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politica e nonviolenza

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Relazione tenuta all'assemblea nazionale del mir (seconda parte)

Post n°6 pubblicato il 08 Maggio 2007 da bunciuk
 
Tag: mir

Situazione politica

Un breve cenno alla situazione politica mondiale: potrei fare un copia-incolla dalla relazione dello scorso anno; mi preme sottolineare comunque i seguenti aspetti: la ripresa della corsa al riarmo: la decisione di Putin di congelare il trattato sul disarmo, conseguente alla estensione dello “scudo antimissili”, atto gravissimo, preso in tutto segreto dai governi Nato, tra cui il nostro, dimostra come ormai si stia andando verso una situazione estremamente pericolosa.

Fallito il progetto di “new american century” rimane una posizione di privilegio e minacciosa degli Usa, a cui si oppongono in maniera più o meno diretta, più o meno chiara e alternativa, una serie di potenze che cercano il loro spazio e/o un recupero di posizioni egemoniche.

Quello che però è più chiaro oggi di alcuni anni fa è che non c’è nessun nuovo ordine internazionale durevole, e, se è vero che una situazione instabile è più aperta a sviluppi positivi, e che non è escluso a priori che si possa arrivare ad una gestione “concordata” dell’assetto mondiale con rivalutazione delle istituzioni internazionali, la situazione è aperta anche  a sviluppi ben più pericolosi, ad un aumento di tensioni, con il tentativo, da una parte di contrastare la potenza americana con le armi, dall’altra di difendere con le stesse quella posizione egemonica da parte Usa, soprattutto quando si è convinti di avere una netta superiorità in questo momento, che però potrebbe non durare a lungo. E qui sorgono i maggiori pericoli.

Non so se sono pessimista, ma in questo momento il secondo scenario, estremamente pericoloso, lo vedo più probabile del primo, per me auspicabile.

Non è solo il pericolo di un conflitto Usa Iran che mi preoccupa, ma proprio il deterioramento dei rapporti con Russia, domani anche Cina, mentre in una situazione di caos generalizzato ognuno cercherà di guadagnarsi in proprio quella che ritiene l’assicurazione per la sopravvivenza: l’arma atomica. Dopo Iran, (e direi di smetterla almeno noi con questa pantomima del nucleare civile; che se ne fa del nucleare civile un paese che naviga sul petrolio, e ha meno fame di energia dell’Italia?), toccherà ad Arabia Saudita, Siria, Giappone, e non si sa con precisione cosa abbiano i paesi dell’Asia centrale.

La ragione della campagna per il disarmo nucleare è che si tratta dell’unica via per sfuggire a questo piano inclinato verso l’apocalisse: la vedo come un episodio per porre al centro dell’attenzione la necessità di questo disarmo a livello internazionale, come un possibile inizio di un disarmo nucleare generalizzato; non servirebbe a molto riuscire a togliere 90 ordigni dal nostro territorio nazionale di fronte allo scenario indicato.

Ora occorre chiedersi: come poter deviare la tendenza verso il primo scenario? Non è un compito cui possiamo assolvere noi con le nostre forze, ma occorre anche qui che dei soggetti, sia a livello popolare e sociale sia di stato credano e spingano in quella direzione.

All’orizzonte io vedo solo qualche barlume di speranza con molte incertezze: sono l’Europa, il Sudamerica, l’India.

L’UE con tutte le sue contraddizioni è comunque il primo riuscito tentativo nella storia dell’umanità di una costruzione ideale dal basso di una nuova entità statale, basato sul consenso e non sulla forza: se pensiamo a cosa era l’Europa, teatro delle guerre più sanguinose, con popoli che da secoli si odiavano e si massacravano, solo 60 anni fa, bisogna togliersi tanto di cappello a chi ha avuto l’intuizione dell’Europa unita e l’ha perseguita. Si tratta di uomini che non erano nonviolenti, tutt’altro che rivoluzionari, ma che su questo, hanno avuto una grande saggezza e reso un grande servizio alla pace nel mondo. Come nonviolenti ritengo che dovremmo essere tra i sostenitori dell’UE come progetto politico federale, e vigilare su tutti i tentativi di fermarlo o farlo dissolvere.

Un buon progetto politico ma riempito di contenuti sbagliati: la caratteristica dell’Europa dovrebbe essere proprio quella sensibilità sociale, il suo messaggio al mondo quello della sussidiarietà: la costruzione che si sta facendo è invece tutta tesa a difendere il liberismo e ad annullare le conquiste sociali che pur sono costate “lacrime e sangue”; dunque: si alla costruzione europea, si ad una costituzione europea, ma no a questa costituzione. Guai se come nonviolenti ci aggregassimo e non marcassimo le differenze con chi rifiuta la costituzione dell’Europa per tutt’altri motivi.

Ma l’Ue potrebbe avere una funzione positiva anche in campo internazionale, per rivalutare le istituzioni internazionali, per proporre una politica di pace e non basata sulla forza. E’ ovvio che questa non è nonviolenza, non possiamo sperare che un domani vicino dei politici nonviolenti guidino l’UE  e gli stati membri. Ma il nostro ruolo deve essere anche quello di saper proporre obiettivi che vadano nella giusta direzione, che unica può espellere la guerra dalla storia, se mai ciò sarà possibile: la nonviolenza. Ma obiettivi che sono parziali e che possono essere condivisi e sostenuti da un vasto numero di popolo e di politici; in fondo la grandezza di Gandhi è stata proprio questa, aver coinvolto nel satyagraha anche chi nonviolento non era, aver trascinato politici, persone che erano anche lontano dal suo modo di vedere; è questo che dobbiamo capire quando parliamo di sbocchi politici della nonviolenza: questi possono venire solo se si sapranno proporre questi sbocchi anche a chi nonviolento non è.

