Sasha Sans Serif

COCCODRILLO


Non nominerò l'artista che è morto oggi, non è il caso di farmi indebita pubblicità cavalcando la tigre, come diceva il piccolo padre del mio partito, cavalcando Enrique, il mio rivale postumo, quando, in completo isolamento, otteneva dei risultati.Per di più, non ero suo fan. Loin de là.Ma, quando è diventato un fenomeno, avevo quindici anni.E la dottoressa, quando mi visitava, sospirava "Questi giovani, credono di essere immortali" (SI!). Vizio che, per fortuna, non ho del tutto abbandonato, neanche quando, tornato a Ferreñafe, sono stato schiacciato da uno squallore che, da ragazzino, non avevo visto.Se così non fosse, oggi non sarei qui a parlare di un artista (titolo che gli conferisco oggi, dopo aver visto chi gli è succeduto, le canzonette nazionali o importate che mi entrano da un orecchio e mi escono dall'altro) e del suo passaggio, per vie traverse, dalla mia vita. Non avrei neanche musica in casa, come molti miei concittadini.La mia vita, quella vera, è incominciata quando P.H. si è ricordato di avere un figlio (non si veda alcun rimprovero in questo, le cose sono andate così e dopo ci siamo abbondantemente rifatti) e gli ha regalato un  giradischi a valigetta. Senza alcuna censura annessa. Il mio primo disco, a nove anni, è stato di Joan Manuel Serrat. Sono seguiti i Bee Gees, I Kiss, e via via, secondo quello che la radio mi proponeva e non m'imponeva. Nessun'identificazione con un genere o con un altro.E, nella mia supercalifragilidiscoteca di quattrocento CD e duecento cassette che non ho nessuna intenzione di buttare, ho anche qualcosa del cantante che se n'è andato poche ore fa. E' una canzone celeberrima ma non so come si chiama. Non lo so davvero. E' uno spezzone registrato dalla radio, con un portatile mono, su un nastro schifosamente metallico (sembrava double face), un tempo raccolta (non ancora compilation) originale di canzoni per bambini, riconvertito nel pirataggio radiofonico, con tanto di jingle "Ondaaaaa Po-pu-lar!" nel bel mezzo della canzone. "L' Hi-Fi?" Dicevamo, allora, "Che cos'è, roba che si mangia?". Alla nostra fantasia bastava ampiamente un terzo di canzone. E' tutto sotto il letto, almeno quaranta supporti dall'acustica disastrata, tutti registrati in quel periodo e anche più tardi. A Parigi.Avevo una giovane amica, Nel XV arrondissement, follemente innamorata del divo e di Sylvester Stallone, ed era indecisa, la mia Sabrina, se chiamare il suo canarino Rocky o col nome che non pronuncerò. Allora gridavo al consumismo; come se non fossi stato innamorato e fanatico di Bossis, io. Adesso che ho smesso i panni dell'integralista, guardo con tenerezza a quella dodicenne e ai suoi poster.Mi fermo qui, con i ricordi. Mi fermo a quel 1982 a Parigi, col mondo in mano e la libertà nell'aria che respiravo, e lui con lo smoking bianco che spuntava su sagome e megaposter nei negozi di dischi, come il Nuggets. Aveva un significato, non foss'altro che per lo sfottò.Ah, no. C'era ancora Chantal, vent'anni fa, che, prima di farsi suora, mi mandava decine di cassette con le sue personali compilations (non più raccolte), nelle quali c'è almeno una delle canzoni del nostro.Saluto chi se n'è andato, perché in qualche modo è stato qui. E un giorno, non oggi, ci riderò ancora un po' su. E ci vuole un minimo di personalità, per far ridere il sottoscritto.© 2009  Pavia Malandra