ROSSEBANDIERE

Storie di comunisti, socialisti ed attualità politica

 

TAG

 

AREA PERSONALE

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 2
 

ULTIME VISITE AL BLOG

keller10DoktorClubfalconitizianostendhal71federico_ciancaStalinSocietykeyf84antonellobrighindiuilca.allianzmilanoqpizzocarloz1948blacknight_cngeorgescunicolrenzopadovan1tamatave
 

 

« Socialisti olandesi: le ...E' scomparso Stefano Ch... »

Gennaio 1921: fondazione del PCd’I. - 2007: i comunisti ci riprovano di Sergio Ricaldone

Post n°47 pubblicato il 23 Gennaio 2007 da rossebandiere
 

Sono passati 86 anni dal quel lontano 21 gennaio quando al teatro S. Marco di Livorno un folto gruppo di delegati usciti dal Partito Socialista, fondarono il Partito comunista d’Italia. Esattamente tre anni e due mesi dopo la Rivoluzione d’ottobre. Dunque un partito figlio legittimo ed espressione dei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”, e membro a pieno titolo delle terza Internazionale, come lo sono stati tutti i partiti comunisti fondati negli anni 20 in molte regioni del pianeta. E’ appunto in quegli anni che lo “spettro” evocato da Marx nel 1848 si materializza e diventa l’animatore possente di un movimento operaio maturo che, con la sapiente regia creativa di Lenin, dilaga e fa barcollare, per la prima volta nella storia, i santuari del potere imperialista.

Fuori da quella sequenza temporale di eventi storici e senza il robusto filo conduttore, di autentico acciaio, che li mantenne saldamente legati ad una comune prospettiva di cambiamento rivoluzionario è difficile immaginare come avrebbe potuto nascere e vivere un partito comunista.

Appare penosamente triste il mea culpa di alcuni pentiti che oggi riscattano i loro immaginari sensi di colpa raccontandoci un PCI diverso, separato dalle sue radici e quindi estraneo alla lunga stagione di tragedie provocate dall’assedio politico e militare imperialista degli anni 30, deciso a stroncare con qualsiasi mezzo il primo tentativo di rivoluzione socialista della storia. Non poteva essere diverso e separato da quel contesto un partito nato in anni cruciali della storia d’Italia e i cui militanti hanno dovuto sostenere, fin dal primo momento, uno scontro di classe durissimo contro un padronato biecamente reazionario deciso a stroncare con la repressione dello stato borghese e la violenza dello squadrismo fascista ogni forma di resistenza operaia e bracciantile e a restaurare, complice la squallida monarchia dei Savoia, una forma di potere assoluto del capitalismo industriale ed agrario. La natura leninista del partito fu in ogni caso sanzionata, dopo un lunga e lacerante battaglia interna, dalla sconfitta della componente settaria e avventurista di Amedeo Bordiga e dalla vittoria di Ordine Nuovo, diretta da Antonio Gramsci, impegnata nella costruzione di una linea politica e di una prospettiva in grado di reggere uno scontro di classe che, dopo il riflusso dell’ondata rivoluzionaria in Europa, si andava profilando di lunga durata, il che richiedeva ai militanti intelligenza politica e sacrifici enormi imposti dalla clandestinità, dal carcere, dall’esilio forzato. Quali grandi imprese abbia saputo compiere questo partito al servizio della classe operaia e del paese e quale lungimiranza politica abbiano mostrato i giganti che lo hanno guidato negli anni più duri e difficili – Gramsci, Togliatti, Longo, Secchia - è storia largamente conosciuta, né si può tentare di riassumerla in queste brevi note. Né vale la pena di indugiare su come e perché il gruppo di carrieristi rinnegati che ne assunsero la direzione a metà degli anni 80 abbiano deciso di infliggere al PCI un colpo mortale alla Bolognina. Anche questa è storia conosciuta.