Ritengo, pertanto, che la funzione dell’Ue per rendere il mondo più pacifico potrebbe essere importante.

Grossi elementi di novità oggi vengono amche dall’America Latina: gran parte di quei popoli e di quei paesi stanno avendo un atteggiamento sempre più critico nei confronti del liberismo, e sono sempre meno disposti a fare gli outsider degli Usa. Con mille contraddizioni, perché Chavez non è comunque il prototipo del politico democratico, in altri paesi continua a regnare la corruzione, ma qualcosa si sta muovendo e ciò è positivo. Potranno questi paesi proporsi un ruolo anche in politica internazionale?

Avevo citato anche l’India, perché, caduto il governo nazionalista, pur attraverso contraddizioni varie, mi sembra che quel paese possa puntare a recuperare un ruolo di punto di riferimento per vari paesi del cosiddetto Terzo Mondo (come era stato ai empi di Nehru) e perché la sua politica sia comunque centrata alla ricerca di soluzione diplomatiche anche nei confronti del conflitto col Pakistan.

Certo che da qui a dire che stiamo assistendo ad una inversione di tendenza ce ne passa.

Di fronte a queste cose così grosse e così distanti che ruolo abbiamo noi?

Anche qui, possiamo discutere di grande politica, anzi è bene farlo, anche più di quanto non abbiamo fatto finora, ma siamo ininfluenti, o meglio, la nostra influenza è infinitesimale.

Dovremmo però cercare di approfondire i temi sopra accennati, farne dei seminari di discussione, ricavarne conseguenze coerenti, proporre idee nuove e innovative che partiti e politici di professione potrebbero prendere a prestito.

Vedo 2 grossi pericoli: da una parte il massimalismo, dall’altra l’essere rinunciatari: con il primo la tendenza è quella a dire “tanto sono tutti uguali”; essa porta di fatto a rinunciare a fare qualsiasi azione o al cercare pervicacemente di porsi obiettivi irraggiungibili, quasi che solo in questa radicalità inefficace  possiamo trovare soddisfazione: è questa la cosiddetta “cultura antagonista”, che poi si riduce a crearsi un ghetto, dove di fatto non si da fastidio a nessuno, e così complementare ad un sistema tollerante-autoritario, che in tal modo può dimostrare quanto è democratico tollerando appunto anche i più ostili al sistema stesso, senza mai doversi mettere in discussione.

E’ un atteggiamento molto poco gandhiano che invece cercava sempre l’efficacia; dopo ogni campagna nonviolenta, dovremmo sempre chiederci “abbiamo fatto anche solo un passettino in avanti?”.

E’ il tema sottostante alle discussioni che ci sono state in rete lo scorso febbraio. Sarà anche vero che l’attuale maggioranza è stata estremamente deludente dal nostro punto di vista, ma rinunceremmo per questo a pungolarla? O pensiamo di trovare orecchi attenti nell’attuale centrodestra? Se pensiamo che l’Europa possa svolgere una funzione positiva in campo internazionale, ne affideremmo la guida a Berlusconi o Fini o Sarkozy, indifferentemente?

L’altro atteggiamento è la rinuncia alla politica: dalle istituzioni cerchiamo solo un po’ di finanziamenti per i nostri progetti, e per il resto continuiamo come se nulla fosse.

I nostri compiti

Per tornare al mir vorrei riprendere sempre dal discorso di Hildegard fattoci a Strasburgo quelle che lei ci suggeriva come opportunità del tempo presente (il riferimento era alle banche europee):

1)            l’opportunità di uno spazio in europa senza guerre ma con il compito di recuperarne i valori sociali: dunque lo sforzo per modificarne la costituzione:

2)            l’immigrazione: la necessità di giuste leggi, il rifiuto del razzismo, ma anche la grande opportunità per un lavoro interreligioso;

3)            l’importanza del decennio 2001-10 per l’educazione alla pace e alla nonviolenza indetto dall’assenblea generale delle Nazioni Unite e dell’introduzione dell’educazione alla pace in europa.

Per fare tutte queste cose bisogna però misurare le nostre forze: il mir  è adeguato ai compiti che gli si pongono davanti ?

Assolutamente no: occorre rafforzarlo.

Prima però vorrei ricordare i grossi passi avanti fatti in questi anni.

Dopo la campagna di obiezione alle spese militari, secondo me uno dei fiori all’occhiello dei movimenti nonviolenti italiani, densa di conseguenze politiche, e dopo la bella iniziativa della marcia “mai più eserciti e guerre”, è iniziata una fase di stanca del movimento, in cui sembrava impossibile ritrovare un motivo di azione comune caratterizzante; fase fatta di ordinaria amministrazione, a cui si è aggiunta una crisi interna che aveva fatto allontanare molti amici; fu nel pieno di questa crisi, che, inaspettatamente, venni eletto presidente, e da subito mi ritrovai di fronte ad una situazione in cui si rischiava la fine per esaurimento: ricordo la lettera ai soci “SOS Mir” in cui insieme alla segreteria lanciai questo accorato appello.

