VIAGGI

Post n°58 pubblicato il 22 Novembre 2010 da saydo

La settimana scorsa un mio amico ha voluto fare l’ennesimo viaggio in Turchia.
E’ arrivato la sera tardi ed è entrato nell’unico ristorante rimasto aperto.
In preda ai morsi della fame e vistosamente agitato, ha spiegato in tutte le lingue che voleva mangiare del pollo, ma quelli parlavano solo turco.
Allora, preso dalla disperazione, per farsi capire si è messo a razzolare in mezzo al locale imitando il verso della gallina. A quel punto il proprietario ha annuito sorridendogli con calma, come a dire “Si, certo, ho capito.” Nel giro di pochi minuti, infatti, è arrivata un’ambulanza e il mio amico è stato ricoverato all’ospedale psichiatrico.
Perciò, in qualsiasi luogo desideriate andare, imparate la lingua del posto, eviterete brutte avventure.

 
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UNA STORIA INEDITA

Post n°57 pubblicato il 04 Novembre 2010 da saydo
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Dama con ermellino, Platone e Aristotele nella Città ideale, di Ignoto (riproduzione)

 

Descrizione dell’opera.

Platone, indicando con il dito verso l’alto, afferma che a lui piacerebbe abitare all’ultimo piano per essere simbolicamente più vicino al mondo delle Idee. Aristotele, meno idealista e più disincantato, sostiene invece la necessità di occupare il piano terra onde evitare di fare le scale, afflitto com’è dall’artrosi e dai dolori reumatici.
La Dama osserva divertita il battibecco tra i due filosofi, anche se di li a poco verrà denunciata  per aver sottratto un ermellino in casa di un alto prelato, per scopi non del tutto benefici.
Si noti la posizione dei personaggi. I due filosofi sono posti sullo sfondo, la Dama in primo piano. Questo può essere interpretato come un’allegoria della temperanza: le parole vuote e le inutili diatribe (i filosofi) sono aliene dalla moderazione (la Dama). La donna, con saggio distacco, se la ride delle futilità: per lei l’unico problema è come farsi una pelliccia d’ermellino.

Si dice che Pier Giacomo da Monterotondo, un raffinato intenditore d'arte e mecenate, nel mirare quest'opera fu preso da tale commozione da ordinarne 250 copie in formato etichette adesive in occasione della sagra della cicoria, che in quel tempo richiamava numerosi intellettuali da più parti d'Europa.
Il dipinto (cm. 150 x 42) ha subìto una serie di vicende alquanto travagliate. In un primo momento lo troviamo a Firenze, alla corte dei Medici, dove venne usato per coprire una grossa macchia d’umidità che si era formata in cucina. Poi fu la volta di Roma, dove finì per sbaglio insieme a una partita di ravanelli diretta in Vaticano. Qui il Papa volle farlo esaminare da Michelangelo. L’artista era già impegnato nella realizzazione della Pietà, ma promise che non appena avesse avuto del tempo gli avrebbe dato un’occhiata. Il mattino seguente, infatti, si affrettò a depositarlo al Monte dei pegni e con il ricavato – pochi spiccioli – poté acquistare dei nuovi scalpelli. Qualche tempo dopo, la tela fu notata da un critico d’arte, un certo Leopoldo Pollacchio, il quale la comprò ad un prezzo triplicato per usarla come scendiletto.
Teofrasto Filenzoscropoli, un cronista del tempo, ebbe a dire che il Pollacchio non aveva mai capito niente di arte e che si spacciava per un esperto al fine di frequentare i salotti intellettuali dove era facile abbordare qualche compiacente gentildonna. Dopo qualche tempo, Filenzoscropoli vagava per le strade della città senza gli incisivi superiori e con un sorriso ebete stampato in faccia.

