore, sorella del re Marco di Cerniw (Cornovaglia); egli muore tuttavia poco dopo, in guerra. Prima di morire anch'essa dal dolore, Biancofiore partorisce un figlio, a cui dà nome Tristano. Il bambino è allevato da suo zio il re Marco, il quale è sottoposto al pagamento di un gravoso tributo dal re d'Irlanda: diventato un giovane guerriero, Tristano decide di liberare la Cornovaglia da questa sottomissione e parte per l'Irlanda, dove riesce a uccidere il gigante Moroldo, fratello del re: viene tuttavia ferito con un colpo di spada avvelenato, ma è curato dalla figlia del re, Isotta, che non sa che egli ha ucciso suo zio. Tristano, una volta guarito, torna in Cornovaglia.

Pressato di sposarsi per garantire al trono una successione, il re Marco decide di prendere per moglie colei a cui appartiene un capello d'oro, portato dal mare da un uccello. Tristano, ricordandosi di Isotta, parte per l'Irlanda, ma, appena arrivato, deve combattere un terribile drago. Lo uccide, ma viene ferito, e, ancora una volta, curato da Isotta, che si accorge allora che egli è colui che aveva ucciso il Moroldo: rinuncia tuttavia a vendicarsi ed è promessa in sposa a Marco per sanare le rivalità tra i due regni. Si imbarca dunque con Tristano verso la Bretagna. Ma la regina d'Irlanda affida all'ancella Brangania un filtro magico, da far bere ai due sposi la notte di nozze: essi allora si innamoreranno profondamente l'uno dell'altra. Durante la navigazione, però, Tristano beve per errore il filtro, credendo che sia vino, e lo offre a Isotta: i due cadono preda dell'amore. Isotta sposa comunque Marco, facendosi sostituire da Brangania per la consumazione del matrimonio.

Seguono mesi di amori clandestini, di trucchi e menzogne, durante i quali i due innamorati rischiano costantemente di essere ingannati dai baroni invidiosi. Un nano malvagio, buffone del re, tenta di farli cogliere sul fatto durante un loro appuntamento notturno nel verziere, ma Tristano si accorge della presenza del re nascosto tra le fronde di un pino e riesce ad avvertire Isotta, che inscena un dialogo del tutto innocente. Un'altra volta, il nano sparge della farina sul pavimento della camera da letto regale: Tristano salta sul letto di Isotta per evitarla, ma così facendo gli si riapre una ferita che macchia di sangue le lenzuola. Scoperti e condannati a morte, i due riescono a fuggire e si rifugiano nella foresta del Morrois. Dopo tre anni, il filtro comincia a indebolirsi: non sopportando più la vita allo stato selvaggio, ed essendo stati scoperti da re Marco, Tristano decide di restituire la donna al re, e parte: si reca allora in Bretagna dove sposa Isotta dalle Bianche Mani, con la quale tuttavia non consuma il matrimonio.

Nel frattempo l'innocenza della regina è continuamente messa in dubbio dai baroni malvagi, inducendola a reclamare un'ordalia. In base a quest'usanza, Isotta dovrà giurare di essere stata sempre fedele al marito stringendo in mano un ferro incandescente: se avrà detto la verità, Dio la proteggerà rendendole giustizia. Tristano si reca alla cerimonia travestito da lebbroso, e aiuta la regina a superare una pozzanghera. Così ella può giurare di non aver mai stretto altro uomo che suo marito e il lebbroso stesso.

Più volte ancora Tristano si reca segretamente in Cornovaglia, travestito da pellegrino o da folle; una volta l'accompagna il cognato Caerdino, che offeso per l'ingiuria fatta da Tristano alla sorella (non aveva consumato il matrimonio con Isotta dalle Bianche Mani) vuole vedere con i suoi occhi la bellezza di Isotta la Bionda e l'intensità del suo amore. I due così fanno pace e Caerdino si proclama amante dell'ancella della regina, Brangania.

Ferito gravemente durante una spedizione, Tristano capisce che solo Isotta la Bionda può guarirlo e la manda a chiamare, chiedendo che vengano messe vele bianche alla nave con cui verrà, se lei accetta di venire, e vele nere se si rifiuta. Ella accetta, ma la sposa di Tristano, avendo scoperto il loro amore, gli riferisce che le vele sono nere. Credendosi abbandonato da Isotta, Tristano si lascia morire; la donna, arrivata troppo tardi presso di lui, muore di dolore a sua volta. Pentita per le conseguenze tragiche della sua menzogna, Isotta dalle Bianche Mani rimanda i corpi in Cornovaglia, facendoli seppellire assieme. Le piante che cresceranno sulla loro tomba, nocciolo e caprifoglio, si intrecceranno così strettamente che nessuno, mai, potrà separarle.

 
 
 

ROMEO E GIULIETTA

Post n°149 pubblicato il 21 Maggio 2009 da flavia_53

Nel prologo, il coro racconta agli spettatori come due nobili famiglie di Verona, i Montecchi e i Capuleti, si siano osteggiate per generazioni e che "dai fatali lombi di due nemici discende una coppia di amanti, nati sotto cattiva stella cui tragico suicidio porrà fine al conflitto".