Passato e presente: le due versioni revisioniste del neocomunismo italico

La ricorrenza del 21 gennaio è una buona occasione per parlare del presente e per osservare con quali approcci e sentimenti contrastanti la vivono oggi i gruppi dirigenti dei due partiti che in Italia ancora si richiamano, almeno nel nome e nel simbolo, al comunismo. Ad esempio il tema scelto dal PdCI per celebrare l’anniversario, sembra voler rivendicare una condivisibile continuità con la storia del comunismo italiano. Sembra. Ma se si rileggono le nette prese di distanza da quella storia pronunciate, in tempi recenti, dal più autorevole dei suoi fondatori, Armando Cossutta, qualche dubbio sull’uso strumentale di questa celebrazione è più che lecito. Ma anche l’itinerario politico attuale scelto dal suo segretario Diliberto lascia trapelare qualche interrogativo sulla opportunità, o meno, della scissione di Livorno del 1921. Ossia, era necessaria o si poteva evitare? Rimettere in discussione oggi, nel 2007, una scelta di quella natura strategica, che ha pesato e segnato per molti decenni la storia del movimento operaio italiano ed il suo ruolo egemone nelle grandi lotte sociali e politiche del secolo scorso, lascia supporre che lo scopo di questa pur lecita critica storica risponda al fine odierno della leadership dei Comunisti italiani di ricongiungersi in qualche modo a quel che resta della componente socialdemocratica di sinistra del Correntone che tenta di sopravvivere di vita propria alla inarrestabile deriva liberal dei DS e del futuro PD. Insomma, una sorta di alibi a supporto di un’operazione che riscopre i valori della vecchia casa madre socialista.

Nell’altro partito che si richiama al comunismo, "Rifondazione", il gruppo dirigente di maggioranza, se la cava ignorando tranquillamente la storica data, collocandosi perciò in perfetta continuità con l’opera di demolizione compiuta da Fausto Bertinotti di tutta la storia secolare del comunismo mondiale, PCI incluso, e di tutte le rivoluzioni e i grandi movimenti di liberazione che quel movimento ha ispirato.

Tra le rimarchevoli eccezioni al dilagante oblio revisionista, segnaliamo quella dell’area critica Essere Comunisti che il 21 gennaio a Livorno, cercherà di ricordare al meglio quanto gli artefici di quella scissione abbiano pesato sulla storia del nostro paese e come il partito diretto da Gramsci e Togliatti abbia saputo far diventare il movimento operaio italiano soggetto politico trainante della Resistenza antifascista e delle grandi lotte di massa che hanno spianato la strada alle importanti conquiste sociali e politiche ispirate dalla Costituzione repubblicana. Conquiste messe a rischio – guarda caso, dopo la liquidazione del PCI - dal progressivo declino dei movimenti di lotta nei punti cruciali del loro insediamento, le fabbriche. Ma anche questa importante iniziativa di Essere Comunisti, pur essendo stata promossa nel segno di una doverosa continuità critica con la storia del comunismo novecentesco, appare troppo ripiegata dentro il partito di appartenenza, quasi a segnare l’esclusiva di un patrimonio di militanza politica che non può avere altri sbocchi e interlocutori possibili fuori dal PRC.

La questione comunista come si ripresenta nel 2007

Speriamo che la celebrazione del 21 gennaio sia l’occasione per far riemergere il tema centrale che assilla oggi tantissimi compagni, ovunque collocati, che si interrogano su come ricominciare e con chi riproporre all’o.d.g. la “questione comunista”. E’ un tema tremendamente complesso e difficile. La vittoria del “pensiero unico” in questa parte del mondo ha fatto terra bruciata dei grandi ideali che hanno sorretto per un secolo le grandi battaglie politiche e sociali del movimento operaio e una “terra promessa” da cui ripartire non esiste. Ovunque si volga lo sguardo il panorama politico della sinistra di classe in Italia appare desolante. Alla nostra destra ci sono due sedicenti partiti comunisti, "Rifondazione comunista" e i Comunisti italiani. Sebbene concorrenti, risulta evidente che, sia pure con percorsi diversamente modulati, corrono entrambi su binari paralleli verso una sola destinazione finale, l’uscita a destra dal comunismo. La linea liquidatoria dei gruppi dirigenti ha vinto. In tale contesto non possiamo negare che il contributo distruttivo di Fausto Bertinotti è stato determinante. E’ stato un susseguirsi di condanne e di rotture storiche e politiche con i quattro punti cardinali del comunismo, quello di ieri e quello di oggi. Dopo che Romano Prodi, in un momento di sincerità, ha definito “folkloristico” il comunismo bertinottiano, ogni altro commento ci sembra superfluo. Per contro alla sinistra di questi partiti abbiamo una frammentazione di gruppi, di sigle, di siti, di liberi pensatori e di “andati a casa” che non offrono speranze di aggregazione, se non attraverso future iniziative mirate, per ora pressoché inesistenti.