Nel 1516 due ignoti personaggi, Bindo Cavastracci e Eugenio Ballonzoli, si contesero la paternità dell’opera. Durante una cena a casa del Pollacchio, in seguito a un’animata discussione, il Cavastracci diede al Ballonzoli del “tacchino ubriaco”. Il Ballonzoli allora, per tutta risposta, gli strofinò dell’ortica in faccia. La situazione era divenuta critica. Tra lo stupore dei convitati, i due si sfidarono a duello, ma il Pollacchio, con la cordialità e la diplomazia che lo distinguevano, placò gli animi degli avversari a furia di randellate.
La contessa Maria Pia Rocca Squinterna, amante del Pollacchio e di una interminabile lista di cardinali e banchieri, da tutti salutata come il simbolo della virtù, intervenne nella disputa: ella propose che dinanzi a una commissione di esperti i due artisti avrebbero dovuto riprodurre l’opera oggetto della contesa. Ballonzoli e Cavastracci si dissero d’accordo, mentre il Pollacchio si accingeva a presiedere l’austera giuria.
Furono convocati i maggiori specialisti del tempo; persino Raffaello si disse onorato di poter dare il suo contributo, ma all’ultimo momento cadde in una cupa depressione a causa di un eccesso di forfora e declinò l’invito.
Ci vollero due settimane per portare a termine quella sfida singolare e un’altra per esaminare i risultati. Alla fine uno dei giudici, dopo una minuziosa analisi, scoprì un piccolo dettaglio nel lavoro del Cavastracci: la Dama era stata disegnata con la testa dell’ermellino, e viceversa. Venne decretata la vittoria del Ballonzoli. Il Cavastracci protestò asserendo che la sua era stata una semplice distrazione, che tutto - prospettiva, proporzioni, colori - era stato riprodotto fedelmente, e che comunque egli avrebbe potuto ripetere la prova in qualsiasi momento. Ma il verdetto della giuria fu inappellabile.

Si era in un periodo foriero di grandi rivolgimenti che ben presto sarebbero dilagati in quasi tutta Europa. La Riforma protestante bussava alle porte. A Wittenberg, Lutero si accingeva ad affiggere le sue 95 Tesi, sebbene, data l'ora, non riuscisse a trovare un negozio aperto per acquistare la colla.
Ancorché in Italia la Riforma avesse difficoltà ad attecchire, tuttavia vi erano molti simpatizzanti; alcuni decisero di espatriare in Svizzera, Germania, Olanda, per entrare in contatto con le idee dei riformatori calvinisti e luterani; altri si organizzarono in associazioni segrete e tramavano nell'ombra per rubare la biancheria intima al papa e farlo così cadere in depressione. Nel frattempo alcuni fedelissimi amici del Ballonzoli, in cambio di alcune sue benevolenze, spiattellarono pubblicamente che egli era uno dei cospiratori. Il Cavastracci lo venne a sapere: quale migliore occasione per vendicarsi del torto subìto e sbarazzarsi definitivamente di quell'arrogante ghibellino! Quindi si rivolse al papa con una lettera delatoria in cui lo metteva al corrente delle terribili mire del suo antagonista.
Il vescovo di Roma scrisse al Cavastracci di apprezzare molto la sua devozione e fedeltà alla causa della Chiesa e che in cambio di quel nobile gesto lo avrebbe insignito dell'alta carica di portascalpelli di Michelangelo.
Il Cavastracci rispose che non aspirava a ricompense, che il suo gesto era del tutto disinteressato, ma che, comunque, onde non arrecare offesa alle saggissime decisioni di Sua Santità, si sarebbe anche accontentato del titolo di imperatore.
Il giorno seguente alcuni sgherri irruppero in casa del Ballonzoli, verso le otto di sera, armati fino ai denti, per arrestarlo, ma siccome stava cenando dovettero aspettare in salotto. Dopo cena gli furono offerte delle erbe digestive, dopodiché fu trascinato davanti al tribunale d'Inquisizione. Qui venne torturato facendogli annusare le scarpe di tutti i partecipanti; resistette stoicamente per alcune ore, ma alla fine confessò le sue colpe e fu rinchiuso a Castel Sant’Angelo, condannato a rimanere sottaceto per il resto dei suoi giorni.

Al Concilio di Trento del 1545 fu deciso, tra l'altro, che il papa non avrebbe più indossato biancheria intima, tranne in occasioni solenni o di fronte ad alte cariche degli Stati cattolici; inoltre fu stabilito che l'opera sarebbe tornata in Vaticano. Dopo qualche tempo, tuttavia, la tela venne trafugata da un gruppo di nani svizzeri per vendicarsi del fatto di non essere stati ammessi tra le fila della guardia pontificia.