Da allora, non certo per merito mio, ma anche col mio contributo, iniziò una fase di lento ma costante recupero.

Lo scorso anno a Gricigliana, ci buttammo nell’impresa di costituirci come aps (associazione di promozione sociale), ma soprattutto mi parve di leggere una volontà di ripresa.

Oggi non basta fermarci qui; i prossimi anni devono essere quelli della crescita del mir e del ritorno dei giovani; altrimenti quelle crisi temporaneamente superate torneranno e, come nelle malattie, le ricadute sono sempre peggiori.

2 anni fa avevo proposto l’obiettivo dei 500 iscritti: purtroppo siamo ancora lontani da questo obiettivo, spero che il prossimo presidente possa essere in questo più bravo di me; ma occorre una collaborazione di tutto il movimento, soprattutto la consapevolezza che senza la nonviolenza organizzata le idee marceranno di meno.

Dunque chiedo a voi di proporvi il rafforzamento del movimento, in particolare tra i giovani. Abbiamo un patrimonio enorme da far valere, metterlo sotto il moggio, come dice il vangelo, sarebbe un peccato grave.

Propongo le seguenti linee direttrici

Lavorare per la diffusione della nonviolenza nelle chiese: l’evento del 6 agosto che stiamo preparando deve essere il primo passo, ma deve continuare il lavoro di approfondimento iniziato 3 anni fa su fede, tradizioni religiose e nonviolenza, vanno coinvolte le chiese, le associazioni, le parrocchie, le comunità: oggi sono queste che possono dare un grosso aiuto alla nonviolenza nel mondo; e le prospettive sono positive.

Il lavoro del decennio deve completarsi anche a livello istituzionale: un grazie di cuore va detto alla sede di Padova, che per alcuni anni da sola, e nella quasi ignoranza nostra, e di questo voglio fare ammenda a nome di tutto il movimento, ha lavorato sugli obiettivi del decennio, ha realizzato convegni e materiale, e oggi stiamo raccogliendo risultati proficui anche sul piano istituzionale; questo lavoro deve andare avanti e completare gli obiettivi del decennio, in particolare l’impegno adesso è per l’introduzione dell’educazione alla pace nei “curricula” scolastici.

Il lavoro di appoggio ai ccp (corpi civili di pace): è l’alternativa agli interventi armati, la parte propositiva di tutte le nostre campagne per il disarmo. Siamo stati tra i fondatori e i promotori dell’Ipri-reteccp; questo è però un impegno di lunga durata che richiede costanza ed attenzione.

I campi: come ho già detto sono una delle nostre attività più importanti, perseguite con più costanza, anche se ci sono stati momenti in cui il gruppo dei coordinatori e il movimento hanno viaggiato in modo autonomo; ora va continuato il tentativo di recuperare una piena integrazione tra queste fantastiche persone del gruppo coordinatori e l’insieme del mir. E’ anche l’attività attraverso cui ogni anno circa 100 persone, prevalentemente giovani, vengono a contatto con il mir: dunque nell’ottica di un rafforzamento del movimento van seguiti da vicino.

Approfondire il legame con l’ifor: mai il mir italiano si è avvicinato all’Ifor come in questi anni: 2 rappresentanti italiani al consiglio mondiale di Tokyo, la costante partecipazione agli incontri europei, la nostra MariaAntonietta che rappresenta l’Ifor all’Unesco. Il nostro legame con l’Ifor è una ricchezza che da maggior forza alle nostre campagne, che ci permette un costante contatto con la nonviolenza nel mondo, dunque un settore quanto mai importante

Curare la comunicazione interna ed esterna: è il punto attualmente più debole del movimento: io già lo scorso consiglio nazionale feci la proposta di creare un gruppo di lavoro sulla comunicazione che si occupasse dei vari aspetti: sito, comunicazione interna ed esterna. Ritengo importante che il movimento sia più presente nei media, si dia delle forme di comunicazione snelle ma efficaci, venga favorita la discussione all’interno. Oserei dire che per un’associazione la comunicazione (quella che una volta veniva chiamata stampa) è il settore più importante, ma ho l’impressione che al mir questo non sia sufficientemente compreso

So che per tutto questo occorre uno sforzo grande, ma non è grande la pretesa di diffondere la nonviolenza?

 

PACE    FORZA    GIOIA

Paolo Candelari

Presidente del MIR

 

Fano, 29 aprile 2007

 
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Relazione generale tenuta all'assemblea del mir (prima parte)

Post n°5 pubblicato il 08 Maggio 2007 da bunciuk

Gesù ha fornito lo spirito, Gandhi ci ha mostrato come usarlo… L'obiettivo finale della non-violenza deve essere la creazione di una Comunità in cui regni l’amore. Le tattiche della non-violenza senza il suo spirito possono trasformarsi in in una nuova forma di violenza.“

Martin Luther King

Premessa

Eccoci ad una nuova assemblea nazionale, un appuntamento che  ci permette di fare un bilancio, una analisi di cosa abbiamo fatto, cosa potremmo e vorremmo fare, ma soprattutto un momento in cui ritrovarsi, vivere comunitariamente, riprendere forze ed energie.