Il primo atto comincia con una rissa di strada tra i servi delle due famiglie, interrotta dal Principe di Verona, che per ogni ulteriore scontro dichiarerà responsabili con le loro stesse vite i capi delle due famiglie per poi disperdere la folla. Paride, un giovane nobile, ha chiesto al Capuleti di dargli in moglie la figlia quattordicenne, Giulietta. Capuleti lo invita ad attirarne l'attenzione durante il ballo in maschera del giorno seguente, mentre la madre di Giulietta cerca di convincerla ad accettare le offerte di Paride. Questa scena introduce la nutrice di Giulietta, l'elemento comico del dramma. Il rampollo sedicenne dei Montecchi, Romeo, è innamorato di Rosalina, una Capuleti (personaggio che non compare mai). Mercuzio (amico di Romeo e congiunto del Principe) e Benvolio (cugino di Romeo) cercano invano di distogliere Romeo dalla sua malinconia, quindi decidono di andare mascherati alla casa dei Capuleti, per divertirsi e cercare di dimenticare. Romeo, che spera di vedere Rosalina al ballo, incontra invece Giulietta.

Romeo e Giulietta, dipinto di Ford Madox Brown

I due ragazzi si scambiano poche parole, ma queste sono sufficienti a farli innamorare l'uno dell'altra e a baciarsi. Prima che il ballo finisca, la Balia dice a Giulietta il nome di Romeo, e (separatamente) viceversa. Romeo, rischiando la vita, resta nel giardino dei Capuleti dopo la fine della festa, e nella famosa scena del balcone, i due si dichiarano il loro amore e decidono di sposarsi in segreto. Il giorno seguente, con l'aiuto della Balia, il francescano Frate Lorenzo unisce in matrimonio Romeo e Giulietta, sperando così di portare pace tra le due famiglie attraverso la loro unione.

Le cose precipitano quando Tebaldo, cugino di Giulietta e di temperamento iracondo, incontra Romeo e cerca di provocarlo a un duello. Romeo rifiuta di combattere contro colui che è ormai anche suo cugino, ma Mercuzio (ignaro di ciò) raccoglie la sfida. Tentando di separarli, Romeo inavvertitamente permette a Tebaldo di ferire Mercuzio, che muore augurando "la peste a tutt'e due le vostre famiglie". Romeo, nell'ira, uccide Tebaldo. Il Principe condanna Romeo solo all'esilio (perché Mercuzio era suo congiunto e Romeo l'ha solo vendicato): dovrà lasciare la città prima dell'alba del giorno seguente. I due sposi riescono a passare insieme un'unica notte d'amore. All'alba, svegliati dal canto dell'allodola, messaggera del mattino (che vorrebbero fosse il canto notturno dell'usignolo), si separano e Romeo fugge a Mantova.

Giulietta dovrebbe però sposarsi tre giorni dopo con Paride. Frate Lorenzo, esperto in erbe medicamentose, dà a Giulietta una pozione che la porterà a una morte apparente per quaranta ore. Nel frattempo il frate manda un messaggero a informare Romeo affinché egli la possa raggiungere al suo risveglio e fuggire da Mantova.

Romeo e Giulietta (Atto V, scena III), Incisione di P. Simon da un dipinto di J. Northcode

Sfortunatamente il messaggero del frate non riesce a raggiungere Romeo poiché Mantova è sotto quarantena per la peste, e Romeo viene a sapere da un servitore della famiglia del funerale di Giulietta (una interessante incongruenza nella storia: come avrebbe fatto il servitore a tornare a Mantova dopo aver assistito al "funerale" di Giulietta?). Romeo si procura un veleno, torna a Verona in segreto e si inoltra nella cripta dei Capuleti, determinato ad unirsi a Giulietta nella morte.

Romeo, dopo aver ucciso in duello Paride, che era giunto anche lui nella cripta, e aver guardato teneramente Giulietta un'ultima volta, si avvelena pronunciando la famosa battuta "E così con un bacio io muoio" (Atto 5 scena III). Quando Giulietta si sveglia, trovando l'amante e Paride morti accanto a lei, si trafigge così con il pugnale di Romeo.

Nella scena finale, le due famiglie e il Principe accorrono alla tomba, dove Frate Lorenzo gli rivela l'amore e il matrimonio segreto di Romeo e Giulietta. Le due famiglie, come anticipato nel prologo, sono riconciliate dal sangue dei loro figli, e pongono fine alla loro guerra.

 

 
 
 

LE INSICUREZZE

Post n°148 pubblicato il 20 Maggio 2009 da flavia_53

Non avere fiducia in se stessi è l'effetto generato dalla società delle finte sicurezze nella quale viviamo. Il senso di debolezza e impotenza è in parte trasmesso da tutti quei genitori che da sempre hanno creato nei loro figli condizioni di colpevolizzazione ingiustificata, o coperti di vizi, i ragazzi non hanno mai potuto scoprire il fascino del sapersela cavare da soli. 
La sfiducia ci rende soli, ci rende incompresi, ci spinge a vivere con inerzia gli aspetti più importanti della nostra vita come il lavoro, l'amore, lo studio. Non avere troppa fiducia in sè è tremendamente importante perchè ci incoraggia a metterci in discussione, e la sicurezza ostentata crea il doppio dei guai.
Ci sono persone che impiegano più tempo nella propria battaglia introspettiva, che in quella nella vita. L'insicurezza ci rende deboli, ci fa vivere a metà. Non ci rende competitivi e ci fa sembrare stupidi. Non basta un complimento o un semplice "forza!". Ci sono voragini di insicurezza che rendono la vita impossibile, e che pochi possono capire davvero

 
 
 

per te.....ma guarda più sotto.....

Post n°147 pubblicato il 19 Maggio 2009 da flavia_53

 
 
 

bellissimeeeeee ORCHIDEE

Post n°146 pubblicato il 19 Maggio 2009 da flavia_53

orchidee

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: flavia_53
Data di creazione: 13/07/2007
 
 

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