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di Eleonora Barberio
Dostoevskij diceva: “Chiunque voglia sinceramente la verità è sempre spaventosamente forte.” Come adolescente posso certamente affermare che noi ragazzi pretendiamo la verità, la desideriamo e la bramiamo.
Ci vengono presentate però verità a basso costo, difettose, di cattiva qualità. Così ci inganniamo e ci procuriamo profonde ferite, rassegnandoci alle falsità che ci vengono propinate in ogni modo possibile.
Ho capito che per essere trasmessa, la verità deve essere innanzitutto conosciuta. Per essere conosciuta deve essere voluta, ma per volerla bisogna essere forti, spaventosamente ed incredibilmente forti. E qui i nodi tornano al pettine. C’è troppa debolezza, troppa insignificanza e troppa mollezza.
Nel migliore dei casi un disinteresse dilagante distrugge la sete di verità che tutti abbiamo. Per noi ragazzi è ulteriormente doloroso. È un po’ come se stessimo morendo di sete e, in fin di vita, avessimo bisogno di acqua per poter sopravvivere ma ci venisse dato da mangiare per farci venire ancora più sete. Allo stesso modo noi chiediamo la realtà, il vero, la salvezza e ci vengono date in cambio il finto, il falso e la perdizione. È bene a questo punto chiedersi, cosa è la verità?
Nel cuore di ognuno di noi è scritta la risposta ed è universale, per tutti. Non siamo però abbastanza forti da volerla. Non la desideriamo perché potrebbe metterci in difficoltà. Potrebbe trasformarci, e non sia mai, migliorarci. Potrebbe essere troppo cara e costarci un litigio, una discussione, la reputazione e sì, anche la vita. Ci farebbe risultare fuori moda o peggio, controcorrente. Penso che gli eroi di oggi siano coloro che gridano la verità; sono bellissimi perché trasudano libertà e limpidezza.
Il 30 gennaio il Circo Massimo era traboccante di eroi di ogni statura o età, era ricco di bellezza e di luce, sì luce. Quando ci si abitua al buio, la luce può spaventare e addirittura essere rifiutata. Ma il buio rimane buio e la luce rimane luce e così la sua potenza. D’altra parte, la verità è il sale della terra. Il sale, come diceva Bernanos, sulla pelle a vivo brucia, ma le impedisce anche di marcire. Dio ha voluto che noi fossimo il sale della terra, non il miele.
Noi cristiani siamo chiamati a trasmettere la Verità agli altri, anche quando può far male o bruciare, anche quando non è compresa o accettata. Siamo chiamati ad impedire al mondo di marcire. Siamo chiamati a testimoniare che la sola ed unica verità è a forma di Croce. Può essere rifiutata, derisa, odiata, offesa, schernita ma è la cosa più preziosa che abbiamo. Dobbiamo difenderla.
Keats affermava: “La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere”. Ci basta questo per vivere, per lottare e per vincere.
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Patriarchi
Senza i nostri vecchi
Sembriamo ora avventati
Stare così davanti
Ad una intera progenie
E capitanarla al guado
Contro le insidie del tempo
Con l’onere solo di nota
Che si deve a fiere e banali
Ecco che dà tanta carica
Da cui ci sentivamo al riparo
Con la saggezza così ritardata
Per qualche familiare vezzo
che ci culla sempre bambini
Ora sembriamo persino più sordi
A qualunque altro richiamo
Muti di mille curiosità
Come dentro ad un mistero
Quando pure avanza un ricordo
Per un’ interpretazione più vera
Non abbiamo più spettatori
Stefano Giacomo Iavazzo
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Di mio padre per un momento
ho creduto di udire la voce
riesumata con le sue poche cose
che la terra in un bianco lenzuolo
ha gridato in una finta resa
il suo grande costato senza cuore
non poteva neppure un affanno
ciò che più l’aveva segnato
e in vita sua ha sempre celato
di averlo come una infamia
per una coerenza di principio
che imponeva il tono severo
nella famiglia e sui figli
ma ciò gli riusciva ancora meno
interprete di spirito libero
non voleva né farsi comandare
dei suoi frutti maturi
parlava appena ma compiaciuto
con quel sorriso mal nascosto
ancora sembra al suo posto
in quel capo che dicono ridotto
di pensieri fosse più vuoto
con la lanugine di color rame
come un oro invecchiato
i ricordi suoi di tutti noi
così quella volta nel chiostro
a cercare con mano nella mano
l’acqua che dà la Pasqua
fonte di quella sua benedizione
per me è la resurrezione.
Poesia di Stefano Giacomo Iavazzo - In Memoria del Padre.
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Salmo 1,6
Come una bambina
Nei tuoi ultimi giorni di vita
Madre ti abbiamo sentita
Col seno che pure c’ha allattato
E più esile sulle gambe
Prima di vederti andare
In tanto freddo che lascia di gelo
e impone un destino contrario
Ad ogni umana ragione
Dietro quel nostro orizzonte
con il corpo che si lascia nell’ ombra
Che a noi così bene nasconde
ogni grano del tuo rosario
come un tuo proprio intercalare
così di dire in tutti i modi
Nel ricordo che certo amerai
Mandare baci con la mano
Troverai altri affetti
Pure a noi cari
E non temere un tormento
Per quanto ci mancherà
In fede vai con Dio e vivi
Anche senza i tuoi figli
Che siamo così da tutt’altra parte.