Da alcuni anni questo momento riesce a rispondere abbastanza bene a queste esigenze: ricordo nel passato assemblee noiose ed altre molto tese, come a volte è facile fare quando si rimane troppo fissati sulle pur importanti scadenze istituzionali e organizzative e si dimenticano le ragioni di fondo per cui siamo qui.

Per questo ho voluto premettere a questa mia relazione la citazione di uno dei nostri “buoni maestri”, che non ha bisogno di ulteriori commenti: è importante che l’abbiamo davanti non solo agli occhi, ma al cuore durante questa nostra assemblea, perché non dimentichiamo mai il perché noi spendiamo tempo, energie, ci muoviamo da un capo all’altro dell’Italia, a volte felici di farlo, altre più per senso del dovere: perché crediamo possibile, e vogliamo esserne protagonisti, la creazione di una “società dell’amore”: tutto il resto, il mir, le assemblee, il sito, le circolari, le campagne, le cariche, sono strumenti per realizzare quel grande obiettivo: è importante  non scambiare i fini con gli strumenti per raggiungerli.

Quest’anno l’assemblea capita una settimana dopo l’annuale incontro delle branche europee dell’Ifor, su cui relazionerò domani; incontro sempre interessante e “caricante”, come un buon “ricostituente”, se non altro per il fatto che ci si trova a discutere tra persone provenienti da paesi e culture diverse, uniti da quello stesso obiettivo di cui sopra: quest’anno eravamo in 30, “rappresentanti” 14 nazioni diverse.

In questo incontro ho trovato diversi spunti utili al nostro lavoro: in particolare ho conosciuto Hildegard Goss, una donna eccezionale, che ci ha raccontato l’esperienza della sua vita, da 50 anni  strettamente legata a quella dell’Ifor.

Alcuni dei suoi pensieri mi sono rimasti particolarmente impressi: in particolare ha rimarcato l’importanza di trovarsi personalmente, oltre gli scambi pur utili per via telematica o epistolare; ogni incontro dell’ifor dovrebbe essere impostato partendo dall’analisi della situazione in cui ci troviamo ad operare per chiederci quali sono i nostri compiti.

Ed è quello che tenterò di fare io, sperando di trovare in voi degli attenti critici, perché penso che questa analisi possa essere fatta solo collettivamente così come la successiva fase di definizione di come agire.

Situazione generale

Essa è caratterizzata dalla continuazione della “guerra globale al terrorismo”, con sempre maggiori e preoccupanti complicazioni.

Quest’anno c’è un ulteriore elemento che si sta prepotentemente imponendo all’attenzione dell’opinione pubblica: il cambiamento climatico ormai in atto.

Puo’ sembrare un elemento frivolo o estraneo alle tematiche che siamo abituati ad affrontare nei nostri consessi, invece è un dato estremamente preoccupante, ben più, a mio avviso, degli stessi sviluppi della “guerra globale”.

Esso è il fenomeno di quel complesso di azioni umane chiamato, non sempre con proprietà di linguaggio, inquinamento.

Non si tratta infatti solo di inquinamento, nel senso di produzione ed immissioni nell’ambiente di elementi nocivi e velenosi per la vita, ma di un complesso di interazioni prodotte da un sistema che ha completamente dimenticato non il senso, ma l’esistenza dei limiti, che modificano gli equilibri che da milioni di anni hanno favorito la presenza dell’uomo sulla Terra.

Da tempo, non i verdi o gli alternativi, né gli eterni contestatori antisistema, ma fior di scienziati, stanno denunciando la pericolosità di un sistema economico sociale e di uno stile di vita, che sta producendo cambiamenti di entità mai vista nella storia umana, mettendo in guardia che quando i fenomeni del cambiamento del complesso equilibrio ambientale avrebbero cominciato ad essere “verificabili” sarebbe stato troppo tardi porvi rimedio: e da qui deriva proprio il dato più preoccupante della situazione odierna: e cioè che quel punto di non ritorno sembra ormai essere stato superato.

In realtà quando ho parlato di pericolosità di un sistema economico sociale ho usato un linguaggio che è nostro, non degli scienziati: infatti questi hanno parlato di emissioni di CO2, di necessità di abbatterle, di dati chimico fisici; ma i provvedimenti proposti presuppongono un cambiamento di mentalità tale che difficilmente l’attuale sistema potrà realizzare se non trasformandosi radicalmente.

Molti di noi nonviolenti, sia dentro che fuori dal mir, abbiamo da tempo denunciato che questo sistema si sarebbe scontrato con la compatibilità ambientale: particolarmente profetiche sembrano, a rileggerle oggi, le critiche al sistema industriale capitalistico fatte da Gandhi già ai primi del Novecento, e non solo per motivi etico morali, ma proprio per motivi “tecnici” (ricordate la domanda: se 25 milioni di inglesi per mantenere il loro stile di vita devono sfruttare 300 milioni di indiani, cosa dovrebbero fare questi per raggiungere lo stesso livello degli inglesi? Distruggerebbero il pianeta, si rispose il mahatma; oggi gli inglesi sono 60 milioni, gli indiani più di un miliardo!); così come le parole  di Lanza del Vasto e di tanti altri: noi stessi facemmo un convegno-seminario nel lontano 1990 dal titolo significativo: “Sviluppo? Basta! A tutto c’è un limite.”

Sbaglieremmo però a crogiolarci in questo patetico ed inutile “l’avevamo detto”; bisogna capire cosa  è possibile fare e che contributo possiamo dare noi.

