Sconfinando

Della solidarietà spiccia


Il commento di Upmarine al post di ieri, nel quale riportavo l'invito a firmare l'appello di Amnesty International e a indossare una maglietta rossa in segno di vicinanza ai monaci e ai cittadini birmani mi ha fatto pensare.Sono stanco di firmare e solidalizzare. Mi sto anestetizzando. Troppi appelli e nessuna risposta, scrive Upmarine. E se ripercorro questi due anni e un pezzo di blog c'è molto di vero in queste sue parole. Appelli, petizioni, firme, manifestazioni: io stessa ne ho proposti tanti. Non credo siano troppi. Una firma non si nega a nessuno, ironizzava amaro un mio collega qualche giorno fa. E in fondo è anche facile. Ho firmato, ho aderito, c'ero anche io.Poi si torna indietro a cercare di capire che cosa è successo di tutte quelle firme e di tutte quelle adesioni. Qualcosa procede, qualcosa muore lì. Penso alla recente sospensione della pena capitale per Kenneth Foster. Certo, non sarà stato merito del popolo dei blog, però le voci si sono alzate e a me fa paura l'ignavia. Penso a Gramos, a Malene, ai tanti signori nessuno per i quali ci sono stati gesti reali e concreti. Che sono una goccia nel mare, lo so perfettamente, ma forse possono dare anche un senso diverso al nostro, al mio, stare qui.Purché.Perché c’è sempre un purché.Il purché è la consapevolezza con la quale si appongono le firme. Che non sia e non debba essere la facile assoluzione che concediamo alla nostra coscienza. Purché alla firma, laddove possibile o in altri luoghi alternativi, seguano il gesto e l’azione. E purché siamo coscienti dei nostri limiti. In fondo siamo solo persone che scrivono in rete. L’onnipotenza non ci appartiene.Per questo, vorrei rispondere ad Upmarine. Io non sono stanca di solidarizzare. Come non sono stanca di indignarmi, in fondo l’indignazione vien via un tanto al chilo di questi tempi. Vorrei essere più ascoltata, questo sì. E vorrei sapere e poter fare di più. Ma credo che questo limite mi accomuni a molti di noi.