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I genitori muoiono lentamente, ma quando muoiono definitivamente si avverte il peso tutto insieme. Quando è morto papà, era rimasta mamma a darci conforto, come sempre. Ora anche mamma ha accettato la fine del suo pellegrinaggio e se ne è andata: siamo soli, ma con la memoria e l’eredità del loro amore. Siamo soli con i loro insegnamenti e non è poco.
Sarà capitato anche a voi di averla ancora come un riferimento importante, per darle una notizia, per dire che siamo arrivati o che ci allontaniamo per qualche periodo più o meno lungo, per chiederle una conferma per una ricetta o per un ricordo o per entrambi.
Mamma porta con sé una storia ricca di meriti. Ha saputo sorreggere tutti noi figli, in tanti anni della nostra storia e questo non sarà facile dimenticare. Per noi si è inventata una forza che non le era naturale, fragile di suo, con una storia personale che l'aveva resa ancora più debole. Quando s'accorse che tutto attorno spiravano venti minacciosi ci ha protetti col suo fiato e con le sue risate, dopo che i pianti erano consegnati ai vari santi di cui era devota e che ci ha trasmessi col latte e con il pane e l'olio. Mamma pensava al nostro quotidiano con una psicologia meravigliosa: quando le nubi diventavano più nere aveva una sorpresa preparata. Era pronta a preparla per noi figli, ma noi eravamo pronti a trasformarci in terapia proprio per lei.
Mamma è stata la nostra guida eroica: ansiosa e fragile ha dovuto fare la forte e sicura, povera e senza cultura ha voluto che studiassimo, con una generosità che gli anni mi hanno insegnato quanto sia stata miracolosa e aveva bisogno di tutto. Mamma è stata la nostra maestra assoluta, a lei dobbiamo il senso del dovere e della misura, il senso della nostra prudenza, che ancora si serve delle sue parole…tutto ci vuole.. Anche della nostra fede è stata maestra, insegnandoci le cose di Dio nel modo più naturale immaginabile.
Ho detto povera e non lo avresti detto, tanto era previdente nella gestione della sua vita e con la voglia di fare sempre bella figura e non le mancava mai una sorpresa per un’ultima spesa, magari non preventivata o forse preventivata in un’altra entità.
Ho detto senza cultura, ma dovrei dire senza troppa istruzione, perché fino all’ultimo ha cercato di coltivarsi. Ti sorprendeva fino a tarda età con una domanda sulla grammatica o sulla coniugazione di un verbo che voleva dire correttamente. Ci teneva a parlare bene e senza leggere don Milani aveva capito che usare bene la lingua ti protegge da tante prepotenze. Mamma a Barbiana avrebbe potuto benissimo tenere una lezione…
E’ stata la guida della famiglia, che ha reso “nostra” ogni cosa che poteva essere solo di ciascuno di noi, e ancora adesso, ma credo che questo capiti anche a voi, ogni volta che ho un piccolo dono, fosse pure un boccone goloso, non lo penso mai mio e mi sembra che se non lo condivido ho rubato qualcosa a qualcuno: è come dire che la gioia non possa mai essere piena se non condivisa.
Mamma è stata maestra anche nella morte. Nel cammino della sua fine terrena, mamma ha dichiarato la sua ultima decisione, la sua scelta di autonomia, la sua voglia di non dipendere, di essere la donna capace che è sempre stata. Lentamente, ma senza troppi indugi, perché in una settimana è andata spegnendosi, una settimana per riconoscere che era giunta la sua ora.
Ora ci tocca onorarla solo nel ricordo. E’ tornata creatura della Terra, muta, come non sapeva fare. Ora ha raggiunto i suoi cari, ora appartiene a pieno titolo al mondo della verità che ha sempre invocato e che è stato la sua compagnia più costante. Ci ha molto amato, ma ha sempre avuto uno sguardo all’altra vita, dove era nascosto il padre che ha tanto cercato. Ora attende…paziente, immobile,nel sonno dell’ultima ora senza la solita risata. La ricordiamo tutti la sua risata sonora, che in certe giornate della nostra vita era il tesoro più prezioso, la nota più vitale della nostra vita; tanto vitale che quando la sentivi arrivava la certezza che quella era buona giornata e la vita non ti avrebbe deluso; bastava la sua risata come la garanzia evidente della tua speranza più segreta. Se rideva lei, ridevano i nostri occhi, ma più ancora il nostro cuore. La sua risata arrivava come una buona notizia, per questo fin da bambini siamo stati grandi semiologi. Abbiamo specializzato l’attenzione a piccoli segni, abbiamo affinato la capacità di indagare i sapori delle circostanze ed era difficile sbagliare, abbiamo imparato il valore delle note e delle pause come provetti musicisti. Silenzio e risata. Silenzio come registro di riflessione mesta e voce allegra fino alla risata per dire, “Signore ti ringrazio” e con la solita prudenza sembrava aggiungere subito dopo “Signore mai peggio”.