Innanzitutto una osservazione: continuando ad usare la metafora di Gandhi, alla sua domanda si potrebbe anche rispondere: ma agli indiani non deve essere permesso di raggiungere i nostri stessi livelli di vita. Ossia, se c’è un problema di accesso alle risorse, lo si impedisce ad altri: questo ovviamente vuol dire forza; dominio su tutte le fonti strategiche di energia, imperialismo planetario, e di conseguenza guerre, o terrorismo, che è semplicemente una tecnica di condurre la guerra da parte di chi non può competere in campo aperto con l’avversario. E questa è la ragione di fondo della “guerra globale per le risorse” vero nome di quella che invece viene denominata, ora “contro il terrorismo”, ora “di civiltà” ecc.

Dunque esiste un nesso molto stretto tra guerre, giustizia sociale e ambiente (pace giustizia salvaguardia del creato, ma guarda un po’!)

Ma qui sorge un grosso problema: questo nesso è I) poco sentito II) anche chi ne parla non sembra trarne le dovute conseguenze, III) sono convinto che chi ce l’ha più chiaro davanti agli occhi sono proprio i gruppi dominanti l’attuale sistema.

E ora veniamo a noi: al punto I : non mi pare ci sia chiara coscienza di questo nesso, soprattutto non esiste una concezione del mondo, una teoria e una prassi che sappia legare i fenomeni di cui sopra, ricavarne delle soluzioni da proporre, individuare i soggetti politici, culturali ma soprattutto sociali in grado di battersi per esse.

Non mi piace autocitarmi, ma se andate a prendere le mie stesse relazioni del 2005 e 2006, vedrete come questo, della costruzione di un’alternativa “globale” al capitalismo “globale” fosse uno dei principali problemi che individuavo. A distanza di 2 anni non mi sembra siano stati fatti grossi passi avanti.

Intendiamoci, esistono, sparsi per l’Italia e per il mondo, diversi gruppi di ecologisti, nonviolenti, gruppi popolari di “resistenza” allo sviluppo, tentativi di proporre alternative anche di vita, reti di economia solidale, commercio equo, ecc. Ma tutto ciò, oltre ad essere estremamente eterogeneo, è più al livello di testimonianza che di alternativa; soprattutto non si riesce a superare il muro di ostracismo decretato dai mass media. L’esperienza dei social forum è anch’essa estremamente eterogenea: una ricchezza da una parte, ma che diventa una debolezza se si vuol veramente opporre e superare l’attuale sistema politico economico sociale.

A questo proposito vorrei sottolineare due errori che a mio parere vengono fatti a questo proposito: uno è la tendenza da parte nostra a considerare l’alternativa come somma di tutti quelli che dicono “no” per i motivi più svariati, non ultimo una forte dose di egoismo “particolare”, non sempre frutto di quell’analisi approfondita e neutra (nel senso che non si esaminano solo le cose che ci tornano comode) che ogni campagna o lotta nonviolenta dovrebbe prevedere; ma soprattutto, quand’anche fossero tutte condivisibili, rischiano comunque di essere settoriali, esempi magari di resistenza a quella distruzione industrialista, ma che non vanno mai oltre il proprio ambito locale; facendo un paragone ardito potrei dire che come l’insieme delle lotte salariali di inizio novecento non erano di per sé lotta al capitalismo se non si inserivano in un più generale quadro politico sociale, così oggi la somma dei vari no abbisognerebbero di un quadro politico e sociale e soprattutto di una coscienza politica per essere lotta per una nuova società.

L’altro errore lo definirei “fatalismo apocalittico”. Da diverse parti vedo ecologisti e nonviolenti che preconizzano una accelerazione della crisi ambientale e politica odierna,  perché una volta che le risorse si esauriranno, che l’industrialismo avrà sbattuto contro i suoi limiti, questa società si dissolverà per lasciare il posto a semplicità volontaria ed economia solidale; e compito nostro sarebbe quello di rifugiarci nell’arca in attesa che il diluvio passi.

Innanzitutto la storia insegna che questi cambiamenti epocali “naturali”, primo, sono estremamente violenti e sanguinosi, secondo, proprio per la mancanza di alternative portano al caos, all’aumento della violenza, della brutalità e dell’intolleranza, con generale indietreggiamento di tutta la società. Ma nel nostro caso abbiamo un occidente, guidato dalla superpotenza americana, in grado di difendere ancora a lungo il proprio stile di vita, e ben lontano dal punto di crollo.

Dunque non aspettiamoci nulla di buono dal “naturale corso degli eventi”; siamo noi, inteso come uomini, a poterlo e doverlo determinare e modificare, affinché questo momento di crisi possa sfociare in un nuovo e meno violento assetto sociale.

Quale a questo proposito il nostro compito come nonviolenti e specificamente come mir? Non saremo certo noi a poter creare la grande coalizione sociale che si proponga quanto sopra detto, né possiamo avere la pretesa di essere i teorici di una nuova ideologia: a questo proposito sarebbe bene che anzi ci rivestissimo di un po’ più di umiltà e riconoscessimo i nostri errori di semplicismo e autoreferenzialità. Ma qualcosa potremmo fare, che non sia il semplice rifugiarsi nell’arca di Noè, che oltretutto mi sembrerebbe un po’ egoista.