E’ comprensibile che di fronte a questo poco incoraggiante scenario lo stato d’animo di molti compagni sia uguale a quello di Noè quando Dio gli comunica le previsioni meteorologiche. Il guaio è che non esistono soluzioni semplici o scorciatoie per uscire da questa situazione. Ciascuno deve fare la sua parte sollevando lo sguardo e allargando il campo visivo oltre gli steccati che delimitano i partiti, le correnti e i gruppi dentro i quali ciascuno milita.

Dobbiamo cominciare a chiederci se, insieme alla sacrosanta battaglia politica che ognuno deve condurre all’interno del proprio partito per contrastare la deriva liquidatoria, non sia anche necessario mettere a punto un progetto politico di più ampio respiro che rimetta al centro la “questione comunista”. Questo era e rimane un tema più che mai aperto che richiede, oltre che la prosecuzione della battaglia interna, anche una proiezione esterna delle iniziative politiche che abbia come finalità la ricomposizione e l’unità dei comunisti diversamente collocati o dispersi.

Chi sono, quanti sono, dove sono? E’ ancora presto per azzardare statistiche. Però basta pensare alle decine di migliaia di compagni transitati per brevi soggiorni in "Rifondazione" e nei Comunisti italiani, e poi usciti, per capire quale ampiezza possa avere oggi in Italia il bacino di utenza di un futuro soggetto comunista. Il che non significa affatto che siano maturi i tempi per una scissione tipo Livorno 1921 e chi sogna di poter bruciare le tappe fondando il piccolo partitino dei duri e dei puri compie un errore colossale. Ci sono tempi e passaggi politici da rispettare.

Ciò che occorre ora è l’apertura di un processo di ricomposizione unitaria della sinistra marxista che abbia come base minima la elaborazione di una piattaforma programmatica comune che unisca tutte le forze di sinistra alternativa – al diavolo l’alternanza! - senza preclusioni verso le aree critiche presenti nei partiti di sinistra, le associazioni culturali, i movimenti pacifisti e antimperialisti, ecc. All’interno di questo processo l’unità dei comunisti va perseguita come elemento centrale, la cui valenza si proietta oltre la nozione di unita delle sinistre e mira, nei tempi necessari, alla ricostruzione di una forza comunista organizzata.

Forza e vitalità del comunismo contemporaneo

Abbiamo le carte in regola per respingere la caricatura di chi ci dipinge come dei nostalgici, residuali di una storia politica ormai morta e sepolta. Si dà il caso che quel che rimane di quella esperienza targata comunismo stia mostrando, dopo la sconfitta degli anni 90, una tale, rinnovata presenza nel mondo contemporaneo che rende assai difficile ignorarne l’esistenza. Dalla Cina al Vietnam, da Cuba al Venezuela, dall’India al Sudafrica i comunisti stanno provando e riprovando a ricostruire, in versioni profondamente rinnovate, nuovi modelli di sviluppo e di trasformazione economica, sociale e politica che superano in positivo le esperienze del 900. Senza emettere condanne, senza rotture e senza imporre modelli a nessuno. La prassi rivoluzionaria e la creatività di ascendenza marxista e leninista rimane il filo conduttore delle profonde innovazioni in atto.

