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Intervento alla camera 3 luglio 1992 - Bettino Craxi - parte 1

Post n°44 pubblicato il 22 Novembre 2006 da rossebandiere
 
Foto di rossebandiere

Il 3 luglio 1992 Bettino Craxi tiene un importante discorso alla Camera. Nel suo intervento, il leader socialista chiede a tutto il Parlamento, governo e opposizione, di assumersi la responsabilità di dare una soluzione politica alla crisi della Prima Repubblica.

Nella vita democratica di una Nazione non c’è nulla di peggio del vuoto politico.

Da un mio vecchio compagno ed amico che aveva visto nella sua vita i drammi delle democrazie, io ho imparato ad avere orrore del vuoto politico.

Nel vuoto tutto si logora, si disgrega e si decompone.

In questo senso ho sempre pensato e penso che un minuto prima che una situazione degeneri, bisogna saper prendere una decisione, assumere una responsabilità, correre un rischio. Non credo, Onorevole Amato, d’essere stato il solo ad aver tirato un sospiro di sollievo il giorno in cui Lei ed i suoi ministri avete giurato nelle mani del Capo dello Stato. Sono proprio convinto che il medesimo sentimento ha provato la grande maggioranza del Paese. Lo hanno di certo provato tutti coloro che avvertivano il rischio di una crisi troppo aspra e confusa, troppo prolungata, e valutavano il peso delle conseguenze ch’essa aveva già provocato e le più gravi che ancora avrebbe finito con il determinare.

La concretezza, la serietà e la sobrietà dei primi passi ch’ Ella ha già compiuto ottenendo la fiducia del Senato, confermano la buona scelta del Capo dello Stato e rendono ancor più convinta la fiducia che ci apprestiamo a dare in questa Assemblea al Suo governo ed al Suo programma di governo.

Nell’insieme, molto variegato, delle voci che La stringono d’assedio con i loro no, non sono fortunatamente mancati anche i buoni consigli, i propositi costruttivi, qualche apprezzamento, qualche disponibilità ad una collaborazione parlamentare. Ed è questa certamente una buona cosa se così effettivamente sarà. Chi invece ha definito il suo governo un governo “piccolo – piccolo”, ha solo dato prova di uno stile “piccolo – piccolo” usando, per la verità, argomenti così piccoli che al loro confronto il Suo Governo appare un gigante.

Onorevole Presidente del Consiglio, so bene che a Lei non manca né l’esperienza, né la competenza necessaria per distinguere i buoni argomenti critici, che possono avere un loro fondamento ed una loro logica, dagli argomenti pretestuosi e rumorosi che, come i sassi gettati nell’acqua, fanno solo cerchi sempre più larghi che poi scompaiono. Se crede, si conforti pensando a quanto capitò a me, quando ebbi la ventura di divenire il primo presidente socialista della storia del nostro paese. Fui salutato allora come «pericoloso per la democrazia» testualmente, di «spezzare l’infernale spirale della rincorsa a destra» e di combattere «i sogni decisionisti ed impotenti», sino a farneticare della presenza di «interventi autoritari» e di «elementi di regime e di gollismo strisciante»

Già allora, di rincalzo, tuonava da par suo il direttore di “Repubblica”, che nell’83 definiva quel governo: «Il ministero più partitocratrico che mai si fosse visto…». Mentre l’inserimento dell’Onorevole Scalfaro nella compagine governativa come Ministro degli Interni veniva considerato un «episodio squallido»

Il Suo Governo si presenta oggi con una base parlamentare ristretta e tuttavia può contare in partenza sulla maggioranza dei voti parlamentari.

Vi sono diversi studi nei quali si può leggere come in un ampio raggio delle democrazie parlamentari di tutto il mondo, i gabinetti di minoranza hanno costituito circa un terzo di tutti i governi del dopoguerra. In Italia, una maggioranza limitata viene invece considerata e trattata come una minoranza anche se l’esperienza italiana di tante legislature sta a dimostrare che l’ampiezza delle maggioranze non corrisponde affatto ai risultati legislativi. Sta di fatto che dopo il risultato elettorale del 5 aprile che aveva ridotto, principalmente a causa di una sensibile perdita della DC, la rappresentanza parlamentare della formula di coalizione e di governo dell’ultimo anno della legislatura, sarebbe stato di certo più utile e più ragionevole realizzare una coalizione più ampia. Questa possibilità non si è concretata perché non si sono mai viste insieme tante disponibilità da un lato e tante indisponibilità dall’altro. Mai la dialettica politica aveva registrato insieme tante aperture e tante chiusure, tante offerte e tanti rifiuti. Difficile indagarne tutte le cause. Esse sono certamente varie, diverse e differenti tra loro. Di certo, questa rigidità non è apparsa affatto derivare da insanabili divergenze di ordine programmatico tra le forze che avrebbero potuto ricercare e trovare un terreno comune di intesa ed una collaborazione anche graduata. Un programma è sempre frutto di una trattativa. Lo si accetta o lo si respinge dopo aver condotto e sperimentato un negoziato. Non c’è stata invece nessuna base di trattativa e nessun negoziato, ci sono stati prevalentemente dei veti e delle pregiudiziali, con l’illustrazione di argomenti e di condizioni, varie e variabili, tutt’altro che convincenti.

Viene fatto di ripetere con il grande inglese: «Una causa debole e ingiusta non ammette trattative (Enrico IV – Parte II) »avvenuto ed avviene poiché le cose che avvengono non possono non avere un qualche senso politico, in attesa di un giorno che verrà e di un messia che non è ancora arrivato.

