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Racconti di fantasia e altro - Laboratorio scrittura creativa - SCUOLA MEDIA STATALE G. ARCOLEO - CALTAGIRONE - PROF.SSA M. CASTAGNA

 

 

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La voce dell'innocenza

Post n°65 pubblicato il 02 Giugno 2010 da thebest980
 

Non avevo mai creduto che il razzismo esistesse anche fra i bambini. Era un’idea che mi metteva tristezza! Come poteva essere possibile? Come PUO’ essere possibile?

Ecco ciò che mi è successo:

Ero appena arrivato a Roma; io e la mia famiglia ci eravamo trasferiti lì dal Kenya. Ero felice, perché avrei fatto nuove amicizie anche se i miei vecchi amici (Chanel e Boris) mi sarebbero mancati. Arrivai nella capitale italiana il quindici marzo alle ore otto e quindici del mattino. Clima: per niente arido e secco. Popolazione: ampia e piena di persone vestite in modo … strano, o forse solo diverso dal mio. Sguardi: fissi su di me, mia madre e mio padre. Perché? Sapevo che avrei incontrato dei bianchi, mentre loro non avevano mai visto un bambino nero? Una famiglia differente dalle loro?

Atìna, la mia mamma, mi accompagnò a scuola. Parlò con la maestra fuori dalla classe ed io nel frattempo entrai per conoscere i miei compagni. Camminai verso il primo banco (c’era un posto libero). Tutti iniziarono a sussurrare “Matt, Matt”, rivolgendosi al bambino accanto al quale avrei voluto sedere, ma lui mi sorrideva maliziosamente. Era biondo, occhi azzurri, cicciottello, guance rosse come quelle di un neonato. Stavo per sedermi ma Matt poggiò i piedi proprio dove stavo per prendere posto e tutti risero, con quella stessa malizia. Ero solo un bambino!

Rientrò in classe l’insegnante che placò le risate e mi chiese dolcemente di prendere posto accanto a Rita. Rita era carina: ricciolina, occhi verdi, paffutella. Sorrideva ma, a differenza degli altri, in modo normale come anch’io spesso facevo. Sembrava che stesse per dirmi qualcosa, quando Chiara le disse: -<< Se gli parli non sono più tua amica!>>.

Feci finta di non aver sentito, volevo essere amico di Rita ! -<<Ciao, mi chiamo Tybalt!>>Dissi.

Silenzio. Non aprì bocca . -<<Sei Rita, giusto?>>.

Ancora silenzio.

Ero curioso di sentire la sua voce, di sapere se aveva sette anni come me o se doveva ancora compierli. Niente. Non parlava, ma i suoi occhi mi dissero  tutt' altro!

All’uscita della scuola, poggiai il mio zainetto su una panchina. Sapevo che mio padre (che si trovava al lavoro) non sarebbe arrivato prima di mezz’ora, quindi iniziai a sgranocchiare un toast. Non c’erano toast nel mio paese, non ne avevo mai mangiato uno.

Uscirono da scuola  due ragazze, molto più grandi di me (forse di terza media o primo superiore). Tempo dopo, scoprii che si chiamavano Sarah e Jessica Forges; gemelle. Quel giorno anche loro mi sorrisero con malizia. Una mi accarezzò i capelli, poi iniziò a tirarmeli, a strapparli con forza e ridendo sguaiatamente. L’altra prese il mio zainetto, lo schiacciò saltandoci sopra e dopo lo lanciò lontano. Urlai, perché mi sembrò l’unica cosa che potessi fare. Caddi per terra in ginocchio, fin quando quella che prima mi tirava i capelli mi afferrò per le braccia, in modo brusco, come volesse strapparmele, e mi fece alzare. -<<Nero, brutto nero, torna al tuo paese!>> Gridava  una.

-<< Già, così impari a venire dove non sei gradito!>>Gridava l’altra.

Ridevano, ridevano e io piangevo. -<< Ha anche le lacrime nere!>>Disse quella che identificai con il nome di Jessica. Mi faceva male la testa, non sentivo più le mie povere braccia e come se non bastasse …  mi spinsero in avanti, non prevedendo che non mi sarei tenuto perché mi facevano male le braccia e le mani a causa loro! Così andai a sbattere la testa, ancora dolorante, contro lo spigolo della panchina, su cui ero seduto poco prima a mangiare beatamente un toast nell’attesa di mio papà.

.................

In ospedale. Non c’ero mai stato. Pareti bianche, letto bianco, coperte bianche, visi neri.  Riconobbi in quei visi, mia madre e mio padre.

Erano preoccupati; la mia mamma piangeva e mi baciava la mano, stretta fra le sue. Vedevo ancora tutto sfocato intorno a me. Poi entrò un’infermiera: l’unica cosa ad essermi simpatica in lei, erano i capelli neri!    Parlò ai miei con viso serio; poi scosse la testa, come per dire “NO”. Allora anche mio papà iniziò a piangere, mi si avvicinò e

mi diede un bacio sulla fronte.

-<< Torniamo presto, ora riposa!>> Mi disse. Si era sforzato di sorridermi, nonostante piangesse ancora. Chiusi gli occhi.

Sentii la porta sbattere ed era entrata una bambina; quei riccioli, quegli occhi verdi … mi suggerirono che   era … Rita! Prese posto sul letto, accanto alle mie gambe. Mi diede un bigliettino sul quale lessi “Scusami Tybalt!”. Sorrisi e la guardai in volto: non era felice come avrebbe dovuto essere una bambina di seconda elementare! Infatti, era triste ed una lacrima scendeva  sul suo viso. Le chiesi come mai piangesse, sperando che finalmente mi avrebbe rivolto la parola ma invece, si alzò e prese la cartella clinica che poco prima aveva lasciato l’infermiera. Era indecisa: non sapeva se darmela oppure no. Allungai la mano e lei me la porse gentilmente. “TRAUMA

CRANICO” lessi. “GRAVE”.

Rita scoppiò a piangere e gettò lacrime che prima aveva trattenuto, ma io sorridevo ancora.

-<<Prima di morire, posso esprimere un desiderio?>>.

Lei annuì.

-<< Fammi sentire … la tua voce! Fammi sentire com’è la voce di una bambina che non disprezza i neri, per favore!>>.

Era sorpresa, perché forse non si aspettava che le chiedessi questo. Poi parlò:

-<<Ciao Tybalt! Sono Rita, ho sei anni e mezzo. TI VOGLIO BENE e … non voglio che muori!>>. Disse la mia amica. Mi abbracciò e continuò  a piangere fino alla fine.

Dopo di lei, entrarono Sarah e Jessica. Mi chiesero scusa, le perdonai; ma loro avrebbero avuto una vita dinanzi a loro. IO NO!

RAZZISMO. Strana,strana parola! Ne avevo sempre sentito parlare, ma viverlo in prima persona era stato più che sufficiente per aprirmi gli occhi! Esiste ed esisterà per sempre. Questo è quello che ogni bambino nero come me dovrebbe sapere, perché trovarsi in una situazione come la mia (senza sapere a cosa si sta andando incontro) è bruttissimo!

Quello che mi colpì più di tutto quel giorno fu la voce di Rita.

Dolce, timida, triste, innocente.

Proprio quella che ogni bambino dovrebbe avere !

Non avrei mai dimenticato la voce dell’innocenza!

 

Dalila B. 3° G 

 

 
 
 
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