Ora so che non potevo che essere psichiatra con una maestra così, perché sono stato abituato a dare attenzione a tanti segnali. Quando l’animo tendeva a mortificare la speranza, era mamma, lo sapete, che con niente sapeva tirarci su lo spirito, come neanche la migliore terapia riesce a fare. Papà non aveva la voce allegra di mamma, e sapeva di avere meno potere sulle nostre anime, che avevano sempre lo sguardo volto a cogliere ogni parola buona che usciva dal labbro materno. Papà aveva intelligenza piena, ma non sempre era una intelligenza a noi vicina. Perciò la sua partecipazione metteva un sigillo di bene ufficiale e sembrava solenne ogni particolare, anche il più insignificante. Ma mamma era la nostra garanzia, il fuoco dove ogni sosta trovava conforto, il riferimento che rendeva sicura la nostra anima e a lei la consegnavamo nella convinzione che con lei nessun male poteva colpirci.
L’ignoranza non la vedeva rassegnata, anzi la rendeva più indomita, perché per paura di essere trascurata diventava più guardinga e tendeva a proteggerci, ma non ci escludeva al mondo. Ricordo la mia esperienza scout: non era tranquilla quando ci allontanavamo da lei, ma non si è mai opposta significativamente alla nostra voglia di esplorare la vita in autonomia. Capiva d’istinto, senza averlo studiato, che misurarci con il mondo significava crescere. Accontentava i suoi pregiudizi con qualche battuta, che puntualmente noi figli mettevamo in ridicolo e lei lo accettava, con un’intima soddisfazione, come a ricordare a se stessa che noi eravamo bravi e che lei ne aveva un po’ il merito e si realizzava tramite noi, che eravamo le sue propaggini, i semi con cui assicurava alla vita la sua collaborazione.
Ora possiamo continuare a dialogare con mamma, con i sensi della fede, come ci ha sempre insegnato, indicandoci un Dio sempre pronto a farci compagnia. Con la preghiera si sentiva più tranquilla, calmava la sua ansia di madre, con la convinzione di darci l’eredità più preziosa. E lei sa che non siamo tutti uguali nel manifestare le nostre idee e le nostre convinzioni e che ci sono silenzi meravigliosi, proprio come nel gioco delle pause e delle note in cui era maestra.
Un bacio, mamma, con la voglia di vedere il tuo bel sorriso. Raffaele
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di - IDA NUCERA “Oltre il cielo il mio sguardo” è la raccolta di poesie di Carolina Iavazzo, edito dalla Città del Sole.
La combattiva suora, collaboratrice diretta di P. Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, cimentandosi con i versi, svela al lettore un tratto inedito come autrice, senza mai cedere all’intimismo. Suor Carolina Iavazzo è nata ad Aversa, ma ha trascorsi molti anni ancora più a Sud, tra Calabria e Sicilia. Questi luoghi geografici, vissuti con intensa passione per l’uomo, in particolare per gli ultimi, abbracciano un tempo che va dal lontano 1985 al recente 2006, diventano luoghi dell’anima ben presenti e rappresentati nel libro. Il suo percorso in alcuni tratti sembra impresso col sigillo del fuoco. Tre luoghi cardine: Crotone, Brancaccio di Palermo e Bosco di Bovalino.
La sua storia ha inizio tra i vicoli di una città vecchia, dove la povertà e il pianto dei bimbi, richiamano ad una autentica vocazione apostolica, priva di orpelli, ma ricca di servizio e ascolto. A Crotone si incontrano il cammino della suora di Aversa e del prete di Denno, poi diventato vescovo di Locri Gerace, mons. Bregantini, che, molti anni dopo, dopo il dramma di Brancaccio, con discernimento provvidenziale, la chiama in Calabria. Cogliamo tra le pagine del suo libro tutta la fatica di un cammino lungo “La strada”, compiuto in fedeltà. Sono luci e ombre, come in una “Danza alla gioia”, che si schiudono a questo sentimento profondo, che non è di questa terra, quasi danza, quasi vittoria sulla tristezza di essere orfani, “la gioia, dice suor Carolina, ha il ruolo di madre, non siamo destinati ad essere orfani, abbandonati!”. Di quanti figli si farà carico non ce lo dice, ma lo immaginiamo bene. La bellezza di una vita al servizio degli altri sta anche nella fragilità svelata e non nascosta, “nell’ansia di credere nella luce”, espressa nei versi di “Coraggio”, in cui l’inquietudine emerge nella “paura del buio della notte… e nella paura del giorno che verrà”.. Le strada e le piazze si fanno luogo dell’anima, in cui oltre il deserto, c’è sempre la mano dell’Amico che attende. L’amicizia è anche separarsi dall’altro, ancor di più per chi sceglie o meglio è preso dalla “passione di un Amore al di là del muro del mio pianto”.
