Creato da: ruconcon il 25/07/2005
Sul ritmo della pachanga i ricordi di un giovane 'rivoluzionario'

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« Il dovere del rivoluzionario…Il bloqueo »

...fare la rivoluzione!

Post n°9 pubblicato il 01 Settembre 2005 da ruconcon

Il discorso di Castro è stato forte. Possiamo – no, dobbiamo! – fare la rivoluzione anche in Italia. Dobbiamo trovare il coraggio di combattere, vincere o morire, se ci vogliamo vantare di essere rivoluzionari. Gli insegnamenti di Jacometti sono lontani, un ricordo appannato, ben altro maestro è Fidel!

Discutiamone compagni. Forte della scuola FGCI il capo della nostra delegazione dà una pronta risposta: lo scontro in Italia si vince mobilitando le masse nella lotta democratica e di classe, non con il ricorso alle armi – come ben ci ha insegnato il compagno Togliatti… eccetera. Un compagno comunista francese sviluppa un lungo discorso per dire che la Révolution del 1789, quella sovietica e quella cinese hanno esaurito la capacità della Storia di produrre rivoluzioni; dopo la vittoria armata, cosa stanno facendo di veramente rivoluzionario questi cubani?
Continuo per giorni a rigirare entusiasmo e dubbi, a pormi domande e cercare risposte. Ma ci sono da noi in Italia le condizioni? - Nemmeno a Cuba c’erano. Perchè la rivoluzione non l’hanno fatta i partigiani, che già avevano le armi e la struttura combattente? - Il fascismo era sconfitto e bisognava lavorare per il socialismo in democrazia.

E quel che è stato in Grecia, dove i partigiani comunisti ci hanno provato? - E’ stata la logica di divisione del mondo, che assegnava la Grecia al blocco capitalista, a causare la loro sconfitta sanguinosa.

“Allora andiamo in Spagna, lì bisogna ancora abbattere il fascismo”, dico al compagno Contini di Bologna, spagnolo per parte di madre, che è nato in Spagna quando c’era la Repubblica ed i suoi sono esuli dalla sua caduta. “L’anno scorso sono andato per la prima volta a trovare i miei parenti”, mi risponde, “sarebbe impossibile, gli spagnoli dopo la guerra civile non ce la farebbero proprio più a sostenere altra violenza.”
Era questo il tipo di discorsi, i confronti, i dubbi che i giovani di sinistra facevano negli anni ’60; di contenuti molto opinabili, ma di livello che mi sembra più impegnato di oggi, con i bla bla su quanto è ladro Berlusconi e come è cattivo Bush.
Purtroppo l’accoppiata rivoluzione – violenza ha
inquinato la linea politica di una forte minoranza di giovani, che ci ha dato il 68, il 77, le B.R., i noglobal… fino ai giorni nostri, e purtroppo la vicenda ‘rivoluzionaria’ continua ancora. In America Latina il messaggio di Castro produsse un danno immane per più generazioni, non ancora risolto. Dalla Colombia all’Argentina, dal Perù all’Uruguay, in tutto il continente, sull’esempio e con l’appoggio di Cuba si alzarono movimenti di lotta, azioni terroristiche, attacchi armati. Le risposte del potere furono dittatura, violenza, prigione e morte. Migliaia di giovani cubani furono mandati a morire in America latina e soprattutto in Africa, poveri strumenti e vittime della guerra fredda, che l’Unione Sovietica non poteva permettersi di combattere direttamente ed apertamente.

Maturando le parole di un bravo, indimenticabile compagno peruviano, e poi la scossa  dell’indignazione di Jacometti, che racconterò, dopo qualche tempo la mia mente si riordinò, liberandosi  dall’allucinazione rivoluzionaria ispirata dal grande discorso di Fidel.
Ma voglio solo cercare nella mia memoria, sull’onda della Pachanga, e non scrivere un saggio che richiederebbe ricerche storiche, economiche, politiche, sulle quali non ho alcuna voglia di esercitarmi.

 
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volandfarm
volandfarm il 25/03/09 alle 07:35 via WEB
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