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da Secchia e Frassati, Storia della Resistenza, Editori Riuniti, Roma, 1965,

Post n°53 pubblicato il 23 Aprile 2007 da rossebandiere
 

 
Milano capitale della Resistenza
 
Il rapido succedersi, senza soluzione di continuità, del moto insurrezionale nei tre grandi centri del triangolo industriale ha una sua logica politica e militare. La tempestiva rivolta di Genova stronca il deflusso delle forze tedesche verso Torino e Milano, che a loro volta entrano in azione al momento giusto con tutto il peso delle loro masse operaie cittadine e delle agguerrite formazioni partigiane prementi alla periferia.
 
Anche nel momento dell'insurrezione il quadro colpisce per l'unità del moto nazionale e la funzione dirigente della classe operaia e delle forze popolari. A chi gli consiglia di acconsentire al transito dei tedeschi per evitare il bombardamento della città, il comandante Rosa risponde: «io non faccio la guerra per Cuneo, ma per l'Italia». E nella risposta vi è la sintesi di una progredita e rinnovata coscienza nazionale.
 
Il 19 aprile, il prefetto di Milano annuncia con un ordinanza che si sarebbe proceduto all'immediato arresto di tutti gli operai che si fossero ancora astenuti dal lavoro. La risposta non tarda: al mattino del 23 i comitati di agitazione proclamano lo sciopero generale ad oltranza dei ferrovieri che abbandonano compatti il lavoro, militi della ferroviaria compresi. Il 24 il bollettino tedesco non arriva più ed al mattino tanto il comando delle Garibaldi quanto il triumvirato unitario (Longo, Pertini, Valiani) impartiscono l'ordine dell'insurrezione, che per Milano deve scoccare alle ore 14 dell'indomani.
 
«La battaglia insurrezionale precipita verso la sua conclusione vittoriosa, nelle fabbriche, negli uffici, nelle aziende non si deve più lavorare. Dappertutto alle armi, alla lotta per imporre la resa ai nazifascisti, per salvare dalle distruzioni i nostri impianti e le nostre città».
 
Le contestazioni sulle ore precise in cui questo o quest'altro partito o comitato ha dato per primo l'ordine di insurrezione, per vantarne la priorità, hanno scarsa importanza nel momento in cui sul quadrante della storia batteva la grande ora della libertà per tutti i popoli d'Europa e le notizie volavano sulle onde di tutte le radio. Non vi fu forse una sola località ove, quando giunse l'ora di applicare i piani insurrezionali, operai e contadini, partigiani, gappisti e sappisti non fossero già in azione.
 
Le notizie che l'esercito rosso è entrato a Berlino, nel centro dell'imperialismo nazista e del militarismo prussiano, che le armate sovietiche, inglesi, americane hanno occupato i centri nevralgici della Germania, che le unità corazzate di Tolbukin avanzano velocemente sull'autostrada Vienna-Venezia, sono di dominio pubblico e rimbalzano con la velocità del suono; i comandi partigiani di tutte le zone non sono più in attesa di ordini, ognuno sa che cosa deve fare.
 
I tram si arrestano a Milano alle 13 del 25 aprile, alla stessa ora inizia lo sciopero generale insurrezionale e l'occupazione delle fabbriche. Come già a Torino, anche a Milano più che non gli schematici piani militari, sono decisive le fabbriche. Qui vi è il concentramento delle maggiori forze operaie, nelle officine vi sono i depositi d'armi. E' dalla Pirelli, dalla Breda, dalla Falk, dalla Innocenti che escono le squadre gappiste e sappiste per andare all'assalto delle caserme, dei posti di blocco fascisti e repubblichini; la fabbrica è il punto di concentramento, il fulcro della lotta.
 
Tutte le officine di Sesto sono occupate, la popolazione manifesta nelle strade. I tedeschi attaccano la Pirelli con i carri armati per liberare i loro «camerati» fatti prigionieri dagli insorti. Dopo alcune ore di ostinata resistenza gli operai che non dispongono né di mortai, né di cannoni anticarro sono costretti ad abbandonare lo stabilimento che rioccuperanno all'indomani. I nazisti riescono a rioccupare anche la Innocenti, ma il comando dei garibaldini milanesi (Pietro Vergani, Italo Busetto, Lamprati, ecc.) riesce ad ammassare rapidamente gli operai della Olap, della Bezzi, di altre fabbriche del rione, ed i tramvieri di via Teodosio che vanno all'attacco costringendo i tedeschi alla resa e rioccupando lo stabilimento.
 