Ed è già Sicilia, in “Tenerezza lontana” del novembre 1991, Brancaccio di Palermo. “Prigioniera di un’isola”, in cui “uomini non liberi” sono trasformati in bestie. Persiste, nonostante tutto, il sogno di libertà, in “un’aquila in cerca di vette lontane”. Molti sono i simboli che rimandano ai segreti nascondigli dell’anima, dove è possibile ascoltare “una favola al camino della vita, avvolta nello scialle del tempo”, ritrovando “l’altra parte di me perduta chissà dove… inseguo il vento, la vita". Il vento lo ritroviamo nelle poesie di Palermo, parola cara all’autrice, che ha parlato dei suoi tanti ragazzi, definendoli con la struggente espressione, di “figli del vento”. Strappati alla strada e alla violenza mafiosa, con una tenacia, mai vinta, mai sopita, nonostante i tanti perduti. Ma il tempo delle lacrime è vicino, percepito come presagio: “sei lì, sullo scoglio remoto di un tempo non previsto, gabbiano dall’ala ferita”. Si fa dolore, pur “restando qui, al mio posto….porto nell’anima ferite come epitaffi su lapidi, eroi del passato e del presente. Come un solco accolgo i semi di una vita nell’attimo che va”. E’ datata Palermo, 10 gennaio 1993.
La pagina successiva è del 15 settembre 1993. Si apre con un annuncio di morte con l’oscurarsi del sole. “Muore un uomo solo, in un angolo buio della storia. Si spegne una vita nel tragico destino di chi non sa da quale parte palpita la vita, di chi non sa riconoscersi uomo. Muore un mite, un uomo consegnato a Dio e ai poveri”.Tre anni dopo ancora un grido si leva: “Muori così, senza far rumore… nel silenzio te ne vai, lasci a noi solo le impronte di una nuova libertà”, poche scarne parole a margine: per la morte di Padre Puglisi.
Poi sarà il tempo del silenzio per suor Carolina, colmato nel libro da liriche che risalgono ad un tempo precedente, ispirate dalla natura e dalla ricerca della “della carezza di Dio”. “Dio non parla, è nostro prigioniero: ha le mani legate dalla nostra libertà”, dice suor Carolina, esprimendo una fede non miracolistica, ma adulta conquista quotidiana. Ma quel tempo vuoto, quel grande silenzio personale, fino al 2000, ci tocca e ci inquieta. Le abbiamo chiesto come fosse stato possibile mentre tutti parlavano e scrivevano di p. Puglisi, proprio lei che gli era stata così vicina, taceva. Perché aveva atteso tanto tempo? “ho atteso la maturità del tempo, perché l’esperienza vissuta sedimentasse, la sua risposta è un insegnamento di vita che difficilmente si dimentica: Ho aspettato perché così potessero emergere le cose che ancora andavano dette… tutti siamo chiamati a lasciare qualcosa che resti nella storia e nella vita degli uomini, come un testimone che passa da una mano all’altra, di generazione in generazione perché la vita è un compito che Qualcuno ci affida perché altri dopo di noi, possa ritrovare la strada che porta alla meta”. Padre Puglisi “quando aveva detto: non lasciate il mio corpo troppo solo, voleva dire: continuate voi la mi attività, la mia speranza, realizzate voi il mio sogno”.
Così quel sogno che sembrava spezzarsi, passa attraverso un lungo travaglio, un “passaggio” di morte e resurrezione, un’ecclissi nel tempo del silenzio, dove la parola muta e spezzata, si ricompone proprio nella poesia “Il silenzio”del luglio 2002: “Ti regalerò i miei silenzi… il mio passato. Ti regalerò la mia isola felice ma qualcosa avrà il sapore della morte …le mie lacrime saranno perle di rugiada tra i fili d’erba”. Nel “Le nostre speranze”, “muore un uomo, solo, in un angolo buio della storia….nel suo sangue si bagnano le nostre speranze perché ritorni a vivere nella civiltà dell’Amore un domani più umano”. Una finestra, finalmente, si apre per Carolina, su un nuovo giorno, un sogno di speranza seminato dall’ “uomo dello stupore, figlio delle stelle generato dalle cime dei monti,… uomo di Dio che semina a piene mani, raccogliendo sassi che trasforma in zolle profonde”.
Strade che molti anni prima si erano intrecciate, sempre in terra calabra, si incontrano nuovamente. Padre GianCarlo, non più giovane religioso, ma vescovo di una terra amata come sposa, si fa strumento di una nuova chiamata al servizio, di una nuova chiamata alla vita feconda. Suor Carolina, adesso quel sogno infranto l’ha ricostruito a Bosco di Bovalino, tra mille fatiche e difficoltà, ma non da sola. Una piccola comunità, quella del Buon Samaritano, è con lei nell’esperienza della condivisione con i più poveri e feriti, proponendosi di offrire consolazione e speranza lottando contro le ingiustizie e i soprusi. Ed e’ proprio alle sue compagne di viaggio e di avventura, che Carolina dedica la raccolta, a Francesca e Silvia, insieme, in un cammino che attraverso il messaggio evangelico restituisce alla Calabria il suo volto più bello.
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Amore non è amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro si allontana.
Oh, no!
Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
Amore, non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto,
e nessuno ha mai amato.
