Cuba 1960

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La memoria.Señores que Pachanga !que rica la Pachangame gusta la Pachanga...Ogni tanto mi suona in testa il ritornello della musichetta sentita (cantata? ma se sono così negato…) tanti anni fa a Cuba. E’ strano, perché la regola per me è di dimenticare subito anche il titolo, non solo il motivo musicale, di qualsiasi canzone ascoltata; invece la Pachanga me la ricordo benissimo, anche se è fin dal 1960 - ben 45 anni - che non mi capita di risentirla. Voglio provare se ne trovo traccia su Internet. Già il primo tentativo di ricerca è un successo: commenti e riferimenti storiografici, un disco in vendita da Amazon. Sto per ordinarlo; ma se poi non è quello? Tento allora una ricerca sull’archivio da scaricare gratuitamente. Trovo diversi titoli, ne seleziono uno. Ci vuole tempo ma alla fine ‘download completed’ e provo ad aprire il file.E’ proprio quella, è la Pachanga! E mi commuovo. Sul ritmo della Pachanga mi vengono in mente tanti ricordi di quella che posso chiamare la mia avventura cubana. Luoghi, persone, avvenimenti ai quali da tanto tempo non riandavo e che adesso mi ritornano confusi, senza nostalgia né rammarico. Direi anzi che mi risvegliano una certa fierezza per il mio vissuto, anche se non ho da vantare eroismi, atti di coraggio o particolari valorosi: appartengo ad una generazione che non ha fatto la guerra né la Resistenza, perché bambina, e non ha partecipato al ’68 perché adulta. Ho però assistito e – mi lascio un poco andare – anche contribuito all’attestarsi di un evento storico del XX Secolo, la Rivoluzione cubana. Sia chiaro, un contributo minimo, quel granellino che ogni uomo dovrebbe portare perché i suoi ideali si affermino e consentano il divenire della Storia. A confronto di quel che ho dato, penso di aver ricavato un beneficio personale ben superiore: maturazione intellettuale e sentimentale, definizione di un orizzonte politico, inclinazione al dubbio ed al confronto – con la tendenza alla verifica delle ragioni di entusiasmo. Ma soprattutto la ferma fiducia in un mondo migliore.Forse potrei raccontare le mie dieci settimane vissute a Cuba, scriverne una memoria; con la speranza che qualche nipote la legga, superi lo stile di scrittura burocratico acquisito negli anni di lavoro ed alla fine riesca a non confondere Che Guevara con un cantante. Non sarebbe un lavoro facile, anche perché non dispongo di un diario, che non ho mai voluto tenere, né di appunti dell’epoca; ricordo di aver conservato da qualche parte solo un foglietto su un incontro con Guevara. Grazie ad Internet potrei però fare delle verifiche storiche – ad esempio, non ricordo se in quell’anno era già Kennedy il Presidente USA – rintracciare riferimenti e trovare immagini per illustrare il testo ed alleggerirlo. Avrei poi tutta la libertà di tempo che voglio, e nessuna scadenza.