Creato da: ruconcon il 25/07/2005
Sul ritmo della pachanga i ricordi di un giovane 'rivoluzionario'

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« Conquistare gli obiettivi.Revolución con pachanga. »

Grazie, Comandante.

Post n°25 pubblicato il 02 Ottobre 2005 da ruconcon

A Cuba, Ciudad Escolar Camilo Cienfuegos, 1960, ho avuto l’onore di una stretta di mano dal Comandante Ernesto Guevara.

Faccio solo un breve accenno alle vicende finali della sua vita. Aveva già portato soldati cubani a combattere in Congo (altri furono poi mandati in Angola), conoscendo delusione e sconfitta. “Altre terre del mondo reclamano l’intervento dei miei modesti sforzi”, scrisse poi a Fidel Castro, e andò nuovamente a combattere, in Bolivia. Nelle sue intenzioni la tappa successiva sarebbe stato il suo Paese, l’Argentina.
Il Comandante fu invece nuovamente sconfitto; arresosi con la speranza di aver salva la vita, fu invece fucilato, in un villaggio sulle montagne boliviane, il 9 ottobre del 1967.

Dalla sua morte divenne un mito romantico, un fenomeno estetico. A lui sono stati dedicati, in tutto il mondo, poemi, canzoni, opere d'arte. Non mi sento all’altezza di confrontarmi col mito, vorrei solo che non lo si considerasse a sproposito, come spesso avviene oggi.
E’ assurdo evocare il Che nelle manifestazioni pacifiste, lui che, nell’addio ai genitori, scrive “Non sono diventato un buon medico, e non me ne importa, ma come soldato non sono tanto male. Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi e sono conseguente alle mie convinzioni”.
E’ sbagliato pensarlo come uomo democratico e popolare, era semmai uno spirito aristocratico che aveva scelto di mettere la sua capacità intellettuale - che a ragione autostimava di altissimo livello - ed il suo coraggio al servizio del popolo, per quello che lui stesso aveva deciso essere il bene del popolo. Erano da aristocratico il suo distacco dal denaro – la firma Che sulle banconote valeva uno gesto di scherno – e la romantica ricerca di avventura, presente in tutta la sua vita. “Molti mi chiameranno avventuriero e lo sono”, continua nella stessa lettera, “e di quelli che lanciano la sfida per dimostrare la propria verità”. L’addio: “Ricordatevi di tanto in tanto di questo piccolo condotieri del XX secolo”.
Che Guevara non era un ‘animo buono’. Credeva nella pena di morte come necessità scontata. Dopo il trionfo della Rivoluzione negò ogni revisione dei giudizi di condanna a morte pronunciati sommariamente contro 600 prigionieri nella fortezza de La Cabana, che forse non erano tutti criminali batistiani. Nel 1962 diede l’ordine di fucilazione immediata di un gruppo di anticastristi catturati a Camagüey. Un sito anticastrista titola “Morì come meritava, come lui mise al muro i suoi nemici”.
Tutta la vita lottò contro lo sfruttamento, per la liberazione dei popoli dall’imperialismo e per la libertà dei poveri dal bisogno, ma non fu libertario. Non spese mai una parola per la libertà di espressione a Cuba, una delle “garanzie che sogliono adornare le costituzioni” (Guerra de Guerrillas). La Rivoluzione, come processo di definitiva trasformazione sociale, di costruzione dell’uomo nuovo, non può trovare ostacoli, può richiedere – imporre – rinunce e sacrifici. “Ricordate”, scrive nell’addio ai cinque figli, “che l’importante è la Rivoluzione e che ognuno di noi, da solo, non vale nulla”.
Credo sia assolutamente infondata la tesi di contrasti o gelosie personali con Castro, impossibili per chi, come rivoluzionario e soldato, sosteneva – ed applicava a se stesso – la più rigida disciplina. La lettera di commiato a Castro è di un aiutante disciplinato, “mi sono sempre identificato con la politica estera della nostra Rivoluzione e continuo ad esserlo”, che si preoccupa di non creare problemi internazionali al suo Comandante in Capo, “libero Cuba da qualsiasi responsabilità, salvo quella che emana dal suo esempio”, ma esprime anche un grande affetto. “Ti dico che se arriva la mia ora definitiva sotto un altro cielo, il mio ultimo pensiero sarà per questo popolo e specialmente per te. Che ti rendo grazie per i tuoi insegnamenti ed il tuo esempio al quale vorrò essere fedele fino alle ultime conseguenze delle mie azioni.”
Ho sentito una volta in TV un aiutante di Guevara, convinto che siano stati i sovietici a creare in Bolivia le condizioni della sua sconfitta e morte, per sbarazzarsi di un elemento che turbava i piani di coesistenza. Penso che la tesi abbia un fondamento obiettivo, anche se credo improbabile un piano per venderlo alla CIA. Come Trotzkij fu eliminato da Stalin, forse Guevara lo fu da Breznev. E d’altra parte servì più da morto che da vivo, un combattente ormai “dalle gambe fiacche ed i polmoni stanchi”, scrive ai genitori, “sostenuto solo da una volontà limpida”.
Non posso dunque nutrire devozione al mito del Che, anche se mi inchino alla memoria del rivoluzionario comunista; sono grato per l’esempio di coraggio, capacità e spirito di sacrificio del soldato; mantengo immutata l’ammirazione per l’uomo politico di splendida intelligenza, interamente dedicata al suo ideale. Mi dà  anche fastidio che tutti lo chiamino solo per soprannome, come un cantante pop o un calciatore brasiliano.