(W. Shakespeare)
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del Trota, alle ragioni di quanti difendiamo il valore legale del titolo di
studio e la certificazione pubblica della qualità della formazione.*
Tirana, dove si è laureato in 13 mesi così a distanza da non esserci andato
neanche per la Laurea, è la miglior chiosa alla parabola storica della Lega
Nord. Come per il fascismo, nato anche dalla critica radicale
dell’italietta liberale e degli accomodamenti familistici di questa, anche
la Lega Nord replica in farsa il peggio dei fenomeni che pretendeva
denunciare.
mezzogiorno, individuando di conseguenza una parte sana del paese
stranamente immune geograficamente dai difetti del paese, invece allignano
senza eccezione ovunque. I “figli di papà” e il “tengo famiglia” sono gli
articolo uno della Costituzione materiale del paese dagli stati preunitari
all’Italia liberale, da quella fascista a quella repubblicana, da Gemonio a
Lampedusa, da Imperia a Otranto.
anticulturale è stata più forte in questi anni e dove l’operaio
(apparentemente) non desiderava avere più il figlio dottore, proprio il
massimo censore del “culturame” a colpi di corna, rutti e gesti
dell’ombrello, si abbarbichi al pezzo di carta per il figlio ipodotato come
riconoscimento disprezzato eppure indispensabile. *Non poteva esserci
miglior pubblicità che il caso della laurea del Trota, alle ragioni di
quanti difendiamo il valore legale del titolo di studio e la certificazione
pubblica della qualità della formazione.*
la carta d’identità, familiare. La supposizione che il figlio di Bossi
possa usare la sua improbabile laurea testimonia che l’abolizione del
valore legale creerebbe una giungla nella quale non i migliori (dotati di
lauree conferite da atenei considerati “migliori”) ma i più forti
(privilegiati familisticamente, magari favoriti spudoratamente da atenei
interessati ad averli come allievi) sarebbero avvantaggiati. È solo il
valore legale, la rigida certificazione di percorsi di studio comparabili
(quale quello che porta al riconoscimento di lauree straniere) a garantire
dai peggiori abusi oltre a garantire il rispetto del diritto costituzionale
allo studio *dei capaci e meritevoli anche se privi di mezzi*.
migliaia di insegnanti meridionali, facendo barricate per impedire loro di
lavorare e farneticando di scuole padane dove insegnare il dialetto della
Val Brembana, proprio il figlio del capo va a prendersi la laurea in
Albania. È all’ennesima potenza una replica del caso di Mariastella
Gelmini, anch’essa sguaiatamente antimeridionale, che però prese
l’abilitazione d’avvocato a Reggio Calabria “perché più facile”.
Radio Elettra Umberto Bossi o dalla pseudo-avvocato Gelmini abbia per anni
avuto nella scuola pubblica, nell’Università e nella ricerca scientifica il
peggior nemico. Quanta soggezione deve fare alla Gelmini un vero avvocato,
quanto marziano deve sembrare al Trota un vero laureato in marketing! Ciò
non c’entra nulla con la legittimità del non aver potuto studiare, per
censo o perché la vita ha scelto così. C’entra col non aver voluto studiare
ma volersi mostrarsi per quello che non si è. Potremmo farci un’alzata di
spalla delle frustrazioni di Gelmini o Bossi se non avessero contribuito in
questi anni ad affossare il sistema educativo e la ricerca italiana.
prima o di quarta serie dove i rampolli delle classi dirigenti mondiali
prendono i pezzi di carta con i quali subentrare ai loro papà. Ha scelto di
mandarlo in Albania, paese popolato da una razza inferiore per anni simbolo
della politica xenofobica della Lega. Dovremmo ringraziarlo il Rettore
dell’Università Kristal per aver venduto quel pezzo di carta a Renzo Bossi
pagato dai contribuenti di Bari e di Arezzo. Ha dimostrato quanto ipocrita
e strumentale alla preparazione culturale subalterna dei propri elettori
fosse (oltretutto) il razzismo della Lega. Un razzismo finalizzato al solo
mantenimento dei privilegi della classe dirigente per sé e per i propri
figli.
livello della politica, la corruzione dilagante, l’evasione fiscale, ma
quella cristallizzazione premoderna di una società dove ognuno è destinato
a rimanere a vita nella casta di provenienza. Demolita la speranza del sole
dell’avvenire socialista e disciolto il sogno americano della promozione
individualista offerta dal neoliberismo, ognuno stia come sta. Senza
ascensore sociale (e non se ne conosce altro che l’istruzione) l’Italia è
destinata a essere governata dai Trota, dalle Mariastella e dai Piersilvio,
che restano “razza padrona”. Forse il Trota non sarà mai ministro
(speriamo…) ma la Porche in garage non gliela leva più nessuno.
(come fosse poco) a dare strumenti ai propri figli per farsi strada nella
vita ma, non appena può, lavora per costruire a questi autostrade tra le
macerie di un paese, l’Italia, che dobbiamo ricostruire da zero. Va da sé
che per ogni laurea comprata c’è un laureato vero che resta disoccupato,
per ogni figlio di papà imposto, c’è una vocazione altrui frustrata. È
anche per fare spazio ai trota (i trota figli di notai, medici, architetti,
politici, docenti universitari…) che un’intera generazione di bravi
laureati fugge all’estero o è confinata nella precarietà.
kibbutz in Galilea, questi figli tutt’altro che degeneri delle nostre
classi dirigenti. Chissà, magari in un kibbutz di quelli di una volta,
senza papà, senza scorta e senza laurea taroccata, forse anche Renzo Bossi
imparerebbe a vivere.