In particolare, dall’area delle forze che costituivano la precedente formula di governo sono stati rivolti tanto al PDS che al PRI insistenti inviti. Ciò è stato fatto anche in forma tale da collocare questi partiti, insieme o separatamente, in una notevole posizione arbitrale di forza ed influenza. Il tutto come si sa ha finito solo con il girare su se stesso. Debbo supporre che tutto ciò è

Ed è così che, mentre da un lato si protesta per il ritorno ad un vecchio equilibrio e ad una formula considerata prematuramente morta e sepolta, dall’altro tutti hanno potuto costatare che non si sono fatte avanti né ipotesi di coalizione diverse, né alternative concrete realistiche, praticabili, salvo, per la verità, il delinearsi sullo sfondo delle sagome di ipotesi tecniche e istituzionali, buone forse a governare solo fasi di transizione e di brevissimo periodo.

Si è così alla fine rinsaldato un legame di solidarietà, che per la verità non si era mai interrotto tra i quattro partiti della precedente maggioranza ed ha ripreso corpo la formula precedente con il concorso della SVP e dell’Union Valdotain e di altri illustri parlamentari. Essa si presenta, allo stato delle cose, come la sola concretamente possibile, la sola disponibile a prendere su di sé le difficili responsabilità del momento per porre fine ad un vuoto politico, per dare un governo al Paese, per evitare un avvio inconcludente e disastroso della legislatura.

E’ stata un’assunzione di responsabilità inevitabile, necessaria, doverosa. E’ una soluzione destinata ad andare incontro a molte difficoltà che si potranno superare se la solidarietà tra le forze politiche si mostrerà reale e non apparente ed anche e meglio ancora se i dialoghi possibili si riveleranno effettivamente tali. Una soluzione che avrà al contrario vita tormentata, corto respiro, e raggio d’azione limitato se la coalizione a quattro risulterà in concreto essere o costretta ad essere a cinque, a sei, a sette, a causa delle divisioni che si potrebbero manifestare all’interno dei partiti della coalizione.

Certo è che sarà proprio in tutta questa complessa e difficile fase di avvio che si decideranno le sorti della legislatura. Una legislatura che ha un grande dovere cui assolvere e che ha di fronte a sé compiti di eccezionale portata.

Sono doveri e compiti che derivano in primo luogo da una crisi che non è una semplice crisi politica di forze e di rapporti e relazioni tra le forze. Essa è in realtà la profonda crisi di un intero sistema. Del sistema istituzionale, della sua organizzazione, della sua funzionalità, della sua credibilità, della sua capacità di rappresentare, di interpretare e di guidare una società profondamente cambiata che deve poter vivere in simbiosi con le sue istituzioni e non costretta ad un distacco sempre più marcato. Del sistema dei partiti, che hanno costituito l’impianto e l’architrave della nostra struttura democratica, e che ora mostrano tutti i loro limiti, le loro contraddizioni e degenerazioni al punto tale che essi vengono ormai sistematicamente screditati ed indicati come il male di tutti i mali, soprattutto da chi immagina o progetta di poterli sostituire con simboli e poteri taumaturgici che di tutto sarebbero dotati salvo che di legittimità e natura democratica.

 


dall’Onorevole Berlinguer, per poi sentire in quegli anni l’Onorevole Occhetto proclamare la necessità, cito

 
 
 

Intervento alla Camera del 3 luglio 1992 - Bettino Craxi. parte 2

Post n°43 pubblicato il 22 Novembre 2006 da rossebandiere
 
Foto di rossebandiere

Sono immagini e progetti che contengono il germe demagogico e violento di inconfondibile natura antidemocratica.

E’ vero che nel tempo si sono accumulati molti ritardi per tanti fattori negativi, per miopia, velleitarismo, conservatorismo. Tutto ciò è avvenuto in modo tale che il logoramento del sistema ha finito con il progredire inesorabilmente come non era difficile prevedere. Ora non c’è più molto tempo a disposizione, ci sono dei processi di necrosi che sono giunti ormai ad uno stadio avanzato. Il Parlamento deve reagire alto e lontano dando innanzitutto l’avvio ad una fase costituente per decidere rapidamente riforme essenziali di ammodernamento, di decentramento, di razionalizzazione.

Serviranno a ridare efficienza e prestigio alle Camere, a rompere un centralismo dello Stato, per parte sua duro a morire, rafforzando i poteri e l’autonomia delle Regioni, come suggeriamo nel nostro programma, sino ai limiti del federalismo, a garantire autorevolezza e stabilità all’Esecutivo. Bisognerebbe porre mano subito alla riforma delle leggi elettorali con uno sguardo rivolto ai modelli ed alle esperienze delle democrazie europee ed uno rivolto alle tradizioni della democrazia italiana. Nella vita e nella organizzazione dello Stato si sente non solo un grande bisogno di un più ampio decentramento ma anche una necessità urgente di accelerare i processi di modernizzazione, di semplificazione, di flessibilità, nei rapporti con i cittadini, con le attività produttive, con la vita sociale. C’è un problema di moralizzazione nella vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche. E’ tornato alla ribalta, in modo devastante, il problema del finanziamento dei partiti, meglio del finanziamento del sistema politico nel suo complesso, delle sue degenerazioni, degli abusi che si compiono in suo nome, delle illegalità che si verificano da tempo, forse da tempo immemorabile.

In quest’Aula e di fronte alla Nazione, io penso che si debba usare un linguaggio improntato alla massima franchezza.

Bisogna innanzitutto dire la verità delle cose e non nascondersi dietro nobili e altisonanti parole di circostanza che molto spesso, e in certi casi, hanno tutto il sapore della menzogna. Si è diffusa nel Paese, nella vita delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica. Uno stato di cose che suscita la più viva indignazione, legittimando un vero e proprio allarme sociale e ponendo l’urgenza di una rete di contrasto che riesca ad operare con rapidità e con efficacia. I casi sono della più diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e di asocialità. Purtroppo, anche nella vita dei partiti molto spesso è difficile individuare, prevenire, tagliare aree infette, sia per la impossibilità oggettiva di un


controllo adeguato, sia, talvolta, per l’esistenza ed il prevalere di logiche perverse. E così, all’ombra di un finanziamento irregolare ai partiti, e ripeto, al sistema politico, fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e di concussione, che come tali vanno definiti, trattati, provati e giudicati. E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale.