La celebrazione del 21 gennaio offre a tutti noi, con la sua forte valenza simbolica, lo stimolo per riaprire una discussione tra i comunisti, per ragionare sulla validità o meno dei quattro punti base su cui si è basata l’autonoma esistenza di una forza comunista organizzata che proviamo a riassumere in modo un po’ grossolano: 1) Un solido impianto teorico che tracci la prospettiva strategica del socialismo come sbocco finale del conflitto capitale-lavoro, che abbia come filo conduttore l’analisi critica, non distruttiva, di tutte le esperienze rivoluzionarie fin qui compiute dal movimento operaio, con l’obbiettivo ambizioso di rompere l’accerchiamento del pensiero unico, di riproporsi l’obbiettivo dell’egemonia, di ridare lo slancio e la fiducia di poter cambiare il mondo che già in passato ha permesso al movimento operaio di compiere imprese ritenute impossibili. 2) Un programma politico adeguato alla fase di coesistenza conflittuale con il potere del capitale (fase comunemente chiamata di transizione). Un programma tatticamente flessibile, il cui obiettivo è di espugnare, con le lotte e le riforme, posizioni più avanzate socialmente, facendo leva sulla centralità del lavoro salariato e su un sistema di alleanze il più ampio possibile. 3) Il partito concepito come avanguardia del mondo del lavoro e perciò radicato e strutturato nell’industria, nei trasporti, nell’energia, nei servizi e nei settori che oggi rappresentano gli insediamenti della classe operaia postfordista. 4) Il partito concepito come parte integrante di un movimento internazionale che comprenda in primo luogo i partiti comunisti, ma anche i movimenti antimperialisti e le entità statuali che si oppongono al dominio unipolare dell’imperialismo americano.

La grande sfida

Sicuramente occorreranno anni di paziente lavoro per ricomporre la diaspora comunista in Italia, ma credo che in assenza di uno solo di questi quattro punti sia difficile immaginare l’esistenza di un partito comunista. Ci sono ovviamente altri modi dignitosi e rispettabili di praticare le idee comuniste. Il più semplice è quello di operare come gruppi di marxismo critico in modo autonomo, oppure utilizzando l’ospitalità, o vivendo nel cono d’ombra di grandi partiti socialdemocratici o laburisti. Nel mondo anglosassone è una scelta che si trascina da quasi un secolo, fin dai tempi di Lenin. E ci ha fatto conoscere intelligenze di primissimo piano. Però è difficile che da questi gruppi di marxismo critico esca un vero e proprio partito comunista. Noi vogliamo molto di più. Ma quello che ci aspetta non è una gratificante escursione accademica su ciò che eravamo, bensì una impegnativa scalata di sesto grado superiore (con qualche passaggio “abominevole”, come si dice in gergo alpinistico), che dovremo affrontare nella piena consapevolezza dei nostri limiti attuali. E anche dei tempi che saranno necessari per osservarla e studiarla questa enorme parete rocciosa che noi chiamiamo “prospettiva comunista”, per individuarne i percorsi e i passaggi più difficili. Ma prima o poi dovremo cominciare a scalarla questa parete, con la tenacia di chi intende interrogarsi non più con i dogmi e la nostalgia, ma con il grande potenziale creativo del marxismo e del leninismo, ma anche con la modestia di chi, vivendo continue contraddizioni quotidiane, non ha risposte né semplici né immediate.

Viviamo una fase difficile per le forze rivoluzionarie. La tigre imperialista è ancora molto forte ed aggressiva e sempre pronta a colpire ovunque con ferocia e furia distruttiva. Ma le sue unghie cominciano a mostrare i segni dell’usura e i suoi ruggiti stanno perdendo di efficacia. Il nostro sito Resistenze propone in continuazione notizie e documenti di partiti e movimenti della sinistra da ogni parte del mondo che inducono ad un ragionevole ottimismo. Non siamo all’anno zero. Possiamo, dobbiamo riprovarci.

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

INFO


Un blog di: rossebandiere
Data di creazione: 15/11/2005
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963