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Con Occhi di Regina”. E’ il settimo lavoro che copre un percorso di circa ventisette anni che ha avuto inizio con la pubblicazione della prima raccolta in versi dal titolo “La memoria infame” del 1984. Con “Occhi di Regina” è un racconto che ripercorre la storia dell'Unità d'Italia, vista con gli occhi dell'ultima regina del Regno di Napoli, Maria Sofia Wittelsbach, moglie di Francesco II di Borbone, nell'arco dei suoi ottantatre anni di vita, fino al 1925, anno della sua morte. Una revisione storica necessaria, secondo l’autore, per rendere giustizia alla dinastia dei Borbone tanto vituperata dagli storici della prima ora. Leggere il testo di Iavazzo ci fa tornare indietro negli anni e ripercorrere la storia non solo di Napoli e della Campania ma dell’Italia intera. Molti i fatti di cronaca narrati dall’autore che rendono il libro interessante anche per i numerosi aneddoti raccontanti sconosciuti ai più. Alla presentazione del libro sarà presente l’autore Stefano Giacomo Iavazzo. Interverranno la dottoressa Teresa Scalzone e il corrispondente di Pupia Tv, dottor Gennaro Pacilio.
Stefano Giacomo Iavazzo è nato nel 1953 ad Aversa dove ha frequentato il Liceo “Cirillo”. Si è laureato in Sociologia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli nel 1977 presentando la tesi in Sociologia dell’arte e letteratura sul tema: “Cultura dominante e cultura subalterna negli anni della Napoli unitaria”. Ha già pubblicato sei opere: “La memoria infame” (Poesie 1984); “Ragioni al lumicino” (monologhi in due tempi 1994); “Il Vizio del lombrico” (poema in versi 2000); “Lettere e ritratti” (Poesie 2006); “Il regolo continuo” (romanzo 2009); “Il totem di cristallo” (Romanzo 2010) Ha già scritto due commedie che attendono solo di essere pubblicate. Chiunque sia interessato alle pubblicazioni di Iavazzo potrà richiederne copia allo stesso autore inviando una email a stef.iavazzo@libero.it.
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non negarmi il tuo sorriso,non negarmi la tua bocca
non negarmi i tuoi sospiri.
Ma negami questo dolore
negami la tua assenza,negami le immense attese.
Semmai domani ci sarò non negarmi nulla
perchè nulla negherei a te.
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Cari, quest'anno l'avvento si annuncia con un tempo bello, dopo il disastro degli ultimi giorni sia al nord che al sud. Il tempo bello, ma con il solito freddo e lo capisci dagli uccelli che in giardino cercano di nascondersi tra le larghe foglie della vite, che lascia sul prato, e ovunque, macchie di un bel rosso, come se avesse preso la consegna di non lasciarci troppo presto ai colori dell'inverno. Torna il tempo dell'attesa e ciascuno lo riempie delle cose più care e dei desideri più puliti. L'avvento ci prepara davvero all'annuncio di un tempo di buona volontà. Non c'è bisogno di essere religiosi per capirlo, anche se affidandoci al credo cristiano è una vera esplosione di Gloria. Cantare la Gloria è facile facile e non richiede nessuno sforzo dell'anima. Siamo naturalmente i pastori del campo d Betlemme. E' bello il campo dei pastori a Betlemme ed è lontano dal muro della vergogna e della paura, che fa sempre esagerare nella difesa ed è prigione per chi è dentro e per chi è fuori e non ne capisci il senso se non della paura e della piccineria, che qui poco si addice. Betlemme è bella quando sei fuori negli spazi aperti. Qui la storia degli uomini non ha reso giustizia al messaggio degli angeli. Dovette essere una grande notte, piena di celeste eccitazione e che gioia per i semplici, che questo attendono, consapevolmente, ma più ancora inconsapevolmente, ogni giorno della loro vita e questo naturalmente, e anche noi consapevolmente e inconsapevolmente, attendiamo, specie in questo tempo, che è sempre bello e non dipende dal freddo, o dagli altri agenti, che semmai fanno solo da cornice, più o meno riuscita, a questo tempo dell'anima. Vi penso, questo lo sapete e mi è facile quando l'alba stenta ad aprire gli occhi e la sera arriva presto per conciliare meglio i nostri pensieri e guidarli verso l'alto, verso quel cielo che si prepara la livrea migliore e non sbaglia mai la misura, nè il colore, con la magia delle sue stelle, che tornano allo splendore che è sempre particolare in questo scorcio di anno. Quest'anno il Natale mi porta la familiarità dei luoghi santi, che ho visitato appena l'altro ieri, tanto ancora mi riempie quell'esperienza che è bella da non credersi.