I partiti, specie quelli che contano su appartati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.

E del resto, andando alla ricerca dei fatti, si è dimostrato e si dimostrerà che tante sorprese non sono in realtà mai state tali. Per esempio, nella materia tanto scottante dei finanziamenti dall’estero, sarebbe solo il caso di ripetere l’arcinoto “tutti sapevano e nessuno parlava”.

Un finanziamento irregolare ed illegale al sistema politico, per quanto reazioni e giudizi negativi possa comportare e per quante degenerazioni possa aver generato, non è e non può essere considerato ed utilizzato da nessuno come un esplosivo per far saltare un sistema, per delegittimare una classe politica, per creare un clima nel quale di certo non possono nascere né le correzioni che si impongono né un’opera di risanamento efficace, ma solo la disgregazione e l’avventura.

Del resto, nel campo delle illegalità, non ci sono solo quelle che possono riguardare i finanziamenti politici. Il campo è vasto, e vi si sono avventurati in molti, come i fatti spero si incaricheranno di dimostrare aiutando tanto la verità che la giustizia.

A questa situazione va ora posto un rimedio, anzi più di un rimedio.

E’ innanzitutto necessaria una nuova legge che regoli il finanziamento dei partiti e che faccia tesoro dell’esperienza estremamente negativa di quella che l’ha preceduta.

Altre proposte ed altri rimedi sono già sul tavolo. Vi aggiungeremo le nostre, sollecitando un dibattito parlamentare chiarificatore, serio e responsabile, su tutti gli aspetti di questa questione.

Se la legislatura imbocca la sua strada maestra, allora non troverà il tempo per fermarsi. Nel lavoro costituente, nelle decisioni di riforma, l’allentamento delle rigidità, delle contrapposizioni e delle incomunicabilità, daranno ossigeno all’intero sistema e daranno forza alle ragioni di tutti.

Ne trarranno giovamento i partiti che vogliono percorrere una stagione di rinnovamento interno, di revisione degli statuti, di riforma alle regole, di ricambio degli uomini, di promozione di nuove associazioni tra loro e di più strette alleanze. Anche il Governo sarà aiutato ad avanzare

 


lungo i binari del buon programma che si è dato dovendo affrontare le emergenze che ci stringono d’assedio: in primo luogo quella economica e quella criminale. Se così non sarà, e certo non me lo auguro, la sorte della legislatura scivolerà su di un piano inclinato e sarà allora rapidamente segnata.

Non me lo auguro innanzitutto per il Paese. Per la sua economia che ha bisogno di un clima di operosità, di fiducia e di collaborazione sociale. Un’economia che deve essere aiutata a ritrovare iniziativa e competitività, per i livelli occupazionali, a cominciare dall’occupazione nell’industria che ha già ricevuto duri colpi ed altri può purtroppo riceverne ancora.

Per il riequilibrio della finanza pubblica che è urgente, necessario, non rinviabile. Un record mondiale negativo che in questi anni dobbiamo riuscire a toglierci di dosso nell’interesse di tutti, levando dal nostro futuro una grave incognita ed una tagliente spada di Damocle. Ridefinire e riselezionare la spesa sociale e le protezioni dello Stato sociale senza smantellarlo secondo le invocazioni dei peggiori conservatori. Anche questo è necessario, urgente, non rinviabile nell’interesse soprattutto dei più deboli, di coloro che più sono bisognosi di sostegno e di protezione. Sono questi gli anni del passaggio verso un’Europa più unita, più integrata e, augurabilmente, più coesa.

E tuttavia, quando si sentono magnificare i nuovi traguardi europei come se si trattasse di una sorta di Paradiso terrestre che ci attende, c’è solo da rimanere sconcertati. E’ naturalmente fondamentale che l’Italia riesca a raggiungere il passo dei suoi grandi partners europei e che per far questo si mostri capace di compiere tutti gli sforzi che debbono essere compiuti. Diversamente si produrrebbe una frattura di portata storica nelle linee di fondo del nostro progresso. E tuttavia, dobbiamo insistere a chiederci quale Europa vogliamo e verso quale Europa vogliamo indirizzarci. Non verso un’Europa sottratta ad ogni controllo dei poteri democratici. Non verso politiche determinate solo sulla base di criteri macroeconomici, indifferenti di fronte alla valutazione dei costi sociali. Un’Europa fondata su di un mercato unico, aperto e libero ma il cui sviluppo non contraddica il principio che gli anglosassoni definiscono come “il mercato più la democrazia”. Non un’Europa in cui la modernizzazione diventi brutalmente sinonimo di disoccupazione. Un’Europa dove le rappresentanze sindacali abbiano un loro spazio, una loro dignità ed una loro influenza. Un’Europa che guardi al proprio riequilibrio interno ma anche all’altra Europa che si è liberata dal comunismo ma che rischia di restare ancora separata e divisa non più, come è stato detto, «dalla cortina di ferro ma dal muro del danaro».

Un’Europa capace di una vera politica estera e di una più larga apertura verso il mondo più povero che preme alle porte dell’Europa e che ha assolutamente bisogno di un acceleratore che gli consenta di uscire dalla depressione, dalla stagnazione e dal sottosviluppo, senza di che le ondate migratorie diventeranno sempre più incontrollabili.

 


Sono gli interrogativi che ci poniamo, partendo dalla nostra fede nelle democrazie europee, dalle nostre convinzioni europeistiche, dal contributo che abbiamo direttamente dato per aprire la strada ad un nuovo capitolo della costruzione europea.

Onorevole Presidente del Consiglio, nella vita delle Nazioni e nella storia, gli eroi e i martiri sono sempre stati un grande esempio ed una formidabile leva morale. Nel loro nome si sono potute realizzare grandi imprese. Il giudice Falcone è ora un eroe ed un martire del nostro tempo. Spero che il Governo, le forze dell’ordine, la magistratura, tutti gli apparati dello Stato, uomini liberi e coraggiosi, cittadini di buona volontà, riescano a realizzare nel suo nome una grande e vittoriosa impresa contro le grandi organizzazioni criminali. Essi avranno in questa lotta tutto il nostro sostegno, la nostra collaborazione, la nostra solidarietà.