 

 

 
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IL CODICE LEONARD (V e ultima parte)

Post n°42 pubblicato il 04 Ottobre 2010 da saydo

Lo studioso e la criptologa sbucarono su una piccola piazza e si guardarono intorno. A un certo punto l’americano vide poco distante una statua equestre sormontata da un guerriero con armatura medievale e la spada sguainata. Dopo aver riflettuto per qualche attimo si mise a ridacchiare istericamente. 
«Cos’hai da ridere?» chiese Brigitte. «Ti sei rincretinito?»
«No, è che… hihihi… ma certo, hihihi, è tutto chiaro, no? heeehehe!»
«Ti spiacerebbe far ridere anche me?»
«Guarda quella statua in mezzo alla piazza. Cosa ti sembra?»
«A prima vista un cavaliere.»
«Bien sur, mademoiselle Bidet. Appunto, un cavaliere. Chevalier.»
«Oooh!» si stupì Brigitte. «Il mio simil-nonno. Come hai fatto ad arrivarci?»
«Intuizione femminile. E verso dove sta puntando la spada del cavaliere, secondo te?»
«In direzione di quel fabbricato, credo.»
«Esattamente. Non ci resta che seguire l’indicazione. Andiamo.»
La porta era accostata e Robert la spinse lentamente. L’ambiente era vuoto, giusto qualche mobile antiquato e dei quadri raffiguranti antichi paesaggi. Una vecchia scala portava al piano superiore.
«Sembra una locanda abbandonata» osservò Brigitte.
«Avverto Toby» disse deciso lo studioso.
«Ma non abbiamo ancora nessuna certezza.»
«Sento che questo è il posto giusto e avremo ancora bisogno del suo aiuto.»
Dopo qualche istante si sentì un fracasso infernale. Qualcuno era rotolato per le scale ed era finito sotto un grosso tavolo di mogano con uno schianto tremendo. «Accidenti ai tacchi alti» si lamentò la persona mentre lentamente si rialzava aiutata da Robert.
Brigitte sgranò gli occhi per la sorpresa. «Nonna!» esclamò incredula.
«Ti stavo aspettando, Brigitte. Ero sicura che saresti riuscita a trovare questo posto.»
«Oh nonna, mi avevano detto che anche tu eri morta nell’incidente.»
«Tiè!» esclamò la vecchia facendo il gesto dell’ombrello.
In quel momento una tenue speranza si accese negli occhi di Brigitte. «Ma allora anche i miei genitori…»
«No, piccolo pidocchio strabico, i tuoi genitori purtroppo sono morti davvero. Io invece all’ultimo momento ho avvertito dei forti dolori intestinali e sono rimasta a casa, così mi sono salvata. Che culo!»
«Nonna, ti presento il professor Robert Lindor, della Harvard University.»
«Piacere, signora.» disse lo studioso.
«La conosco di fama, professore. Devo dire che sono una sua ammiratrice. Ho letto parecchi suoi libri per riuscire ad addormentarmi più facilmente la notte.»
«Sono lusingato.»
L’anziana signora tirò fuori dalla tasca un piccolo astuccio e lo porse a Brigitte. «Questo è per te, piccola cara. Qui dentro c’è quello che stavate cercando.»
«Il Codice Leonard.»
«Esattamente, cara. Chevalier aveva dato disposizioni precise che in caso fosse passato a miglior vita tu avresti dovuto custodire il segreto. Tu sei la prescelta, la persona degna.»
«Oh nonna, sono commossa.»
«Bene, ora vi lascio, devo passare dal salumiere. Che gran pezzo d’uomo! Beh, dovrò pur consolarmi in qualche modo. A presto, Brigitte. Arrivederci, professore.»
«Au revoir madame» rispose Robert.
Brigitte girò e rigirò l’astuccio tra le mani. Era emozionata, il suo cuore palpitava. Robert le faceva segno di aprirlo.
«Bene, bene» disse una voce alle loro spalle. Robert e Brigitte si voltarono di scatto. Era Sir Toby Doll che impugnava una pistola e la puntava contro di loro con un sorriso soddisfatto.