Mentre nei quartieri popolari ferve la lotta ed alcune caserme repubblichine, tra cui quella di Niguarda, sono già occupate dagli insorti, avviene all'arcivescovado l'incontro tra Mussolini ed alcuni esponenti designati dal CLNAI, il generale Cadorna, Riccardo Lombardi, Achille Marazza. Situazione paradossale, malgrado lo sciopero insurrezionale in atto, la città è ancora nelle mani di notevoli forze tedesche e fasciste. Ciononostante alcuni esponenti del movimento di liberazione si recano inermi ed indifesi all'arcivescovado per incontrarsi col capo del governo nemico che va al convegno accompagnato dal comandante dell'esercito fascista, Graziani, scortato da carri armati e autoblinde. Ma nelle ore in cui la tirannia crolla tutto è possibile. Le trattative ormai note, superfluo il soffermarvicisi ancora, si svolgono in un'atmosfera tesa. Il duce, che sino all'ultimo s'è illuso di essere lui a «consegnare il potere» a qualcuno, pensa ancora di poter trattare. Gli rispondono offrendogli una sola possibilità: la resa senza condizioni. Il cardinale Schuster non rinuncia all'ultimo tentativo per salvare «l'uomo della Provvidenza» e rinnova l'invito a «trovare un punto d'accordo onde risparmiare alla popolazione inutili sofferenze».
 
La conversazione si anima, poi bruscamente Mussolini si alza, dice che va a parlare con Wolff e farà conoscere la sua decisione entro un'ora. Ma non ritorna più. Alle 21, quelli rimasti in arcivescovado vengono a sapere che Mussolini ha deciso di rompere le trattative ed è partito per ignota destinazione. Non importa, tanto la sua sorte è segnata, non andrà lontano.
 
Nella stessa notte tra il 25 e il 26 le forze patriottiche occupano gli edifici pubblici, la stazione radio, le tipografie dei principali giornali. Come a Torino anche a Milano la guardia di finanza, comandata dal col. Malgeri, è dalla parte degli insorti e occupa la prefettura ed altre caserme. La 117a brigata Garibaldi assalta la sede fascista della Oberdan, la 118a il Policlinico, la 124a l'aereoporto Forlanini, un distaccamento della 117a la Rací e cattura Achille Starace ex segretario del partito fascista; la 116a s'impadronisce di un treno blindato e, in via Varesina, costringe alla resa una colonna tedesca; la 125a occupa l'aeroporto di Taliedo.
 
I matteottini, con alla testa Sandro Faini («Oliva»), assaltano il parcheggio dei carri armati alla Fiera campionaria. Bruno Trentin guida squadre sappiste e di GL nel combattimento all'Arena.
 
Impossibile seguire tutte le azioni, ogni brigata punta decisamente al suo obiettivo, si combatte ancora attorno ad alcune caserme, stazioni, e officine. Ma il grosso delle formazioni tedesche e fasciste ha già lasciato la città. L'alba del 26 vede lunghe colonne di autocarri uscire da porta Sempione, attaccate ed inseguite dai partigiani e dai patrioti.
 
Alla sera del 26 i partigiani sono già padroni della città sino alla vecchia cerchia dei navigli ed il 27 l'intera Milano è sotto il controllo delle forze insurrezionali; appostati sui tetti o dalle feritoie delle cantine gli ultimi fanatici fascisti hanno improvvisato nidi di cecchinaggio, destinati ad esser rapidamente eliminati.
 
La vittoria insurrezionale di Milano è relativamente facile, costa ai patrioti minori perdite che non a Genova o a Torino: complessivamente una trentina di morti ed un centinaio di feriti in città; più grande il numero dei caduti nell'immediata periferia.
 
La preparazione e la decisione degli insorti hanno avuto il loro peso, ma soprattutto decisiva è stata la demoralizzazione del nemico in seguito alla capitolazione dei tedeschi ed alla fuga di Mussolini e dei gerarchi fascisti.
 
Alle ore 20,30 del 27 al Comando generale del CVL perviene dalla 52a brigata Garibaldi-Luigi Clerici il messaggio: «Mussolini, Pavolini, Bombacci sono stati arrestati. Seguiranno altre notizie». Queste arrivano due ore dopo con i nominativi dei catturati. Sono noti i particolari dell'arresto di Mussolini e della sua banda. Un distaccamento di garibaldini in missione per andare a cercare qualche pacco di sigari trova invece... Mussolini. Le vie del tabacco, come quelle del Signore, sono veramente infinite. Altrettanto noti i particolari della fucilazione del «duce» e della Petacci in località Giulino di Mezzegra (Como) su ordine del CLNAI.
 
La decisione era già stata presa dal Comando generale del CVL in uno scambio di opinioni avvenuto all'inizio dell'insurrezione, sulla sorte da riservare a Mussolini nel caso fosse stato catturato dai partigiani.
 
«Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche» fu la proposta di Luigi Longo che aggiunse: «E' da tempo che il popolo italiano ha pronunciato la sentenza, non si tratta che di eseguirla». Gli altri membri del comando furono concordi. Tuttavia l'esecuzione della sentenza non fu facile perché ci fu chi cercò di mettere il proverbiale bastone tra le ruote.
 
Appena giunta al comando del CVL la notizia della cattura di Mussolini vengono immediatamente inviati il col. «Valerio» (Walter Audisio) e Guido Lampredi con un plotone di garibaldini dell'Oltrepò pavese appena giunti a Milano; il plotone ha l'ordine di fare giustizia.
 