Onorevole Presidente, non è solo il Suo Governo a trovarsi su di un crinale difficile e lungo un sentiero stretto. E’ il sistema della democrazia italiana nel suo insieme che è giunto ad un punto particolarmente critico. Pensando a questo mi è tornata alla mente una famosa frase che il Generale De Gaulle pronunciò di fronte ad una grave crisi politica in cui era precipitata l’Italia: «L’Italie est en l’heure de la Quatrième». E si riferiva al passaggio traumatico tra la Quarta Repubblica in disfacimento e la Quinta.

Voleva essere una frase profetica ma non lo fu. La democrazia italiana ha sempre superato le sue crisi, ha percorso vicende alterne di involuzione e di progresso ma le sue istituzioni non sono mai state travolte da un evento traumatico. Non so cosa si propongano oggi tutti coloro che mirano al peggio, che alimentano ogni forma di qualunquismo, che utilizzano la politica, l’informazione, lo spettacolo, come mezzi puramente distruttivi.

Penso che in un momento così teso e così difficile siano più che mai necessarie una grande consapevolezza ed una grande responsabilità democratica. Sono necessarie per voltare le pagine che debbono essere voltate e per guidare ed accompagnare il sistema, con fermezza e con serenità, verso un nuovo capitolo della nostra storia democratica.

Sono certo che il Suo Governo possiede questa consapevolezza e che si adopererà per svolgere con impegno la parte e il compito che gli spetta. Anche questa è una delle buone e fondamentali ragioni per le quali, Signor Presidente, Le assicuriamo ad un tempo la nostra fiducia e la nostra attiva collaborazione.

 

 

 
 
 

Il partito, le masse e l'assalto al cielo

Post n°42 pubblicato il 30 Giugno 2006 da rossebandiere
 

Pietro Secchia, a cura di Marcello Graziosi: Il partito, le masse e l'assalto al cielo – scritti scelti

 

A chi si batte ogni giorno per la prospettiva del socialismo

Ai giovani che si avvicinano per la prima volta alla politica

Ai popoli che, con o senz'armi, resistono contro le aggressioni imperialiste

 

Questa antologia di scritti di Pietro Secchia intende essere uno strumento per il lavoro politico presente e futuro, un segnale di lotta e di speranza per tutti coloro che si interrogano sul senso dell'essere comunisti nel XXI secolo, piuttosto che una semplice rievocazione dei fasti passati, utile solamente a fini di studio.

Lottare e mobilitarsi a fianco di chi è colpito dal sistema capitalistico su obiettivi concreti, senza dimenticare la prospettiva futura: cosi il PCI, dopo il 1929, è divenuto un grande partito di massa senza perdere, almeno fino alla fine degli anni '50, le proprie caratteristiche di «partito di quadri» e «partito comunista».

 

Questa è - in sintesi - la parte migliore dell'eredità di Secchia, se si vuole superare da una parte la rievocazione agiografica e, dall'altra, la vera e propria rimozione subita da questa figura di dirigente comunista. Da tutti gli scritti di Secchia, oltre al rigore storico ed analitico, traspare nettamente il tentativo di rendere viva, attuale e perseguibile non solo la «democrazia progressiva», ma anche la prospettiva rivoluzionaria. Una lezione che rifugge da ogni elemento di staticità o dogmatismo, per porsi su un terreno di grande dinamicità e creatività, lo stesso che dovrebbe orientarci nella ricerca relativa all'essere comunisti nel XXI° secolo.

 

Oltre a quanto sopra esposto e ad una bibliografia finale relativa alle opere fondamentali di e su Pietro Secchia, la raccolta contiene brevi premesse, che potrebbero rivelarsi utili per chi volesse iniziare ad approfondire i singoli argomenti presi in esame.

 

La Città del Sole

Vico Latilla,18 - 80134 - Napoli
info@lacittadelsole.net - www.lacittadelsole.net

2006

Pagine 204

Prezzo di copertina: 10.00 Euro

 
 
 

I Comunisti e la Costituente

Post n°41 pubblicato il 23 Giugno 2006 da rossebandiere
 

da Rinascita, I comunisti e la Costituente, Anno III, n. 4, aprile 1946
trascrizione e conversione in html a cura del CCDP


E'arrivata per 1'Italia l'ora delle grandi decisioni: il 2 giugno il popolo italiano eleggerà la Costituente. Per la prima volta nella sua storia esso potrà liberamente giudicare uomini e istituti del passato e decidere la sorte del paese per l'avvenire. Il passato è il fascismo, la monarchia, la guerra infame contro la libertà dei popoli e contro gli interessi della Nazione, la disfatta militare, la rovina, il disastro nazionale. Dall'abisso in cui è precipitato il popolo italiano si ergerà dinnanzi ai responsabili delle sue sciagure e, giudice implacabile dei loro misfatti, pronuncerà il verdetto definitivo. La monarchia, complice del fascismo e di tutti i suoi crimini, già condannata nella coscienza degli italiani, sarà definitivamente eliminata dalla vita nazionale. Spetterà agli elettori, donne e uomini, gettare le basi di una Italia nuova, libera, indipendente, democratica, progressiva, nella quale non sia mai più possibile che il fascismo rinasca, e siano aperte al popolo tutte le vie del progresso politico e sociale.

A tutti i cittadini italiani il Partito comunista presenta il suo programma, che è programma di rinnovamento democratico e ricostruzione del paese nell'interesse dei lavoratori.
Per assicurare le libertà del popolo e garantirle contro ogni minaccia di rinascita reazionaria e fascista, i comunisti rivendicano prima di tutto: la soppressione dell'istituto monarchico, complice del fascismo, riparo e centro di organizzazione di tutte le forze reazionarie ancora in agguato e la proclamazione della Repubblica democratica dei lavoratori.