«Toby!» si stupì lo studioso. «Cosa diavolo hai intenzione di fare?»
«Mon cher ami, non pretenderai di aspettare chissà quanto tempo prima di divulgare quella preziosa ricetta.»
«Sai bene che la ricetta potrà essere trasmessa solo dopo l’entrata nella nuova era. Nel frattempo qualcuno degno dovrà custodirla.»
«Me ne frego! L’umanità deve sapere. Ora. Io stesso ne ho bisogno, così potrò riempirmi di seghe a volontà. Ora farete ciò che vi dirò, se non volete fare la fine di Gaston.»
«Gaston?»
«Ho dovuto eliminarlo, mes amis. C’est la guerre. Ormai sapeva troppo e io non mi fidavo più di lui, soprattutto da quando andava in giro a spiattellare che porto la parrucca.»
«Tu porti la parrucca?»
«Si, Robert. Devi scusarmi, non te l’ho mai detto, mi vergognavo. Sono rimasto completamente calvo all’età di sei anni quando mio padre si tolse le scarpe da ginnastica davanti a me, in piena estate, dopo una maratona di 160 chilometri. Da quel giorno ho cominciato a odiarlo.»
«Lei ha ucciso Gaston?» si sbigottì Brigitte. «Ma come…»
«Semplice, mademoiselle. Mentre voi perlustravate la zona gli ho telefonato ordinandogli di raggiungermi in un certo posto. Gaston soffriva di una intolleranza congenita alle barzellette. Un giorno, senza saperlo, gliene ho raccontata una e lui ha cominciato a ridere, risate irrefrenabili che gli impedivano persino di respirare. Stava soffocando e ho dovuto accompagnarlo al pronto soccorso dove è stato rianimato. Ma quest’oggi no, gliene ho sparate a raffica, una dopo l’altra. Gaston ha cominciato a ridere in modo convulso piegandosi in due con le lacrime agli occhi per gli spasimi, era diventato paonazzo, annaspava confusamente supplicandomi di smettere. Alla fine è sopraggiunto l’infarto.»
«Se non getti quell’arma ingoio la ricetta» lo minacciò Lindor che cominciava ad appallottolare il foglietto e a cospargerlo con del sale che portava sempre con sé per simili evenienze.
Sir Toby Doll fece un sorriso beffardo. «Stai bluffando, Robert. Non sarai così pazzo da farlo.»

«E perché no! In fondo la carta mi piace, da bambino ne mangiavo intere risme.»
«Si rende conto che potremmo denunciarla per omicidio?» disse Brigitte in tono di sfida.
«Non avete alcuna prova. I miei avvocati ci metterebbero un attimo a smontare le vostre accuse. In fondo potrei avervi raccontato delle frottole. Non avete visto niente.»
«Ma noi abbiamo sentito tutto» disse qualcuno irrompendo nel locale. Era il capitano Demi Nez che nella foga inciampò sul gradino dell’entrata e finì dritto nello sgabuzzino del sottoscala. Si udì il fragore di stoviglie rotte. Approfittando della distrazione di Doll, Robert sferrò un calcio facendogli volare la pistola che centrò in piena fronte il tenente Coquet ed esplose una schioppettata assordante. Subito una ventina di uomini furono addosso all’aristocratico e lo immobilizzarono, quindi lo infilarono dentro un sacco di iuta che sigillarono col piombo.

«Capitano!» gridò meravigliata Brigitte. «Come ha fatto a trovarci?»
Demi Nez assunse l’espressione di chi la sa lunga. «Non dimentichi, mademoiselle Bidet, che io sono una vecchia volpe, una faina, e persino un lupo di mare, e anche… anche…»
«Un ratto di chiavica» suggerì sottovoce uno degli agenti accanto a lui.
«Ah, si, un ratto di chiavica. Si presenti in centrale al più presto e le spiegherò ogni cosa. Lei ha ancora molto da imparare.» Quindi si rivolse ai suoi uomini. «Presto, tutti fuori. Non vedo l’ora di strizzare il cervello a questo blasonato.»
Rimasti soli, Robert e Brigitte si fissarono intensamente per qualche istante, quindi lui attrasse a sé la bella criptologa e la baciò con passione.
«Oddio, Robert, mi stavi soffocando» disse alla fine Brigitte il cui strabismo si era visibilmente accentuato a causa dell’alito all’aglio fritto di Robert.
«O Brigitte, passerei ancora delle ore intere insieme a te.»
«Sono stanca, Robert. Ho bisogno di riposare, e anche tu.»
Robert fece spallucce. «Mi consolerò con qualche rivista porno.»
«Pensi che potremo rivederci?»
«La prossima settimana sarò in Toscana insieme a un mio collega della Harvard per una serie di studi. Dobbiamo gettarci dalla torre di Pisa per verificare la teoria di Galileo. Puoi raggiungermi li.»
«Lo farò senz’altro. Ma tu stai attento caro, certi esperimenti possono essere pericolosi.»
«Non preoccuparti piccola, so quello che faccio.»
Il giorno dopo, a Parigi, Brigitte si mise a studiare con avidità la formula pensando intensamente a Robert.

