Cuba 1960

26 de julio


Cercando qualcosa ho notato che il giorno in cui ho fatto il download della Pachanga era il 26 luglio, massima ricorrenza rivoluzionaria a Cuba.  E mi sono di nuovo commosso.Dal 1952 Cuba era sotto il regime militare del dittatore Batista, ex sergente dell’esercito auto-promosso colonnello. Il 26 luglio 1953 un gruppo di armati, organizzati da Fidel Castro, tentò l’assalto ad una caserma di Santiago, il Cuartel Moncada. Molti morirono; per tutti gli altri, catturati, si attendevano condanne a morte. L’autodifesa di Castro La Historia me absolverà divenne il manifesto politico della sua azione rivoluzionaria. La data 26/7 divenne il nome del suo movimento politico.La sentenza fu invece di 15 anni di carcere, amnistiati due anni dopo.Nel trattamento particolarmente clemente qualcuno vide l’intervento, oltre che della borghesia locale (la famiglia di Castro era proprietaria latifondista), anche di ambienti democratici statunitensi, in particolare della Massoneria, alla quale Castro pare fosse affiliato. Il fatto non deve stupire: tutta la tensione rivoluzionaria vissuta nel Caribe dall’800, la classe dirigente e le strutture di governo di quei Paesi - notare alcune bandiere - furono di ispirazione massonica, così come nella storia degli Stati Uniti. All’Avana è oggi ancora attiva una Loggia.Non ho l’intenzione di riassumere notizie ampiamente riportate su tanti testi storico-biografici. Voglio però fare qualche notazione. La rivoluzione cubana non fu un episodio da film; i morti furono decine di migliaia. Alla prima fase di guerrilla condotta da pochi uomini mal armati, che colpivano bersagli limitati e sparivano, seguì una guerra di colonne militari dell’Ejercito Rebelde i cui obiettivi erano città ed intere province da conquistare. Questo grazie alla politica seguita da Castro. Da un lato si guadagnò l’appoggio morale, ma anche economico, della borghesia cittadina alla quale seppe proporre l’ideale di libertà e la prospettiva d’indipendenza dal potere economico yanqui. I combattenti affluirono però prevalentemente dalla campagna; ai campesinos - in maggior parte braccianti, impiegati solo per pochi mesi l’anno nel massacrante lavoro della zafra, il taglio della canna da zucchero - fu promessa la proprietà della terra. I combattenti rivoluzionari furono chiamati Barbudos, poiché avevano giurato di non radersi la barba finché Cuba non fosse liberata. Fidel non l’ha più tagliata, a significare che la costruzione rivoluzionaria non è mai ultimata. Un anticastrista direbbe invece che è perché Cuba non è ancora libera. Il che è purtroppo vero.Memoria visiva: un villaggio, poche case di legno ed una tienda, tutte sullo stesso lato di una strada sterrata, ripida verso la Sierra. Di fronte un grande albero (non so come, ricordo che è una ceiba, ma Bea direbbe che m’invento i nomi delle piante). Da due rami, a destra e sinistra, pendono pezzi arrugginiti di filo di ferro. Il negoziante della tienda racconta che da una parte furono pendidos alcuni barbudos presi sui monti attorno; i fili dell’altro ramo servirono per i militi batistiani qualche mese dopo. Non conto il numero dei fili, ad occhio mi sembrano pari. Mi rimane il dubbio semantico, se pendido significhi impiccato o appeso.Quel che dicevo dei campesinos mi desta un lampo di memoria: il capo delegazione cinese che spiega alla Brigata Internazionale di Lavoro Volontario come nel suo Paese la rivoluzione fosse fatta dai contadini, perché essi sono la forza della Cina e la guida nell’edificazione del comunismo; l’accompagnatore cubano che assente ed afferma che anche la sua è rivoluzione di contadini.A pochi decenni di distanza, la Cina vive uno sviluppo economico ipercapitalistico che emargina i contadini e Cuba è ben avviata a tornare ad essere l’isola di turismo e prostituzione. Si ritrovassero i due, potrebbero ancora vantare la funzione rivoluzionaria della classe lavoratrice delle loro campagne?