Nella Costituzione repubblicana devono essere garantite tutte le libertà del cittadino:
la libertà di parola, di domicilio, di riunione, di organizzazione sindacale e politica, di stampa;
la libertà di coscienza, di culto, di propaganda e di organizzazione religiosa;
parità di diritti economici e politici agli uomini, alle donne, ai giovani, a tutti i cittadini, qualunque siano la loro razza, la loro posizione sociale, le loro convinzioni politiche o religiose.

Nella Repubblica democratica italiana dovranno però essere prese misure efficaci per impedire ogni tentativo di ridare vita aperta o clandestina al fascismo.
Libertà a tutti i cittadini, ma nessuna libertà a coloro che vogliono sopprimere le istituzioni democratiche.

Nella Costituzione repubblicana dovranno essere proclamati e sanciti i nuovi diritti dei lavoratori del braccio e della mente.
Il diritto al lavoro, al riposo, all'educazione, all'assicurazione sociale contro le malattie, la disoccupazione, l'infortunio e la vecchiaia.
A garanzia di questi nuovi diritti deve stare un nuovo concetto sociale della proprietà, che pur riconoscendo ampi limiti allo sviluppo della iniziativa privata per la ricostruzione nazionale, permetta allo Stato di combattere contro i privilegi della plutocrazia e di intervenire con efficacia per alleviare le miserie del popolo.

I comunisti propongono che la Repubblica sia organizzata sulla base parlamentare, riconoscendo il popolo come depositario della sovranità nazionale, dando piena autonomia agli organismi locali senza sovrapposizioni e inciampi burocratici, riconoscendo alla Sicilia e alla Sardegna diritti di regioni autonome nel quadro dello Stato italiano, attribuendo alla regione determinate funzioni, ma senza spezzare la compagine organica dello Stato unitario.

La Magistratura dovrà essere organizzata come potere giudiziario indipendente, sulla base di un radicale miglioramento della condizione economica dei magistrati e facendo larga parte al principio elettivo.

Per sradicare i privilegi di quei gruppi economici ancora semifeudali e monopolistici, che sono stati gli artefici del fascismo, della guerra e del disastro nazionale, il Partito comunista, deciso a sostenere nella Costituente il programma di rinnovamento economico proposto dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro, rivendica:
la nazionalizzazione della grande industria monopolistica essenziale ai fini della riorganizzazione industriale, dei servizi pubblici, delle grandi banche e delle società di assicurazione;
la istituzione di Consigli di gestione con rappresentanza di tutti i fattori che contribuiscono alla produzione;
la difesa dell'artigianato e della piccola e media industria;
una profonda riforma agraria che tenda a eliminare la grande proprietà latifondista, ad avviare la grande azienda verso forme di conduzione cooperativa, a rinnovare i contratti agrari a favore dei coltivatori, a estendere, proteggere e aiutare la piccola e media proprietà, a far sparire la disoccupazione cronica, a elevare la produttività generale dell'agricoltura italiana.

Per garantire all'Italia una pace giusta e ridare alla nazione italiana liberata dal fascismo il posto che le spetta nel consesso degli Stati democratici e nella organizzazione delle Nazioni Unite, il Partito comunista propugna una politica estera che ripudi decisamente e per sempre ogni tendenza nazionalistica e ogni velleità di militarismo e di imperialismo. I comunisti considerano esiziale al paese e respingono una politica estera che speculando su dissensi tra le grandi potenze democratiche tenda a fare dell'Italia lo strumento di gruppi imperialistici stranieri e denunciano le campagne di provocazione sciovinistica e di calunnie contro l'Unione Sovietica le quali, ostacolando i nostri rapporti con questo grande paese, aggravano ancora di più la già difficile situazione d'Italia.

L'Italia deve fare una politica di amicizia e intesa con l'Unione Sovietica come con le altre grandi potenze democratiche, di comprensione e collaborazione con le nazioni confinanti a occidente e oriente, rifiutando di aderire a qualsiasi blocco di potenze rivali.
Scopi concreti di questa politica estera devono essere innanzitutto:
la fine dell'occupazione alleata e del controllo alleato e il ritiro da ogni regione italiana di qualsiasi forza militare straniera;
una pace giusta che non umili il popolo italiano, lasci all'Italia la città italiana di Trieste, e in tutti i campi tenga conto dello sforzo fatto dal popolo italiano per l'annientamento del fascismo, e dei sacrifici da esso sopportati nella guerra di liberazione;
la riconquista della piena indipendenza nazionale;
la garanzia al popolo italiano della pace che è indispensabile per la ricostruzione economica e politica e per il rinnovamento sociale del Paese.

L'opera della Costituente sarà vana se il governo che uscirà da questa assemblea non adotterà immediatamente un programma di misure economiche di emergenza allo scopo di far fronte subito alle miserie dei lavoratori, dei senza tetto, dei reduci, alla disoccupazione, alla insufficienza dei salari e degli stipendi, al pauroso aumento della tubercolosi e della mortalità infantile. Per questo il Partito comunista propugna:
un vastissimo programma di lavori pubblici nelle città e nelle campagne e in prima linea la sistematica ricostruzione delle case, con l'intervento dello Stato e dei Comuni per stimolare la iniziativa privata e sostituirsi ad essa se indispensabile per il bene della Nazione;
un miglioramento dei salari e degli stipendi reali e l'istituzione di un efficace sussidio di disoccupazione;
l'aumento delle pensioni ai vecchi lavoratori;
la rapida liquidazione delle pensioni alle famiglie dei caduti e ai mutilati ed invalidi sia per causa della guerra di liberazione nazionale, sia per causa della guerra imposta dal fascismo al popolo italiano;
il risarcimento dei danni ai sinistrati di guerra e vittime di rappresaglie tedesche, escludendo invece dal risarcimento coloro che dalla guerra e dal fascismo hanno tratto profitto e che hanno collaborato con l'invasore;
la riorganizzazione dell'assistenza sanitaria ai lavoratori e una vasta campagna nazionale di solidarietà per la salvezza dell'infanzia;
e, allo scopo di avere i mezzi necessari alla realizzazione di queste misure senza compromettere la stabilità della moneta:
la confisca effettiva e rapida dei profitti fascisti e di guerra;
l'appello al risparmio mediante un grande prestito per la ricostruzione;
una imposta straordinaria sui grandi patrimoni;
la riorganizzazione di tutto il sistema tributario, in modo che la imposta, semplificata, venga pagata dagli abbienti e non gravi in modo intollerabile sui lavoratori e sui produttori piccoli e medi.