 

FINE

 
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IL CODICE LEONARD (IV parte)

Post n°41 pubblicato il 04 Ottobre 2010 da saydo

Molto distante, Solos vagava nella notte senza una meta precisa. Era depresso, le lacrime scendevano copiose facendo sciogliere la cipria che si era trasformata in una colla per carta da parati. Don Perignòn gli aveva scritto una lettera in cui gli comunicava che aveva gettato la tonaca alle ortiche con l’intenzione di sottoporsi a un delicato intervento chirurgico per diventare donna e da quel giorno si sarebbe chiamato Marisa. Nel frattempo era andato a convivere con il suo sagrestano ed entrambi avevano aderito al culto solare del dio Mitra. «Dove andrò adesso?» si chiese disperato. «Chi mi proteggerà?» Proseguì ancora per qualche miglio. Inavvertitamente entrò in un cantiere edile, vide alcuni cavi elettrici, li sollevò e li accostò al naso bagnato. «Il dolore è buono» ebbe il tempo di dire prima di essere trafitto da una saetta micidiale. 

Arrivati a Quimperlé il giorno dopo, Sir Doll congedò il maggiordomo. «Puoi pure andare, Gaston. Aspettaci alla villa.»
«Da dove cominciamo?» chiese Robert guardandosi intorno spaesato.
«Dato l’argomento in oggetto, suppongo debba trattarsi di un luogo molto particolare.»
«Particolare?»
«Si.» rispose Doll.
«Già.» confermò Brigitte.
«Ah!» annuì lo studioso.
«Il paese non è molto grande» continuò l’aristocratico, «ma per non perdere tempo prezioso consiglierei di dividerci. Voi perlustrate questa zona, io mi dirigerò da quella parte. Chi per primo riesce a trovare qualcosa di interessante ne dà notizia al cellulare.» 
Rimasti
soli, Robert e Brigitte s’incamminarono lungo una stradina ombreggiata. Lui osservava l’affascinante criptologa ammirandone il viso a forma di cuore e il corpo sinuoso, e facendo pensieri non del tutto professionali. A un certo punto ebbe un colpo di genio. «Il messaggio!» gridò con una certa euforia.
«Si? Il messaggio, e allora?» si stupì Brigitte.
«Bisogna rivedere il messaggio.»
«Ma l’anagramma è già stato risolto.»
«Non basta, sono convinto che contenga un’informazione in più. Insomma, l’anagramma ci ha portati qui, ma adesso bisogna rileggere il messaggio così com’è. Le forum à l’est. Capisci?»

«Già, per trovare l’esatta ubicazione di ciò che ci interessa. Guarda caso ci troviamo giusto nella parte est del paese.»
«Potrebbe trattarsi di un forum, cioè di una piazza, come quelle dell’antica Roma.»
«Non sarà difficile trovarla, ce ne sono solo due o tre in questa zona» concluse Brigitte.  

Il cellulare di Gaston cominciò a suonare. «Pronto?»
Una voce conosciuta rispose. «Gaston?»
«Maestro! Come mai mi ha chiamato?»
«Dobbiamo prepararci, sai benissimo che ci sono novità.»
«Si, quelli sono alla ricerca del Codice Leonard e sono sicuro che prima o poi lo troveranno.»
«E così dovrà essere. A quel punto interverremo noi.»
«Ci sarà anche Solos?»
«No, me ne sono sbarazzato. Era un tipo troppo emotivo e avrebbe rovinato tutto. Gli ho fatto pervenire una lettera fingendo di essere don Perignòn e dicendogli che l’avrei abbandonato per sempre. Conoscendo il tipo, sapevo che per il dispiacere avrebbe compiuto un gesto estremo, e così è stato.»
«E Solos non ha cercato di mettersi in contatto con il parroco?»
«In precedenza avevo fatto fuori anche lui ed ho occultato il cadavere.»
«Pure lui? Una strage!»
«E’ stato necessario.»
«Maestro… ehm… devo dirle una cosa, un segreto che non ho mai osato confessarle e che da anni custodisco nel mio cuore.»
«Dimmi pure, Gaston.»
«Maestro… ecco, ehm… mi sono innamorato di lei.»
«Se ne può discutere. In fondo sei niente male con quei baffetti da conquistador.»
«Davvero? Oh, Maestro, lei mi riempie di gioia. E potrò chiamarla trottolino amoroso?»