L’onore dell’incontro col Comandante Ernesto Che Guevara e la grande emozione della sua stretta di mano sono il mio più caro ricordo di gioventù. Quando sono stato a visitarne il mausoleo a Santa Clara, per rendere un omaggio commosso alla sua memoria, ho sostato un momento da solo e gli ho detto ancora “Grazie, Comandante”.
Grazie per l’esempio di vita che mi hai dato.
Ma non ho potuto pronunciare il suo saluto “¡Hasta la victoria, siempre!”. Non ero più il ventenne, pieno dell’entusiasmo rivoluzionario che mi faceva apparire così bella la sua utopia e mi impediva di capire che la sua vittoria avrebbe invece significato la sconfitta dei valori, veri, di libertà e democrazia, che lui mai ha inteso affermare.

 
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Commenti al Post:
raul.raul
raul.raul il 16/10/05 alle 03:23 via WEB
Che razza di discorsi sono! E’ claro a todos che el CHE era un rivoluzionario combattente… un soldato…è talmente claro che lo sa anche un bambino di 5 anni…senza perdere la tenerezza naturalmente…
(Rispondi)
 
 
ruconcon
ruconcon il 16/10/05 alle 12:09 via WEB
Appunto per questo non può essere assunto a modello politico. Il suo 'insegnamento' è che un rivoluzionario è tale se fa la rivoluzione. Altrimenti si fa delle seghe intellettuali inseguendo un mito mediatico.
(Rispondi)
 
jeiduth
jeiduth il 18/10/05 alle 03:16 via WEB
Gran bel commento, si vede la sua grande stima per un esempio di vita, di ideali, di valori ma che col passare del tempo e degli anni lo ha fatto ricredere sempre più sulla giustezza delle sue azioni. Concordo pienamente con lei quando dice "sono grato per l’esempio di coraggio, capacità e spirito di sacrificio del soldato; mantengo immutata l’ammirazione per l’uomo politico di splendida intelligenza, interamente dedicata al suo ideale e al popolo", è proprio per questo che Ernesto Che Guevara deve essere ricordato per il suo sprito rivoluzionario non di certo per l'esempio politico. Lei cosa ne pensa del signoraggio e del sistema bancario internazionale (ne parlava anche un certo K. Marx)che a mio avviso è la causa di tutti i mali. Legga e mi dica la sua: http://blog.libero.it/jeiduth/view.php?msg=452341 Un caloroso saluto
(Rispondi)
 
 
ruconcon
ruconcon il 18/10/05 alle 12:40 via WEB
La prima cosa che mi viene in mente è che avevo in collezione un francobollo tedesco degli anni '20 di 1.000.000 di Marchi, risultato della folle inflazione alimentata dalla stampa di carta moneta da parte del governo della Repubblica tedesca (non della Banca). Ti consiglio di approfondire la conoscenza del problema monetario con qualche testo di Economia Politica. O di Storia Economica, che addirittura riporta l'inflazione in epoca romana allorchè gli imperatri alleggerivano il peso di oro o argento presente nelle monete, mantenendo invariato il valore facciale. Molto cordialmente
(Rispondi)
 
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