Per la realizzazione di questo programma di profondo rinnovamento democratico e sociale il Partito comunista auspica la unità dei lavoratori e di tutte le forze sinceramente democratiche e progressive. Qualunque sia l'esito elettorale il Partito comunista sosterrà in seno alla Costituente la necessità di una particolare collaborazione di quei partiti che hanno più largo seguito nelle masse lavoratrici.

I comunisti lavorano e lottano per l'unità materiale e morale del popolo italiano. Essi invitano a votare per loro tutti i cittadini i quali vogliono che attraverso una politica costruttiva di unità nazionale l'Italia abbia garantito un governo stabile, che la guidi con fermezza sulla via della ricostruzione.

Repubblica, pace e lavoro.
Unità del popolo attorno alle bandiere della democrazia.
La maggioranza del popolo attorno alle bandiere del Partito comunista, per la rinascita e il rinnovamento d'Italia.
Questo dovrà essere, il 2 giugno, il responso delle urne.
Viva la Repubblica democratica dei lavoratori!
Viva il Partito Comunista Italiano!

Il Comitato Centrale Del Partito Comunista Italiano

 
 
 

III Confrenza Nazionale dei Giovani Comunisti (Prc)Sintesi doc.2 (Giovani e Comunisti-moz.Essere Comunisti)

Post n°38 pubblicato il 26 Maggio 2006 da rossebandiere
 

Giovani e Comunisti oggi:

trasformiamo il presente, conquistiamo il futuro!

La III Conferenza Nazionale costituisce un passaggio fondamentale nel progetto di costruzione, in Italia, di una moderna e forte organizzazione giovanile comunista; un momento importante di confronto delle nostre lotte e delle nostre speranze in una fase molto complessa, sia sul versante della congiuntura politica nazionale, sia su scala internazionale. I Giovani Comunisti devono prioritariamente sottrarsi ad ogni rischio di appiattimento istituzionale, alla tentazione di porsi sul terreno dell’interlocuzione con un “governo amico”. Noi abbiamo duramente criticato la linea assunta dal partito nel processo d’ingresso nel governo di centrosinistra, abbiamo denunciato la debolezza dell’impianto programmatico dell’Unione, le sue contraddizioni, l’assenza di ferme discriminanti sui nodi centrali del lavoro, della politica estera, della pace, dell’istruzione. In linea con questo orientamento, pensiamo che la nostra organizzazione non abbia  un’altra alternativa che non sia quella di radicarsi e rafforzarsi nelle lotte, raccogliere le forze e le speranze migliori, per invertire il ciclo della precarietà, di una condizione giovanile sempre più difficile ed iniziare quel necessario cammino verso la trasformazione di questa società, verso il superamento del capitalismo.

Il percorso che ci ha condotti alla Conferenza non è di  buon auspicio e non ci aiuta ad affrontare questo momento importante con serenità. La maggioranza del gruppo dirigente si è rifiutata di presentare una proposta di documento che fosse da stimolo per la discussione generale, che proponesse un terreno di confronto su cui misurare le proposte. Scegliendo la strada della chiusura e del muro contro muro si è scelto di perpetuare le differenze che ci avevano diviso in passato, con una prospettiva di totale chiusura al dialogo. Per parte nostra, non abbiamo potuto fare altro che avanzare una proposta politica complessiva.

Nella società italiana esiste una gigantesca “questione giovanile”. La precarietà è la condizione dominante del nostro tempo, una piaga che segna profondamente le giovani generazioni, non solo le condizioni di lavoro, ma la totalità della vita. Nel contempo la disoccupazione giovanile costituisce una drammatica realtà, accompagnata all’esclusione dall’istruzione e dalla formazione, di larghe fasce di popolazione. La nostra è un’epoca di enorme arretramento sul terreno dei diritti, delle garanzie, della solidarietà; una fase storica figlia delle sconfitte del movimento operaio, attraversata dall’avanzata feroce del liberismo, del capitalismo più aggressivo, delle guerre, dell’imperialismo. Ma il nostro tempo ha visto anche il riemergere delle forme di conflitto, quei movimenti che, animati da centinaia di migliaia di giovani, hanno favorito la riscoperta della partecipazione di massa, della lotta, ridando forza alle aspirazioni di pace e di giustizia sociale. Da Genova alle mobilitazioni internazionali contro la guerra e contro il neoliberismo, le giovani generazioni hanno rialzato la testa ed hanno dimostrato di poter vincere, come testimonia la vittoriosa lotta contro il Contratto di Primo Impiego in Francia.

Tuttavia i GC hanno il dovere d’interrogarsi, oggi, sulle difficoltà del movimento e sulle sue contraddizioni; esiste un oggettivo logoramento dell’opposizione sociale ed un complessivo  spostamento  a destra della società italiana; siamo in presenza di un grande arretramento del movimento in luogo di una consistente offensiva delle forze moderate (anche interne all’Unione). Non possiamo far finta di non vederlo. I GC hanno dunque un compito difficile: costruire ovunque esperienze di conflitto, nei luoghi di studio e di lavoro, nei contesti di aggregazione giovanile, sfuggendo alle sirene di un nuovo patto sociale. 