«Vedremo. Allora facciamo una cosa: prima di entrare in azione raggiungimi alla grotta del teschio, è un luogo isolato e nessuno ci disturberà.» 
 

FINE IV PARTE

 

 

 
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IL CODICE LEONARD (III Parte)

Post n°40 pubblicato il 04 Ottobre 2010 da saydo

Da qualche altra parte, lontano, il cellulare di Solos cominciò a suonare. La solita voce camuffata.
«Solos.»
«Maestro! Ehm, stavo facendo un po’ di shopping e mi sono permesso di addebitare alcune cosucce sul suo conto. Sa, ho finito la cipria.»
«Hai fatto bene. Ora ascolta, Solos, la ricetta che mi hai fatto pervenire è un falso.»
«Un falso?»
«Si, figliolo. E’ una formula complessa, scritta in una oscura lingua antica, ma alla fine sono riuscito a decifrarla. Ho scoperto che si tratta del modo di far bollire l’acqua per la pasta.»

«Maestro, ho sbagliato. Mi dia la giusta punizione. Vuole che mi cosparga di benzina e mi dia fuoco?»
«Calmati, Solos. Non è colpa tua, non potevi sapere. Chevalier sapeva il fatto suo come i suoi tre cuisiniers préférés e ci hanno preso in giro»
«E adesso cosa facciamo?»
«Ho un’idea. Poi ti farò sapere.» Riagganciò.
In quel momento l’autista del taxi stava chiudendo il portabagagli dopo averlo riempito coi vari acquisti di Solos. L’incipriato ci infilò la testa mentre il portellone si chiudeva violentemente. «Il dolore è buono!» 

Robert e Brigitte arrivarono alla periferia di Rouen ed entrarono in un lungo viale. Con loro sorpresa notarono che le ville erano due, una di fronte all’altra. «Quale sarà?» chiese la criptologa. Senza esitare, Robert fece cenno di svoltare a destra; i due scesero dalla betoniera e si diressero verso l’entrata. Lindor suonò il campanello. Nonostante l’ora, un uomo alto e magro, in smoking e papillon venne ad aprire. «Desidera, signore?»
«Mi scusi, sto cercando Sir Toby Doll.»
«Vorrà dire il Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine del Reggicalze, Professore Emerito della Reale Accademia Britannica, Sir Tobias Talbot Doll.»
«Si, proprio lui.»
«Spiacente signore, ha sbagliato indirizzo. Sir Toby Doll abita nella villa di fronte.»
«Strano, eppure ero convinto che abitasse qui.»
«Mi dispiace. La signora è sua moglie?»
«Una mia amica.»
«Bel pezzo di gallinella.»
«Ma come si permette?» protestò Brigitte.
«Mi perdoni mademoiselle» si scusò il maggiordomo, «non faccia caso, è solo un modo di dire in uso da queste parti.»
«Si, si, va bene» tagliò corto Lindor. «Arrivederci.»
«Arrivederci» rispose il maggiordomo facendo l’occhiolino a Brigitte e lisciandosi i baffi.
Lo studioso bussò alla porta della villa di fronte e un maggiordomo venne ad aprire. «Chi desidera?»
Con sua grande sorpresa Robert notò che si trattava dello stesso individuo che aveva visto nell’altra abitazione. «Mi scusi» disse meravigliato, «per caso lei ha un fratello gemello?»
«Non capisco, signore.»
«Ecco, il fatto è che lei somiglia in modo impressionante ad una persona che ho visto poco fa, in quella villa di fronte.»
«Un sosia? Mah, probabilmente.»
«Posso sapere il suo nome?»
«Mi chiamo Gaston Chaussure, signore. In cosa posso servirla?»
«Ed è maggiordomo?»
«Mais oui, naturelment.»
«Senta, io sto cercando Sir Toby Doll e…»
«Vorrà dire il Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine del Reggicalze…»
Brigitte faceva segno con la mano di stringere.
«…Professore Emerito della Reale Accademia Britannica, Sir Tobias Talbot Doll.»