Chi sceglie di andare nella Terra che vide lo Splendore del Padre e accolse la Sua Parola Benedetta deve essere preparato al fatto che quella Terra interroga l’animo nostro nel modo più profondo e non ci lascia tranquilli. Quello che capita alla gran parte delle persone, perfino ai più scettici, o forse sarebbe meglio dire ai più impreparati, è di sentirsi cambiati nel modo più dolce pensabile, come dovette capitare a quei ricchi sapienti guidati dalla stella, che andarono per curiosità di ricerca e se ne tornarono talmente trasformati che divennero stranieri alle loro genti, secondo la bellissima intuizione di Eliot ” Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni,ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi, fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.”
A Nazareth una bella aria di Attesa si respira tutto l'anno.
Si arriva a Nazareth, come risvegliandosi da un sogno e ci si rende conto che qui è l’inizio di ogni cosa. La Chiesa dell’Annunciazione alza coraggiosa nel contesto islamico la sua cupola imponente. Ha studiato bene il suo progetto Barluzzi per indicare che i disegni di Dio sono una cosa seria. Nazareth, la semplice, mantiene la vita di tanto tempo fa. E’ araba Nazareth e non fa nulla per nasconderlo. E’ piena di colori e di voci, è piena di bancarelle stracariche di melograni e di arance in bella mostra. E’ carica di storia e mantiene il rispetto per una giovane donna piena di bellezza. E’ araba Nazareth e colma di canti di muezzin, che invitano alla preghiera in modo assordante, come a farsi largo nel resto che è ebreo.
Siamo ebrei anche noi, musulmani o cristiani di ogni orientamento, per dire che ogni preghiera si leva a Dio, piena di ogni giustificazione. Questo ho pensato e non ero disturbato, mentre i muezzin a squarciagola gridavano il loro canto ad ogni improbabile ora, senza tante domande sul diritto degli altri di fare lo stesso per il Dio che è unico e Supremo, Santo e fonte di ogni santità, ma in questa ignoranza del diritto degli altri, forte affermavano e ancora lo fanno, il diritto di Dio ad avere canti di gloria per il Suo creato. Il mio inno lo canto anche per questa giovane e coraggiosa donna, questa torre d’avorio, forte e incrollabile, questa benedetta fra le donne, quando fu creata questa creatura unica, infinitamente gradita a Dio, come sottolinea Charles Peguy, colei che è infinitamente regina, perché è la più umile delle creature, che è più vicina a Dio perché è la più vicina agli uomini.
E’ tardi quando arriviamo a Nazareth, ma a sorpresa la Chiesa di Maria è ancora aperta per una Adorazione. Ci accoglie bene Nazareth ed è un incanto la preghiera.
Si entra timorosi nella casa di Maria, non perché la Chiesa incuta soggezione. Siamo timorosi di creare trambusto, come in una casa che merita silenzio. La grotta è di una semplicità maestosa, perfino nel colore. E sorprende e rincuora e qui sembra appena giunto Gabriele, che ne fu confortato dopo il lungo viaggio, e metteva timore, ma non lo voleva. E si sorprese … Non temere, disse infatti. Ma con lui giunse la nuvola dello Spirito. Che mistero ineffabile. Ne parlo, ma la parola non serve. Bisogna stare nel mistero e accoglierlo nel cuore per meglio meditarlo. Ci accoglie Maria, non la si vede, ma si sente, ha qui lasciato come un segno della sua presenza e della sua fede determinata. Nella semplice casa vi è giusto un altare con una scritta che rivela un legittimo orgoglio. Non dice: Verbum caro factum est, ma grida felice, VERBUM CARO HIC FACTUM EST. Tutto attorno è posato lo sforzo degli uomini, a partire da Barluzzi, per dire la loro gratitudine, ma tutto è poca cosa in confronto a questa semplice grotta. E’ piena di grotte Nazareth, ma questa si ammanta di una bellezza indescrivibile. Fermatevi alla cancellata che la protegge per capirlo. HIC, qui, una vergine coraggiosa accetta un messaggio di un angelo che mette turbamento. E’ una vergine prudente e vuole capire e quando capisce accetta e sfida le leggi della sua comunità, che mette in pericolo la sua vita, perché è passibile di morte perfino per la sua religione. Si gira in fretta per dare spazio a tutti, ma si ritorna. Veloce e piano insieme, piano nella mente e nel cuore, le gambe si fanno complici dell’anima che vuole imparare a dire sì, con la stessa dolcezza e la stessa determinazione. La grotta è sempre qui, naturale, naturalmente, bella senza fronzoli, bella dello Spirito che ancora aleggia e richiama e ricorda la Sua natura d’amore. E ci si inginocchia, senza protocollo, senza liturgia, ci si inginocchia naturale, naturalmente, perché è l’anima che si inginocchia e neanche ti avverte e tu sei lì con gli occhi per terra, stordito, mentre tutte le Ave Marie, ancora Peguy, e il nobile Salve Regina, che cantiamo con il desiderio di mai finire e lo eleviamo al cielo, sono bianche caravelle, umilmente raccolte sotto le loro vele a fior d’acqua, come bianche colombe che si alzano nella cupola a giglio. Si prega a Nazareth, oh se si prega, e si canta e si canta in tante lingue, come in una Pentecoste. Il canto più bello è in arabo e noi lo abbiamo ascoltato rapiti, un canto pieno di melodia e di suoni carichi di inflessioni, che ci ricorda la lingua di quella giovane donna. E’ cara a Dio questa giovane, che seppe rallegrarsi della Sua Parola. E’ cara e ha saputo rispondere, facendosi tabernacolo vivente e cara al cuore degli uomini per aver saputo difendere il frutto benedetto del Suo ventre. E lo ha fatto da Erode fino all’Egitto e sembra averlo riportato qui, in questa semplice grotta, come se neanche a Betlemme si sentisse sicura. Chi va a Betlemme riceve la stessa sensazione di sovrastrutture del Santo Sepolcro. Solo sul punto della stella si prova una forte emozione e nei campi dei pastori, dove ci si guarda intorno immaginando il fulgore e il clamore di quella notte. Fu una notte di luce e di meraviglia, una notte di lode e di benedizione della buona volontà. Ma a pensarci bene ho ritrovato a Nazareth la gioia del Natale e per molte ragioni.