L’iniziativa politica dei GC deve ripartire da una nuova stagione di mobilitazioni di massa, nella prospettiva del superamento di questa società, contro la guerra, le ineguaglianze, l’imperialismo. E’ possibile ricominciare, evitando atteggiamenti settari e rifuggendo sterili forme di ribellismo. I continui cambiamenti di linea imposti dal gruppo  dirigente di maggioranza della nostra organizzazione, non hanno favorito la costruzione di un forte intervento politico in tutti gli ambiti di lotta e di conflitto; abbiamo assistito a continue variazioni, dalla disobbedienza alla non violenza, dalla critica al quadro politico all’accordo incondizionato con l’Unione. Tutto ciò ha segnato negativamente lo sviluppo del lavoro politico dei GC, limitandone l’autonomia politica e producendo un oggettivo indebolimento dell’organizzazione. Si disse, nella fase della scorsa Conferenza, che la forma partito era qualcosa di superato, residuo del passato. Oggi invece, di fronte alla crisi fisiologica dei movimenti, possiamo ribadire quanto sia realmente importante il rafforzamento di un’organizzazione giovanile comunista. Questa rappresenta la sola possibilità che abbiamo per tradurre le contraddizioni della realtà in proposta politica, unendo mille lotte in un’unica battaglia: quella per il superamento del capitalismo, per il socialismo. Per questo vogliamo preservare l’autonomia dei GC come organizzazione politica. Un partito comunista non potrebbe mai vivere senza i movimenti, ma senza un’organizzazione, senza un partito capace di aggregare le forze migliori, non sarà mai possibile raggiungere l’obiettivo per il quale esistiamo e ci battiamo: la costruzione di un mondo nuovo, fuori dal capitalismo e dalla guerra.

La condizione giovanile non è slegata, evidentemente, dal contesto sociale complessivo, dove crescono progressivamente le disuguaglianze. Nelle aree produttive del Nord del nostro Paese, la classe lavoratrice è sempre più frammentata ed indebolita; la divisione e la crescente crisi sociale hanno favorito la diffusione di una cultura  ferocemente individualista, ostile a qualsiasi idea di solidarietà. Da qui l’importanza della battaglia per la centralità del lavoro a tempo indeterminato, necessaria per contestare alla radice quel modello sociale. La questione meridionale è un nodo irrisolto della storia dell’Italia unita. Il Mezzogiorno, mantenuto in una condizione strategica di subalternità,  diventa oggi, per il ricco Nord, una discarica dove riversare produzioni inquinanti, installare basi militari, dove favorire la politica di differenziazione salariale. L’intervento pubblico è totalmente assente, se non inutili opere come il Ponte sullo Stretto. I GC devono ridare centralità alla questione meridionale, con nuove mobilitazioni (una nuova “Marcia per il Mezzogiorno”) per il rilancio del diritto al lavoro, contro la piaga di una nuova emigrazione di massa dei giovani meridionali, per uno sviluppo sostenibile, fondato sui servizi sociali e su infrastrutture realmente essenziali al tessuto sociale del Sud. Non siamo soli: nel Mezzogiorno abbiamo assistito negli ultimi anni alla rinascita di grandi movimenti (Scanzano, Melfi, Acerra) e nel solco di queste esperienze la nostra organizzazione deve diventare il centro di aggregazione delle lotte e il punto di riferimento delle mobilitazioni, insieme ad un lavoro politico che individui nella lotta alla criminalità e alle mafie un proprio carattere specifico.

Le conquiste ed i diritti dei lavoratori, frutto delle grandi lotte degli anni ’60 e dei primi anni ’70, sono pesantemente sotto attacco. Il capitale è passato alla controffensiva e la precarietà altro non è che la dimensione, totalizzante e drammatica, imposta al mondo del lavoro in questa fase; non un elemento avulso dal più generale contesto del conflitto capitale-lavoro. Per rafforzare le lotte del precariato ed avanzare verso una Campagna Nazionale contro la Precarietà, occorre dunque una ricomposizione delle forze sociali, contro la frammentazione, per l’unità dei lavoratori: è questo il terreno centrale di lotta e di mobilitazione, anche per le giovani generazioni. In questa prospettiva i GC devono battersi per la cancellazione della Legge 30, senza tornare al Pacchetto Treu, per la riunificazione di tutti i contratti, a livello collettivo e nazionale, per una nuova scala mobile che adegui i salari all’inflazione reale, per riqualificare i centri per l’impiego e per il collocamento pubblico. Occorre una forte iniziativa per una proposta di legge che  preveda un’attività minima e garantita, di ricerca o di produzione: sarebbe un importante argine al dilagare della precarietà e dell’incertezza delle giovani generazioni.

Insieme al lavoro, anche la scuola e l’Università subiscono una gigantesca opera di smantellamento, in favore dell’istruzione privata, della selezione di classe, della precarizzazione della ricerca. I processi di privatizzazione della scuola pubblica si sommano alla trasformazione delle Università in azienda; la riforma Moratti, poi, introduce nuovamente una forma di avviamento professionale: i ragazzi sono obbligati a “scegliere” a 13 anni tra istruzione liceale e scuola professionale; il risultato è una scuola di classe che divide i figli dei lavoratori dai figli delle classi agiate. Contro questo scenario e superando i limiti di organizzazione, di radicamento e di piattaforma politica, i GC devono costruire un percorso di mobilitazioni di massa, con forme di lotta permanenti in grado di arginare le dinamiche di riflusso del movimento degli studenti e rilanciare la lotta per la cancellazione delle riforme Moratti e Zecchino, per l’aumento degli investimenti per la scuola, per il recupero del suo carattere pubblico e laico, per un reale diritto allo studio, per la gratuità dell’iscrizione e di servizi fondamentali come mense e trasporti.