«Esattamente.»
«Spiacente signore, ha sbagliato indirizzo, Sir Toby Doll abita nella villa di fronte.»
«Va bene, Gaston, basta così, puoi andare», disse una voce acuta alle spalle del maggiordomo. Era Sir Toby Doll. Non era proprio come Brigitte se l’aspettava. L’aristocratico aveva capelli biondi a caschetto, indossava una camicetta in seta con ampi volant alle maniche e un paio di pantaloni neri in pelle, aderentissimi. Emanava un forte odore di Chanel N°5.
“Era questo che intendevi quando hai detto un poco strano?” pensò Brigitte guardando Robert di traverso.
«Robeeeert!» gridò Doll in uno stato di euforia incontenibile. «O mio Dio, il mio caro vecchio amico Robert Lindor. Ho sempre desiderato che qualcuno mi buttasse giù dal letto nel cuore della notte. Mi sono sempre chiesto ‘Perché non viene mai nessuno a svegliarmi a notte fonda? Non desidero altro.’ E tu lo hai fatto, Robert.»
«Ciao Toby, scusami per l’ora insolita, ma ti assicuro che se non si trattasse di una cosa importante non ti avrei disturbato. Come stai?»
«Adesso molto meglio. Ma prego, vi faccio strada, accomodatevi» rispose Doll girando sui tacchi e sculettando. «Scusate per prima, amici, Gaston è un giocherellone, gli piace fare certi scherzi. Ma vi assicuro che è un tipo innocuo da quando l’ho fatto castrare.»
«Non c’è problema. Toby, ti presento una mia amica, la signorina Brigitte Bidet, criptologa alla Scuola d’Arte Culinaria ‘Haute Cuisine’ della Sorbona.»
«Piacere, cara.»
«Piacere mio, Sir Doll.»
«O lasci stare, può chiamarmi semplicemente Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine del Reggicalze, Professore Emerito della Reale Accademia Britannica, Sir Tobias Talbot Doll.»
«E lei può chiamarmi semplicemente Ettore.»
«Pardon? Ettore?»
«Ettore è il mio terzo nome, ma Brigitte va bene lo stesso.»
«Ma dimmi Toby» intervenne Lindor, «anche l’altra villa è tua?»
«Ah, si, l’ho acquistata di recente. Quando ho in mente di scrivere qualcosa mi chiudo in questa villa e scrivo tutte le consonanti, poi vado nell’altra e scrivo tutte le vocali. Alla fine metto tutto insieme. Non è un’idea geniale?»
“Ma questo è proprio tutto scemo” pensò Brigitte.
«Bene amici, sedetevi. Posso offrirvi qualcosa? Tè, caffè. Mi è avanzata anche un po’ di pasta coi ceci, basta una scaldatina e…»
«Penso che il tè andrà bene» rispose Lindor. Brigitte annuì.
Sir Doll diede alcuni ordini al maggiordomo che di li a poco tornò recando un vassoio con del sancha e alcuni pasticcini. Quindi si ritirò facendo di nuovo l’occhiolino a Brigitte.
Robert ammirò l’enorme libreria in noce di fronte a lui, dove l’ultima opera di Sir Toby Doll, Storia illustrata della trippa in dodici volumi rilegati, faceva bella mostra di sé. Inoltre notò che tra una mensola e l’altra era stato lasciato uno spazio sufficiente per poter infilare le dita e prelevare i libri. Un sistema già in uso nel III secolo a.C. presso la biblioteca di Alessandria. Un’idea geniale per quei tempi.
«Dunque, amici, cosa vi ha spinto fin qui?» chiese lo storico. In quel momento il citofono alla parete suonò e Sir Doll andò a rispondere. «Cosa c’è, Gaston?»
«Mi scusi Sir, ma avrei urgenza di parlarle.»
«Arrivo.»
Robert guardava incantato Brigitte che si rilassava sensualmente sorseggiando il caldo infuso e degustando i soffici pasticcini. A un certo punto si ricordò che gli antichi seguivano un’usanza simile: masticavano il cibo prima di ingerirlo. Una coincidenza? Lindor credeva poco alle coincidenze e si ripromise di andare fino in fondo alla questione in un prossimo studio.
All’improvviso Doll irruppe nel salotto, furibondo, aggiustandosi il caschetto e sculettando ancor più vistosamente. «Senti carino, tu non me la racconti giusta» disse rivolto a Robert.
«Come?» si stupì lo studioso.
«Robert, tu mi hai mentito.»
«Non capisco.»
«La televisione sta mandando in onda le vostre foto segnaletiche. Dicono che tu abbia fatto fuori Leonard Chevalier. Oddio, mi farai venire una crisi isterica.»
«Ascolta Toby, non è come pensi.»
«A no? E com’è, allora?» chiese Sir Doll sventolandosi nervosamente con una mano il volto arrossato.
«Qualcuno sta cercando di incastrarmi, non so perché. Sono innocente, te lo giuro. Ora cerca di calmarti.»
«Ma bene. Se non sei stato tu allora…» Doll guardò Brigitte con due occhietti furbi.
«Perché mi guarda in quel modo?» chiese la criptologa. «Non penserà che io…»
L’aristocratico scosse la testa. «In fondo, da quel che ho saputo, era soltanto il suo simil-onno,  mia cara, neanche un parente, dunque…»
«Ma cosa sta insinuando? Adoravo quell’uomo, mi ha tirata su come una figlia. Si sbaglia Sir, io non farei del male a una mosca.»
Toby Doll ammiccò sorridendo. «E a un urang utan che cercasse di violentarla?»
«Doppiamente NO! Sarebbe un’esperienza unica e irripetibile.»
«Lei ha il cuore sincero, mia cara. Adesso so che non mente.»
«Ascolta, Toby» intervenne Robert, «siamo qui per una questione importante, che sicuramente interesserà anche te».
«Di cosa si tratta?» chiese Doll.
«Del famoso Codice Leonard.»
«Ostrega! Sono anni che lo sto cercando.»
«Lo so. Tuttavia c’è qualche difficoltà. Dovresti aiutarci a decifrare una frase scritta da Chevalier prima che tirasse le cuoia.»
«Fai vedere.»
Brigitte frugò nella borsetta ed estrasse il foglio. Lo storico lo afferrò con mano tremante e lo lesse con eccitazione. “QUI ME PARLE? LE FORUM A L’EST” «Dunque, dunque…» meditò.