Innanzitutto un rendersi coscienti e aiutare il popolo a rendersi cosciente di ciò che sta succedendo. Poi un contributo di studio e di proposte, anche parziali ma che possono essere utili, poi la valorizzazione proprio di quelle esperienze alternative citate sopra. Infine proporre l’aggiunta nonviolenta, ossia la motivazione di fondo, la ricerca della verità, anche quando potrebbe essere scomoda.

Una tematica importante da seguire sono quelle reti di economia solidale che sono qualcosa di più che un G.A.S. (gruppo di acquisto solidali) o insieme di questi; se c’è una possibilità di economia alternativa è da lì che potrà venir fuori; l’altro tema è quello dello studio, della solidarietà, ma soprattutto della condivisione con chi già oggi sperimenta diversi stili di vita; è l’attività che viene fatta attraverso i campi estivi, geniale intuizione di Beppe Marasso di 20 anni fa, che è secondo me un elemento prezioso dell’attività del mir italiano, che a volte abbiamo lasciato un po’ troppo a se stesso, ma che deve assolutamente essere seguito e rafforzato dall’insieme del movimento.

(segue) 

 

 

 

 
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discorso di fine anno

Post n°4 pubblicato il 30 Dicembre 2006 da bunciuk
Foto di bunciuk

Carissimi amici del mir e della nonviolenza,
ormai un altro anno se ne è andato; in questa scadenza del tutto formale, in cui diciamo che un periodo è finito è d'uso fare bilanci e buoni proponimenti.
L'avvicendarsi degli anni ci ricorda che il tempo passa, e questo rimanda il pensiero alla nostra limitatezza: noi viviamo in un tempo preciso, ne abbiamo un po' a disposizione, in questo cerchiamo di agire per il bene comune e nostro, ma dobbiamo aver ben presente che questo tempo non è infinito, come nulla su questo mondo; dunque quello che ci è stato dato, e nessuno di noi può sapere quanto ce ne sarà ancora dato, usiamolo e usiamolo bene.
Noi come movimento e come persone ci siamo dati la missione di diffondere il buon seme della nonviolenza: come diceva Gandhi non possiamo sperare di eliminare definitivamente ogni forma di violenza, ma possiamo e dobbiamo cercare di abbassare il livello di violenza esistente, ed aumentare quello di nonviolenza.
Ecco quale è il bilancio che dovremmo fare: siamo riusciti, come persone e come movimento in questo scopo; rispetto ad un anno fa di quanto siamo riusciti ad abbassare questo livello, quanta persuasione per la nonviolenza siamo riusciti a diffondere o semplicemente ad aumentare in noi?
Ed è importante che, come in ogni bilancio fatto di numeri e di cifre, si sia molto concreti: ossia l'efficacia della nostra azione non può essere disdegnata.
Ognuno cercherà di rispondere in cuor suo per quanto riguarda la propria persona, ma come movimento non possiamo esimerci dal dare una risposta collettiva.
Iniziammo il 2006 con un appello richiesta alla coalizione di centrosinistra, nota come Unione.
Si era infatti alla vigilia di una importante campagna elettorale che definirei epocale, una svolta paragonabile al referendum repubblica-monarchia, anzi più importante ancora perché nel '46 l'assetto democratico della nazione non era comunque in discussione.
Andammo alle elezioni sicuri della vittoria del centrosinistra, e abbiamo rischiato di precipitare in un incubo.
Penso ognuno di noi abbia dato il suo infinitesimo contributo alla vittoria dell'unione, e conseguente sconfitta dello schieramento eversivo guidato da Berlusconi; ed in una elezione che, brogli a parte, è stata decisa da 20000 voti, ognuno può sentirsi determinante.
Ed è bene che ci ricordiamo di queste cose quando si discute di governo "amico" o meno o quando si dice che, destra o sinistra son tutti uguali ed ugualmente militaristi.
Quando facemmo quel documento, e decidemmo di sostenere il centrosinistra, io non mi illudevo di sostenere uno schieramento nonviolento, e neanche attento alla nonviolenza, ma semplicemente di difendere e ripristinare un quadro politico democratico, senza il quale qualsiasi discorso su pace e nonviolenza rischia di essere estremamente difficile.
In quel documento noi mettemmo comunque alcune condizioni, minime, che non esauriscono certo una politica anche graduale verso la nonviolenza: di queste alcune si sono realizzate: il ritiro italiano dall'Irak, altre sono andate in senso opposto: aumento delle spese militari. Quanto ai corpi civili di pace, essi rimangono sostanzialmente al punto di prima: al livello di discussione preliminare.
Su questo però occorre onestamente dire che le colpe non sono del governo o di un quadro politico insensibile: questo sicuramente c'è, ma la causa di tale stallo sta soprattutto nel fatto che al momento l'insieme dei movimenti associazioni gruppi del pacifismo nonviolento, sono divisi, incapaci di elaborare una linea politica comune, di agire come un soggetto non dico organizzato ma almeno convergente.
E' per questo che la politica istituzionale della nonviolenza praticamente non esiste, che la commissione sulla difesa civile e non violenta è fallita, che la reteccp è ancora solo una società registrata dal notaio, che la campagna antinucleare stenta a decollare.
E con ciò penso di aver citato gran parte delle campagne e degli impegni del nostro movimento in quest'anno e presumibilmente nel prossimo.
Un proponimento può essere dunque quello di fare la nostra parte, stimolando quella presa di posizione forte e chiara delle chiese contro l'arma atomica. Se già riuscissimo in questo obiettivo sarebbe gran cosa.
Esistono anche altre attività, ma questo vuol essere un discorso di auguri di fine anno e non una relazione esauriente.
Vorrei solo citare due altre attività: la campagna del decennio Onu, che ha visto il realizzarsi di alcune importanti tappe e che abbisogna di un ulteriore sforzo per arrivare a quegli sbocchi anche istituzionali che ci si era proposti.
L'anno che si sta chiudendo è stato l'anno del consiglio internazionale IFOR. Per la prima volta erano presenti 2 rappresentanti il mir italiano; ma è importante oltre alla ripresa di un legame internazionale quanto mai necessario al nostro movimento, anche proprio inserirsi in questo tentativo di rilancio dell'Ifor, che sta cercando di dotarsi di un piano organico per i prossimi 4 anni, con azioni coordinate tra i vari paesi: un aspetto che dovrà essere ben presente alla prossima nostra assemblea nazionale che abbiamo deciso di tenere a Fano dal 28 aprile al 1 maggio prossimi
Una parola ancora sull'organizzazione nostra interna.
E' stato un anno di svolta; dopo un periodo in cui negli anni scorsi il mir ha rischiato di scomparire, siamo riusciti tutti insieme a riprenderci e quest'anno abbiamo cercato di porre le basi per un rilancio. L'occasione che, come sempre, è solo un momento di tutto un processo, ma che assume le vesti di punto di svolta e rimane come data emblematica, è stato il rinnovo dello statuto avvenuto il 4 giugno scorso: lì abbiamo deciso di costituirci come associazione di promozione sociale (APS): di per sé vuol dir poco, ma con quest'atto abbiamo deciso di darci una organizzazione più agile e strutturata, accettando la sfida a presentarci come associazione che, senza perdere, anzi rafforzando le sue caratteristiche di movimento per la trasformazione della società in cui viviamo, si rapporta con le istituzioni, con tutto quel che ciò comporta.
E approfittando di questo abbiamo e stiamo operando dei mutamenti per rendere il nostro movimento più trasparente e funzionale allo scopo per cui è nato.
Dunque il 2006 è stato un anno di svolta, ma il 2007 deve essere quello della rinascita.
Il Mir deve lasciarsi indietro tutta una serie di beghe, incrostazioni, stanchezza, deve cessare di essere un circolo chiuso stile "ex-combattenti e reduci"; deve tornare allo slancio iniziale, ricordarsi delle peculiarità sue proprie, di movimento nonviolento a base spirituale; mi pare che di lavoro da fare ce ne sia; che se un tantino siamo riusciti ad abbassare il livello di violenza di cui parlavo all'inizio, non c'è di che sedersi.
La missione del mir è più attuale e necessaria che mai.
Occorre solo avere un gruppo di persone che ci credano, che siano convinte di questo, ed è per questo che l'altra sfida che come movimento dobbiamo affrontare è quella del ringiovanimento: l'obiettivo lanciato lo scorso novembre, appena tornato caricato dal consiglio Ifor, dei 500 iscritti non era affatto uno scherzo né una "spacconata".
Anche su questo occorre crederci con convinzione ed agire di conseguenza.
Va comunque tenuto presente che quando si cerca di fare il balzo in avanti che stiamo cercando di fare non si può pensare di tornare come prima: o si va avanti, si realizza questa crescita, qualitativa e quantitativa, o si perisce.
Ricordiamoci di quanto scritto all'inizio: il tempo che ci è dato è limitato, ed anche le risorse: usiamole bene, perché ce ne verrà chiesto conto; non facciamo come il servo meschino della parabola dei talenti!