Viviamo in una società in cui le relazioni umane subiscono una costante mercificazione; la lotta per il superamento del capitalismo, per il socialismo, deve fare i conti con un nuovo imbarbarimento dei rapporti sociali. Nuovi problemi, nuovi bisogni e nuove esigenze si manifestano nel nostro tempo: l’esclusione e lo sfruttamento dei migranti, le loro condizioni disumane di vita e di lavoro, l’emergenza delle carceri italiane, vere e proprie discariche dei soggetti più deboli ed emarginati della nostra società, l’offensiva proibizionista, l’attacco reazionario all’autodeterminazione delle donne (in questo senso occorre vigilare  in difesa della legge 194), ai diritti di gay, lesbiche, transessuali. La lotta in difesa dei diritti di tutti i soggetti sotto attacco e per la conquista di nuove libertà civili, costituisce un fronte decisivo per i GC: la nostra lotta è la lotta di tutte le culture di liberazione, vecchie e nuove, dal femminismo all’antiproibizionismo.

L’arretramento delle forze democratiche ha prodotto anche una pesante offensiva revisionista contro la memoria storica antifascista. La Resistenza è sotto accusa (si punta allo stravolgimento della Costituzione) ed è necessario rilanciare l’antifascismo come cultura e pratica di massa, a partire dalla mobilitazione per il Referendum del 25 – 26 giugno in difesa della Costituzione.

Sul versante internazionale, l’imperialismo e la “guerra preventiva” configurano drammaticamente il tentativo di costituzione, a quindici anni dalla disgregazione dell’Urss, di un governo unipolare  del mondo. Questo progetto, imperniato sul comando degli Usa ed accompagnato dalla trasformazione della Nato in chiave offensiva, ha definito una strategia di lungo raggio fondata sull’intervento militare e l’ingerenza contro tutte le resistenze popolari ed i movimenti di liberazione contro l’imperialismo. Corsa agli armamenti, miseria per i popoli, torture di massa e minacce di nuove guerre sono le conseguenze di questa politica.  In questo quadro si manifestano però segnali di opposizione e contraddizioni che mantengono aperta la prospettiva del superamento di quest’ordine mondiale e della lotta contro l’imperialismo.  Nuovi paesi in via di sviluppo emergono sulla scena mondiale, destinati a modificare i rapporti di forza internazionali: Cina,India,Brasile,Sudafrica,Russia. Nel quadro di crescita di queste nuove realtà, nasce l’esigenza di dominio degli Usa su vaste aree decisive per il controllo delle risorse e delle fonti energetiche. A questa nuova epoca di guerra si è opposto un grande movimento mondiale che per alcuni limiti soggettivi e d’orientamento (l’incomprensione del ruolo della resistenza irakena) ha subito un forte arretramento. Tuttavia nell’ultimo Forum Sociale Mondiale la lotta contro l’imperialismo ha nuovamente assunto una centralità decisiva; l’appuntamento di Caracas ha riproposto la questione del socialismo nel nuovo secolo e la partecipazione delle organizzazioni giovanili comuniste è stata importante. I GC devono rilanciare, in questo contesto mondiale, un nuovo internazionalismo, prestando maggiore attenzione a tutte le dinamiche mondiali di opposizione all’imperialismo e alla guerra, intrecciando la lotta per la pace a quella per il lavoro e per la giustizia sociale, nel solco migliore della nostra storia. La Resistenza del popolo irakeno costituisce una grande novità nel quadro internazionale; se altri paesi non sono stati ancora attaccati e se negli Stati Uniti crescono le pressioni per il ritiro delle truppe, è grazie alla resistenza irakena: uno dei principali ostacoli all’egemonia Usa sul Medio Oriente. I GC devono costruire percorsi di solidarietà con tutti i popoli in lotta contro l’imperialismo: dall’America Latina crescono le spinte rivoluzionarie, grazie all’asse Cuba – Venezuela. Il ruolo di Cuba socialista resta essenziale: la resistenza all’embargo e al terrorismo Usa, ha permesso la difesa di massa della rivoluzione. Sostenere Cuba significa difendere un modello sociale diverso, fondato sull’uguaglianza, alternativo alla barbarie dei paesi sotto il giogo del capitalismo. Il Venezuela di Chavez continua ad alimentare grandi speranze sia sul terreno delle grandi riforme economiche progressiste, sia per le importanti esperienze di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Il socialismo, in definitiva, ritorna con forza all’ordine del giorno, grazie anche e soprattutto alla lotta di questi paesi. In linea con la ripresa della lotta contro l’imperialismo, la nostra organizzazione deve rilanciare una grande campagna contro le basi Usa e Nato dislocate sul nostro territorio.

La nostra Conferenza pone anche un grande problema di definizione dell’organizzazione. La struttura dei GC è ormai quasi completamente inesistente, molti coordinamenti provinciali e regionali sono scomparsi e grandi difficoltà si sono manifestate nella realizzazione di lotte e campagne, con gravi responsabilità del Coordinamento Nazionale e dell’Esecutivo. Il dato degli iscritti non è territorialmente omogeneo, la presenza della nostra organizzazione è a macchia di leopardo. Il tesseramento deve rappresentare un momento di crescita e di radicamento, seguito da responsabili nazionali e provinciali, attraverso la realizzazione di campagne annuali. Il Coordinamento Nazionale deve diventare il reale luogo di discussione della linea politica, riunirsi con regolarità, formando gruppi di lavoro e commissioni, confrontarsi con i coordinatori provinciali, valutando le esperienze di lotta e d’iniziativa nei territori. Il Coordinamento Nazionale dovrà anche favorire la costruzione ed il rafforzamento dei circoli universitari, che restano strutture imprescindibili per l’intervento nel movimento studentesco. Bisogna necessariamente superare la dialettica ossificata tra Esecutivo e Coordinamento, dove il primo “propone la linea” e il secondo riproduce la discussione interna del Partito.

In conclusione, è necessario restituire grande importanza alla formazione dei nostri militanti. Non è una questione scolastica. La formazione costituisce la risposta necessaria di un’organizzazione comunista in un quadro di grande pervasività dei modelli culturali della società capitalistica, della sua egemonia.

La grande sfida, per l’oggi e per il domani, è la costruzione di una moderna organizzazione giovanile comunista…per trasformare il presente e conquistare il futuro!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 

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Un blog di: rossebandiere
Data di creazione: 15/11/2005
 
 

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