Ora potete immaginare con quali sentimenti vi penso in questa parte dell'anno e come mi preparo alla comunione con i vostri desideri e con le vostre speranze. Con affetto.
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Nel cuore uno strappo profondo e ramingo
….solitario.. si nutre…di immortali
Piaceri.
Procurati un sorriso e
guadagnati un amore…
Mezzanotte,nel freddo…
la ferita s’asciuga,
essa stessa al calore del sangue.
E non sente rumori o voci distorte
….dal vento.
Ma ululati…..ecco i lupi!!!!!
Affamati…rabbiosi!!!!
Uno strappo profondo proprio
in fondo al cuore…
s’insinua poi nella mente
dai pensieri perduti….
Le colpe cadono nel fondo e
pesante diventa il fardello.
Pesante è il raggio di sole che
non avrai mai nel letto disfatto e sudato.
…..cuore ferito….assopito….annegato..
profondo è il baratro aperto nelle vene.
Grande è il dolore che mai più
lascerò navigare nei pensieri altrui.
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NON SOFFRO PIU',NON PIANGO PIU' NON DESIDERO PIU'
NON RICORDO PIU'.
TUTTO E' FERMO ,STAGNANTE NELLA MENTE
E NEL CUORE COME SE DOVESSE RIPRENDERE VITA
ALL'IMPROVVISO PER UN TEMPORALE RIGENERATORE.
SONO NEL SOTTOBOSCO DELLE EMOZIONI
NASCOSTA DA OMBRE PIù FORTI E PIU'GRANDI
DI ME E NON HO ARIA PER RESPIRARE .
VORREI ALLUNGARE LA MANO E AFFERRARE
QUALCOSA CHE MI PORTI ALLA LUCE.
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piangere senza imparare,
svegliarti la mattina senza sapere che fare
avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realta'.
È proibito non dimostrare il tuo amore,
fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici,
non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto
e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente,
fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te,
dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso,
avere paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire,
dimenticare i suoi occhi e le sue risate
solo perch è le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone,
pensare che le loro vite valgono meno della tua,
non credere che ciascuno tiene il proprio cammino
nelle proprie mani.
È proibito non creare la tua storia,
non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che cio' che la vita ti dona,
allo stesso modo te lo puo' togliere.
È proibito non cercare la tua felicita',
non vivere la tua vita pensando positivo,
non pensare che possiamo solo migliorare,
non sentire che, senza di te,
questo mondo non sarebbe lo stesso.
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Non ho bisogno di danaro
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti
Ho bisogno di poesia
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e da colori nuovi.
(Alda Merini)
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Amore non è amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro si allontana.
Oh, no!
Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
Amore, non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto,
e nessuno ha mai amato.
(W. Shakespeare)
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C’è solo un’uscita per le sofferenze... passando attraverso di esse. Dio non ti darà mai più di quello che puoi caricare. Quindi, caricati la tua Croce e rallegrati per il premio. Impariamo a caricare la nostra Croce senza protestare e chiediamo al Signore solo forza per continuare e uscirne trionfanti. Qualsiasi sia la tua Croce, qualsiasi sia il tuo dolore, ci sarà sempre uno splendore, un imbrunire, dopo la pioggia... Forse potrai inciampare, forse perfino cadere... Però Dio è sempre pronto a rispondere alla tua chiamata... Dio ti invierà sempre arcobaleni dopo la pioggia. Solo 30 parole: Dio, Padre Nostro, gira per casa mia e portati via tutte le mie preoccupazioni e malattie per favore prenditi cura e proteggi la mia famiglia. Nel nome di Gesù, Amen. | ||
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Inviato da: STREGAPORFIDIA
il 06/05/2012 alle 22:15
Inviato da: dolente2005
il 27/11/2011 alle 23:12
Inviato da: Sfiorami.L.Anima.F
il 27/11/2011 alle 18:08
Inviato da: Sfiorami.L.Anima.F
il 24/11/2011 alle 22:02
Inviato da: dolente2005
il 10/09/2011 alle 12:10