Robert e Brigitte si protesero in avanti in spasmodica attesa della soluzione. Passarono alcuni minuti. Mezz’ora. Tre quarti d’ora. «Ma si!» concluse alla fine Sir Doll. «E’ ovvio. Il foro a est. Evidentemente si riferisce al foro romano, che si trova appunto a est rispetto a noi. Dobbiamo subito precipitarci a Roma.»
Brigitte sembrava dubbiosa. «No» disse scuotendo la testa, «è troppo semplice. Il mio simil-nonno non avrebbe mai scritto una cosa così banale col rischio di essere facilmente decifrata da chiunque.»
«Cosa suggerisce, mia cara?» 
«Potrebbe trattarsi di un anagramma.»
«Giusto!» intervenne in modo scombussolato Robert, che nel frattempo si era appisolato ed era scivolato sul pavimento. «Sono d’accordo. Ma quale potrebbe essere?»
A quel punto Sir Doll prese un ampio copridivano e ci si coprì completamente.
«Ma cosa fa?» chiese incuriosita Brigitte.
«In questo modo riesce a meditare meglio» spiegò Robert.
Ancora un’ora di martellamento cerebrale e finalmente lo storico poté annunciare trionfante la soluzione.
«Ci sono. Dunque: Qui me parle? Le forum à l’Est. Anagrammando si ha: La formule est à Quimperlé. La formula è a Quimperlé. Che genio che sono! Che genio!»
«Quimperlé?» osservò Brigitte. «E’ in Bretagna.»
«Esattamente, mia cara. Per combinazione ho una villa anche lì, dove sarò lieto di ospitarvi. Dobbiamo muoverci subito. Gaston ci farà da autista.»

 

FINE III PARTE

 
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