Con questo e soprattutto

con l'augurio a ritrovarci alla prossima assemblea a Fano il 28 aprile prossimo più carichi e convinti che mai,

con l'augurio che il prossimo anno possiamo registrare un sensibile abbassamento del livello di violenza, nel mondo e vicino a noi,

con l'invito a guardare aldilà dell'apparente trionfo della violenza e dell'ingiustizia, certi che Dio può suscitare santi e profeti dalle pietre

Con l'invito a sperare contro ogni speranza


Auguro a tutti

Pace Forza Gioia


Paolo Candelari
Presidente del MIR

 
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Buon Natale

Post n°3 pubblicato il 28 Dicembre 2006 da bunciuk

Chi di noi celebrerà bene il Natale? Colui che finalmente deporrà davanti alla mangiatoia ogni violenza, ogni onore, ogni apparenza, ogni presunzione, ogni arroganza, ogni ostinazione. Colui che starà dalla parte degli umili e considererà grande solo Dio. Chi nel bimbo dentro la mangiatoia vedrà la gloria di Dio proprio nell'umiltà. Chi con Maria dirà: «Il Signore ha guardato la mia umiltà. La mia anima magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore».
Dietrich Bonhoeffer

Nel fare i miei auguri di Buon Natale ho preso a prestito queste parole di Dietrich Bonhoeffer, uno dei tanti buoni maestri.

Il mio augurio è che facciamo tesoro di queste parole, che tutti si possa vivere un sereno Natale, trovando in esso la forza spirituale per continuare il nostro impegno per un mondo più giusto e riconciliato. Se Dio è sceso tra noi, ha accettato di farsi come noi, e come i più poveri tra di noi, non può mancarci la speranza, anche se l'oggi è pieno di difficoltà e, per molti, di tragedie.