All'indomani mattina racconta Luigi Longo, «mentre mi trovavo al comando fui chiamato al telefono da Como. Era "Valerio" che voleva informarmi della situazione. Un vociare, un intrecciarsi di strida, risuonavano nella stanza da cui "Valerio" telefonava. Ad un tratto sento "Valerio" gridare come un ossesso: "Fuori di qui altrimenti vi faccio fuori io". La situazione era questa: quelli del CLN di Como erano più terrorizzati che onorati della cattura di Mussolini. Sollevavano ogni possibile eccezione per non guidare Lampredi e "Valerio" dove si trovava Mussolini. Si capiva che era giunto qualche agente americano per fare valere particolari diritti sulla persona di Mussolini. "Valerio" chiedeva istruzioni. La risposta fu semplice: "O fate fuori lui o sarete fatti fuori voi". Non ci fu — conclude Longo — bisogno di altro. Sentii sbattere il ricevitore sull'apparecchio telefonico e mi immaginai il colonnello "Valerio" filare dritto, dritto, senza più esitazione alcuna per la missione cui era stato comandato».
 
Il quartier generale alleato immediatamente informato della cattura di Mussolini, al mattino del 28 fa pervenire al CLNAI due pressanti messaggi; il primo dice: «Per CLNAI stop Comando alleato desidera immediatamente informazioni su presunta locazione Mussolini dico Mussolini stop Se est stato catturato si ordina egli venga trattenuto per immediata consegna at comando alleato stop Si richiede che voi portiate queste informazioni subito et notifichiate formazioni partigiane che avrebbero effettuato cattura del suddetto ordine che riceve assoluta precedenza».
 
Due ore dopo arriva il secondo messaggio: «Per CLNAI dico CLNAI stop XV gruppo d'armate desidera portare Mussolini et Graziani dico Mussolini et Graziani at sede comando alleato stop Se voi siete disposti a rilasciarli est possibile inviare quadrimotore per prelievo».
 
Gli alleati non avevano mai avuto così grande fretta nelle loro operazioni, ma gli italiani avevano più fretta di loro. Nel momento in cui incalzano con i loro messaggi, giustizia è già fatta. Ed è importante sia stata fatta dagli italiani in nome del popolo italiano.
 
Due giorni dopo, quando il col. Poletti, commissario per la Lombardia del governo militare alleato arriva a Milano, accompagnato dal col. Hancock OBE vicecommissario, si congratula con alcuni aperti «O.K.» per «il magnifico lavoro fatto». Al ricevimento dato in prefettura dalle autorità, in suo onore, il Poletti dichiara tra l'altro: «Siamo andati a spasso per Milano. Abbiamo trovato ordine, disciplina. Siamo stati anche a piazzale Loreto. Esprimiamo la nostra soddisfazione al CLNAI e ai partigiani per il magnifico lavoro fatto». A guisa di commento un ufficiale del seguito di Poletti cita una sentenza americana: «L'albero della libertà fiorisce solo là dove l'irrorano periodicamente col sangue dei tiranni e dei martiri».
 
Alla sera del 27 fanno il loro trionfale ingresso in Milano esultante i partigiani dell'Oltrepò, al mattino del 28 quelli della Valsesia e dell'Ossola: sono in ritardo sui piani prestabiliti, ma la realtà è sempre più complessa di ogni previsione. La loro non è stata una passeggiata, hanno dovuto aprirsi il varco combattendo; l'ultimo scontro prima di arrivare a Milano, quelli dell'Oltrepò l'hanno sostenuto a Casteggio ed i valsesiani si sono scontrati duramente col nemico prima di Novara, a Busto ed in altre località lungo la strada per Milano.
 
Impossibile se non con qualche accenno seguire il divampare del moto insurrezionale che si svolge con semplicità, ma fugacemente come in un film. A Brescia la popolazione è insorta all'arrivo dei partigiani. Dalla val Brenda i combattenti delle varie formazioni hanno fatto irruzione a Bergamo il 28. Tutta la zona compresa tra le Alpi Orobie a nord, il lago d'Iseo ad est ed il lago di Como ad ovest e la strada Brescia-Como sono libere. In quest'ultima città quelli delle Matteotti e delle Garibaldi hanno sgominato gli ultimi reparti della X Mas.
 
Nella Valcamonica ed in Valtellina le Fiamme verdi combattono le ultime battaglie; sin dal 26 i partigiani della Sondrio hanno liberato Chiesa Valmalenco mentre quelli della Stelvio sono a Sondalo. Dopo aver salvato le centrali elettriche, GL e Garibaldi irrompono a Sondrio. In queste ultime cruente azioni la 1a divisione alpina GL, subisce gravi perdite, cade tra gli altri il col. Edoardo Alessi, ma nulla ormai rimane di quello che avrebbe dovuto essere il fantomatico ridotto alpino che Pavolini intendeva attrezzare ad estrema difesa

 
 
 

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Un blog di: rossebandiere
Data di creazione: 15/11/2005
 
 

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