Creato da: ruconcon il 25/07/2005
Sul ritmo della pachanga i ricordi di un giovane 'rivoluzionario'

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« Las Minas del Frìo.El Curandero. »

Chelo Alonso.

Post n°19 pubblicato il 20 Settembre 2005 da ruconcon

Una voce ed una mano mi scuotono dal torpore. Mi giro sul fianco e socchiudo gli occhi, vedo il pavimento di assi e… un paio di ciabattine con tacchetti, col pompon davanti, rosa. Sbatto gli occhi e vedo anche uno scampolo di gambe – femminili - che spuntano da una vestaglia, dello stesso rosa, poi una manina che mi porge un bicchiere. Sento una voce - gentile, soave, angelica, non so – che mi sollecita a bere. Ubbidiente, mi raddrizzo un po’ e la visione si completa: un volto bellissimo (rinuncio ad una descrizione dettagliata, anche qui rinvio a qualche opera letteraria, romantica); capelli neri raccolti dietro la nuca; pelle forse da mulatta, ma appena ambrata; la vestaglia lascia intravedere solo una maglietta, però il contenuto si indovina.
La riconosco, è Chelo Alonso! E’ la famosa cantante, ballerina, attrice cubana, definita una sex-bomb! L’ho vista al cinema e in TV in Italia, ma che ci fa quassù? Il sentimento patriottico l’avrà richiamata a Cuba, trovo la spiegazione.
 Naturalmente non è lei, ma una Maestra Volontaria in addestramento, mi racconterà poi. E’ da qualche giorno in infermeria – mi fa segno alla porta, la stanza accanto è il reparto donne - c’è anche un’altra ragazza. Si chiama Marta, ma per me il suo nome rimarrà Chelo.
Mi riprendo dal torpore, anche se ancora mi gira la testa. Arrivano altri infermi, la marcia di ieri è stata dura: uno con la caviglia slogata, un italiano con vesciche ai piedi; il mattino dopo arriva uno che sta peggio di me: lo portano di peso, è fuori conoscenza e tutto bagnato di pioggia. E’ strano come mi ricordi di particolari minimi ed abbia invece dimenticato tante cose importanti. Mi ricordo che era un belga, grande e grosso; qualcuno lo sveste e lo asciuga con la coperta. Il pomeriggio non si è ancora ripreso, gli fumiamo tutte le sigarette che ha nel taschino della camicia, “tanto lui non esce dal coma”, è la cinica scusa di Giulio Italiani, motivazione da tutti condivisa. Lo stanzino vicino alla mia branda è la ‘sala medicazione’ e vedo il soldato-infermiere intento ad una strana operazione: lima la punta degli aghi d’iniezione con la carta vetrata di una scatola di zolfanelli. Nota che lo guardo, e la mia faccia, “Non ho altro” – dice mostrando gli zolfanelli – “e se l’ago non entra subito, fa male”, indicando il sedere.
La ragazza ‘Chelo’ esce diverse volte dalla stanza delle donne, viene a portarmi da bere e mi racconta del suo addestramento. “Non pensavo che la vita sulla Sierra fosse così dura, ma ho fatto la scelta e devo finire quel che ho intrapreso”. Ha risposto all’appello di Fidel; il 30% della popolazione cubana è analfabeta, il 100% nelle campagne di Oriente, ed obiettivo primario della Rivoluzione è l’istruzione, a partire dall’alfabetizzazione di tutti. E’ lassù da un mese con circa duecento volontari; provano sulla propria pelle il peso del disagio e della povertà e così imparano come comprendere ed avvicinare le famiglie dei contadini, i ‘guajiros’, chiusi nell’isolamento dell’ignoranza e della miseria; apprendono metodi didattici adatti agli adulti. Studiano anche nozioni di medicina ed igiene e così azzarda una diagnosi dei miei malanni, “se hai tanta febbre è solo un poco di paludismo”, dice, pensando di farmi coraggio. Non c’è un dottore e quindi l’unica diagnosi che ricevo è quella, ma spero che sia sbagliata.
Cessato lo stupore per l’inattesa visione, prima osservo che è proprio una bella ragazza; non è esattamente una sex-bomb ma dopo poco la trovo più affascinante dell’attrice. Alla seconda volta che mi porta da bere la trovo bellissima e dolce. Sto lì in branda, incantato a guardarla e mi sento bene; si siede vicino su una cassetta e mi racconta di lei: ha quasi vent’anni, viene dalle parti di Santa Clara, ha fatto una scuola di ufficio – tipo Ragioneria – “Proprio come me”, le dico contento di aver già qualcosa da condividere; mi parla della sua famiglia, della casa, di fatterelli di ragazza e vorrei che non finisse mai. Quando mi bruciano gli occhi per la febbre mi giro sul fianco e sto ad ascoltarla, contemplando i suoi piedini coi pompon rosa, che mi diventano fiori bellissimi. E’ allegra, ha modi gentili e educati da buona famiglia; sarà stata la mamma a metterle nel bagaglio quella bella mise rosa da camera, inverosimile sulla Sierra. Mi accenna al malanno che l’ha portata in infermeria, “Ma ora sto bene e penso che domani rientrerò al reparto”, mi dice, e subito torno a sentirmi tanto malato.
Il pasto di mezzogiorno è il solito riso e fagioli e la nausea si fa più forte; mi durerà per parecchi giorni ancora. “Ci vorrebbe del riso in bianco”, rispondo all’infermiere preoccupato perché non mangio e, a miglior chiarimento, “senza fagioli”. Alla sera, sempre lo stesso vitto, ma Chelo prende il mio piatto ed uno per uno mi toglie tutti i fagioli, che buona e cara ragazza! Anche il soldato è veramente buono, il mattino mi porta due succhi di frutta “devi nutrirti e bere”. Altro particolare irrilevante che mi rigira in memoria: era succo di mango; ne bevo uno per compiacerlo, nonostante la nausea. Tanti anni dopo mi capitò di assaggiare ancora il succo di mango e di colpo fui ripreso dalla nausea di allora.Nella notte comincia a piovere, con un insistente brutto rumore sul tetto di lamiera e continua il mattino dopo; non mi alzo dalla branda, sto girato a guardare un’acqua che fila tra gli assi della parete. Chelo è andata via; mi ha salutato ed augurato buona fortuna. Ho contraccambiato, non sapevo cosa dirle.

Mi ha anche dato un bacino.

 

 
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