Buon Natale a tutti

Paolo Candelari

 
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Post n°2 pubblicato il 13 Maggio 2006 da bunciuk
la piccola immagine che trovate sul sito è lo striscione simbolo del Mir. Io avrei voluto che l'immagine fosse + grande ma mi par di capire che non è possibile (o io non sono riuscito a ottenerla)
Il Mir è un piccolo movimento (circa 150 iscritti) ma con una storia non da poco.
Lo so che esitono altre "cose" cose che hanno questo nome.
Non so i più giovani, ma quelli della mia età si ricorderanno che esisteva un Mir in Cile (Movimiento de Izquierda Revolucionaria) ai tempi di Allende: si trattava di un partito rivoluzionario, alla sinistra dello schieramento che sosteneva Allende, simpatizzante per Castro: un movimento che si batteva per la giustizia sociale, ma tutt'altro che nonviolento; in Italia mi pare ci sia una casa editrice (legata al Manifesto forse), poi in russo e nelle lingue slave mir vuol dire pace, e dunque ci sono diverse associazioni legate a questo nome.
Comunque il Mir italiano è un'altra cosa: innanzitutto è + vecchio di tutti questi, essendo nato nel 1952, come filiazione di un'altra organizzazione, meglio conosciuta col nome inglese IFOR (International Fellowship of Reconciliation), la quale a sua volta ha una storia ancor + antica e gloriosa



Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, dopo aver partecipato a un convegno ecumenico a Colonia, l'inglese Henry Hodgkin e il tedesco F. Siegmund Schultze promettono di non partecipare mai ad una guerra. Alla fine dello stesso anno, a Cambridge, 130 persone danno vita al Movimento; molti di essi dichiarandosi obiettori di coscienza vengono messi in prigione.

Nel 1919 il Movimento diventa internazionale e si configura come una federazione di gruppi i cui membri operano per la giustizia e la pace, rifiutano l'uso della violenza nonchè la preparazione e la partecipazione alla guerra sotto qualsiasi forma. Si definisce movimento a base spirituale, composto da uomini e donne impegnati nella nonviolenza attiva come stile di vita e mezzo di cambiamento personale sociale e politico.

Negli anni ‘30 entra in contatto con Gandhi e sviluppa metodi di nonviolenza attiva per la risoluzione dei conflitti nella ricerca della verita' e nel rispetto dell'avversario.
Numerosi sono gli episodi di resistenza nonviolenta da parte di membri del MIR durante la seconda guerra mondiale con anche tributo di sangue

Dopo la seconda guerra mondiale il MIR, grazie anche all'opera instancabile di Jean e Hildegard Goss-Mayr, cerca vie alternative e nonviolente per conseguire la giustizia e la riconciliazione tra tutti i popoli.
In America Latina è presente con don Helder Camara e Adolfo Perez Esquivel; negli Stati Uniti con Martin Luther King e Dorothy Day; in Vietman collabora alla resistenza nonviolenta con i monaci buddhisti; in Sudafrica è presente con Albert Luthuli; in Irlanda con Mairead Corrigan. E inoltre in Medio Oriente, Zaire e Africa Sub-sahariana, Filippine, India Bangladesh, Madagascar e, dopo il 1989, anche in molti paesi dell'Europa Orientale.

Oggi il Movimento, presente in più di 50 paesi, è Organismo Non Governativo (ONG) e ha uno stato consultivo permanente presso le Nazioni Unite (ECOSOC) nelle sedi di New York, Ginevra e Vienna.



La sezione italiana del M.I.R. nasce nel 1952 per iniziativa di Tullio Vinay e Carlo Lupo (valdesi), Ruth e Mario Tassoni (quaccheri).
Si impegna sin dall’inizio per la diffusione della teoria e della prassi della nonviolenza e presto raccoglie adesioni anche tra i cattolici.
Dagli anni '60 è attivo a livello nazionale per un ecumenismo di base e per approfondire i fondamenti religiosi della nonviolenza

Ha sostenuto i primi obiettori al servizio militare e si è impegnato per il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza. Ha accolto centinaia di giovani obiettori in servizio civile in programmi di formazione alla pace e alla nonviolenza attiva.
Oggi, decaduto il servizio di leva obbligatorio, è Ente accreditato per lo svolgimento del Servizio Civile Volontario.
E’ stato promotore in Italia della Campagna di Obiezione di coscienza alle spese Militari (OSM) e si adopera per il riconoscimento della Difesa Popolare Nonviolenta (DPN) in alternativa alla difesa armata.
Ha partecipato alla lotta contro le centrali nucleari

Da diversi anni il MIR è impegnato nell’educazione alla pace realizzando, in collaborazione con le istituzioni locali e regionali, incontri e convegni di formazione e di informazione sulla pace, la nonviolenza, un diverso modello di sviluppo.

Dal 2001 promuove le iniziative del Decennio internazionale per l'educazione alla nonviolenza ed alla pace per i bambini del mondo.
Ogni anno il MIR organizza numerosi campi estivi di formazione alla nonviolenza , lavoro manuale e condivisione.
Attualmente sostiene molteplici iniziative internazionali per una soluzione nonviolenta dei conflitti armati in varie parti del mondo,in particolare in Kossovo, Africa, Colombia, Palestina/Israele
 
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